Lo scorso maggio il TAR del Lazio ha deliberato che cinque dei venti direttori di musei statali, nominati nell’ambito della riforma del MiBACT del 2015, sarebbero stati rimossi dai loro incarichi a causa di irregolarità nel processo di selezione – tra le anomalie riscontrate vi sono i criteri di valutazione dei candidati, i colloqui a porte chiuse e la partecipazione al bando di direttori stranieri.
Ad essere forzati alle dimissioni sono stati gli italiani Martina Bagnoli (Galleria Estense di Modena), Paolo Giulerini (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), Carmelo Malacrino (Museo Archeologico Reggio Calabria), Eva Degli Innocenti (Museo Archeologico Nazionale di Taranto), nonché l’austiaco Peter Assmann (Palazzo Ducale di Mantova). Il conseguente disappunto manifestato in primis dal ministro Dario Franceschini che aveva presieduto la riforma, ha sollecitato un’udienza, il 15 giugno, in cui il Consiglio di Stato ha sospeso la decisione del TAR in attesa di una sentenza definitiva prevista ad ottobre. Al momento, perlomeno, tutti i direttori sono tornati al lavoro.
Prima della sentenza del TAR, Flash Art aveva invitato dieci direttori che si sono distinti per le loro innovative proposte gestionali a condividere con i lettori alcune riflessioni in merito alla riforma, che per la prima volta nella storia italiana ha garantito loro un controllo indipendente dei fondi. Forti degli effettivi successi delle rispettive istituzioni, i dieci direttori rispondono qui ad alcune domande, testimoniando i vantaggi di una policy di respiro internazionale per il patrimonio culturale regionale italiano.
Potrebbe brevemente introdurre le priorità riguardo il futuro della sua istituzione?
Peter Assmann, Palazzo Ducale, Mantova: I primi passi sono stati fatti, i primi successi raggiunti: sempre più persone apprezzano il nuovo corso di Palazzo Ducale, trasformato da reggia visitabile solo in alcune parti ad ampio contenitore culturale in grado di offrire spazio a molteplici attività. Siamo molto più che un museo: il Ducale è anche storicamente una città nella città, con oltre 950 ambienti tra sale, stanze, logge e giardini. Per questo, l’obiettivo principale è proseguire nello sviluppo di un grande progetto di valorizzazione dei diversi spazi che compongono il complesso. Parliamo ad esempio di un Museo dell’Alchimia, ma anche di residenze per artisti contemporanei. Sempre seguendo lo spirito della famiglia Gonzaga che per quattro secoli ha tessuto relazioni, acquisito capolavori, accolto a corte il fior fiore degli artisti contemporanei: i grandi e le “avanguardie” di quel tempo. Ovviamente è stato necessario operare su più fronti spesso partendo da zero: lavorando sulla sicurezza ma anche sulla ricerca e la didattica, sui rapporti nazionali e internazionali, implementando un ampio ventaglio di paternariati con università e associazioni culturali. Tra i nostri obiettivi c’è la strutturazione di una comunicazione efficace verso pubblici diversi: un impegno che però richiede risorse importanti, a partire dal personale. Molto spesso siamo legati a progetti ad hoc complessissimi da governare: da una parte abbiamo i fondi a disposizione, dall’altra parte un labirinto burocratico nel quale è difficile orientarsi per gestire efficacemente le risorse statali e i finanziamenti di fondazioni e privati.
Cecilie Hollberg, La Galleria dell’Accademia, Firenze: Al mio arrivo, nel dicembre 2015, la Galleria non aveva progetti e vi era la necessità di creare una scala di priorità. In prima battuta sono intervenuta per cercare di dotare la struttura di un organigramma modulato sulle nuove esigenze del museo autonomo. Nel frattempo, con il poco personale a disposizione, molta volontà e pazienza, abbiamo comunque raggiunto i primi obiettivi, riuscendo a traghettare questa grande nave dal mare in tempesta a un porto più tranquillo. Nel campo della comunicazione ed educazione presenteremo a breve nuove audioguide – finalmente anche per i bambini. La didattica si riversa su più fronti che vanno dalle visite guidate ai laboratori, dalla collaborazione con scuole e università, fino ad un libricino per bambini di prossima pubblicazione. Per quanto riguarda le collezioni abbiamo fatto e faremo lavori importanti di restauro, ricerca, manutenzione, dando un’accelerata alla costruzione e messa online degli archivi digitali, la cui fruibilità ha delle enormi potenzialità. Abbiamo fondato l’Associazione degli Amici della Galleria dell’Accademia che è partita con un grande successo. Collaborazioni e accordi sono stati avviati con vari dipartimenti universitari e musei internazionali. Una stretta cooperazione con l’adiacente Accademia delle Belle Arti ci permette di trovare delle soluzioni a medio e lungo termine per risolvere il problema degli spazi mancanti come uffici, depositi, guardaroba, sale per la didattica e punti di ristoro, dando così al museo l’afflato internazionale che gli spetta.
James Bradburne, Pinacoteca di Brera, Milano: La missione annunciata il 21 gennaio 2016 individua chiaramente due obiettivi: riportare Brera nel cuore della città e riportare il visitatore al centro del museo. In termini pratici, questo significa rinunciare a mostre temporanee e concentrarsi sulla collezione permanente del museo, ri-allestire le 38 sale della Pinacoteca e trasferire le collezioni d’arte moderna italiana nel vicino Palazzo Citterio entro il 2018.
Anna Coliva, Galleria Borghese, Roma: La Galleria Borghese gode di una situazione complessivamente buona (ampio numero di visitatori, buone condizioni delle opere, degli ambienti e dell’edificio) e di una funzionalità abbastanza dinamica, che abbiamo implementato qualche anno fa. Adesso però la riforma ci dà grandissime possibilità per agire con maggiore incisività sulle criticità che ognuno di noi ha individuato. Nel nostro caso la principale criticità è quella degli accessi, che riguarda gran parte dei musei che hanno molti visitatori: cioè, la struttura fragile e le restrizioni di sicurezza dell’edificio obbligano a fare dei contingentamenti degli ingressi. Ad oggi abbiamo installato un sistema di monitoraggio che permette di avere il resoconto in tempo reale del numero di visitatori. Ma c’è ancora molto da fare su questo fronte. La seconda priorità riguarda la fatiscente zona dell’accoglienza, e cioè il caffè, la biglietteria e i bagni, da anni non sottoposta a vera manutenzione. Grazie ai fondi del ministero è stato ideato un progetto di ristrutturazione che include anche un’innovazione “storico-critica”, ovvero la ricostruzione nel caffè-ristorante di un sogno di Piranesi, cioè il “Caffè degli Inglesi”, che Piranesi progettò nella seconda metà del Settecento e che realizzeremo seguendo fedelmente i suoi disegni.
Eike Schmidt, Galleria degli Uffizi, Firenze: La vocazione all’educazione al patrimonio culturale è una delle priorità della nostra istituzione fin dagli albori della sua nascita. Quando l’ultima discendente della famiglia Medici, Anna Maria Luisa, lasciò in eredità il patrimonio mediceo alla città lo fece proprio con l’intento principale di far conoscere l’arte ai suoi concittadini e ai “forestieri”. Intensificando questo intento, e definendo per la prima volta la missione educativa e di ricerca del museo, nel 1769 il granduca Pietro Leopoldo di Lorena aprì la Galleria degli Uffizi al pubblico. In questa stessa ottica, proprio grazie a Pietro Leopoldo, il Granducato di Toscana fu uno dei primi stati moderni a introdurre un sistema unitario di istruzione aperta a tutti i cittadini. Seguendo questi nobili esempi, una delle mie priorità sarà proprio quella di valorizzare ulteriormente le nostre collezioni permanenti, non solo quelle degli Uffizi, ma anche quelle di Palazzo Pitti in cui sono conservati altrettanti capolavori inestimabili come le opere di Raffaello e di Rubens, nonché opere di grande importanza da tutti gli angoli del mondo e il Tesoro dei Granduchi. Ho la fortuna di poter contare su un team di funzionari e assistenti che hanno una profonda conoscenza delle collezioni e che sono animati da una grande passione per il compito che sono chiamati a svolgere. Insieme a loro, sto progettando approcci curatoriali nuovi e più accattivanti per un pubblico giovane, globale e abituato ad utilizzare le nuove tecnologie.
Cristiana Collu, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma: Dovrei fare un lungo elenco che assomiglia più a una mappa, a una sorta di cartografia. Mi immagino un piano orizzontale o una costellazione. Mi risulta estraneo parlare di priorità come se dovessi avere in mente una gerarchia. Credo invece che la missione in questo momento sia quella di sospingere le nostre istituzioni su molti versanti, su più versanti possibili, scegliendo semmai un ambito di vocazione.
Mauro Felicori, Reggia di Caserta: Al momento la mia priorità è terminare il processo che porterà alla completa destinazione della Reggia a funzioni culturali ed educative, liberandola di tutte le istituzioni improprie che nel tempo l’avevano occupata e quindi smantellando completamente gli attuali usi dell’aereonautica e dell’esercito. Tutti gli spazi in uso dalle forze armate entro il 2020 devono essere liberati e destinati a scopi culturali ed educativi. Questo processo è già iniziato. È già stata sgomberata una parte del piano nobile dove abbiamo collocato la collezione Terrae Motus (sia pur in un allestimento provvisorio) e abbiamo aperto delle sale espositive che in questi mesi ospitano la mostra “Klimt Experience”. Cè poi da individuare la collocazione definitiva per la collezione Terrae Motus e creare uno spazio per convegni e congressi e ulteriori spazi espositivi. Successivamente, nel tempo, trasformeremo un’ala della Reggia in un grande albergo, e aprirermo un ristorante, al fine di migliorare l’accoglienza ai visitatori su tutti i fronti. Parallelamente, bisognerà proseguire il restauro del monumento. Abbiamo già restaurato la facciata anteriore e quella posteriore e due dei quattro cortili e adesso stiamo progettando – per una spesa complessiva di 40 milioni di euro – il restauro degli altri due cortili, dei fianchi, il rifacimento del tetto e altri interventi all’interno. Infine continueremo quel lavoro di comunicazione sulla Reggia intrapreso due anni fa e che ha già avuto come esito un aumento del numero di visitatori e degli incassi. (L’anno scorso l’aumento registrato è stato del 38%.)
Paola Marini, Gallerie dell’Accademia, Venezia: La priorità assoluta del nostro museo è rappresentata dal completamento dei lavori di allestimento delle sale al piano terra e soprattutto dal restauro del primo piano nobile, necessario a rendere pienamente operativa la grande “macchina” delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Il cantiere del primo piano, finanziato dal Ministero dei Beni Culturali con 9 milioni di euro dal Fondo CIPE, si muoverà nella direzione dell’implementazione infrastrutturale e della manutenzione dei locali, adeguando il museo a standard museografici degni di un’istituzione internazionale. Contestualmente, in occasione delle nuove gare per la gestione dei servizi, il museo sarà tenuto a ripensare il proprio ruolo in relazione al territorio e al visitatore, migliorando l’accoglienza e i servizi al pubblico, studiando programmi di membership e bigliettazione agevolata, potenziando la didattica e l’offerta culturale, in un’ottica di mediazione culturale e lifelong learning. In questa direzione un ruolo fondamentale sarà svolto dal sito internet, attualmente in fase di restyling e riprogettazione, e dagli strumenti multimediali a disposizione del museo, che costituiranno tanto un supporto quanto un’estensione della visita al di fuori del museo.
Peter Aufreiter, Galleria Nazionale delle Marche: Per me la Galleria Nazionale delle Marche è da intendersi non solo come struttura espositiva, ma come centro di cultura regionale, spazio per concerti, rappresentazioni teatrali ed eventi vari – matrimoni compresi. Il museo deve rappresentare il legame dei cittadini con il territorio in cui vivono, la loro “casa di cultura”, dove andare anche per soli dieci minuti, magari durante la pausa pranzo, di sera o di domenica. Per questo ho potuto introdurre per i visitatori e soprattutto per i “fedelissimi” un biglietto annuale, che consente di accedere al palazzo ogni volta che lo si desideri. Vorrei che le persone sentissero come propri questo palazzo e i capolavori in esso custoditi; vorrei che venissero non solo a visitare il museo, ma che si sentissero partecipi delle attività che vi si organizzano. Il futuro della Galleria sarà anche incentrato sullo sviluppo delle attività didattiche. Circa la metà dei nostri visitatori è costituita da bambini, giovani o studenti. Il nostro compito è quindi quello di trasmettere loro ciò che la Galleria rappresenta nel mondo culturale italiano: cos’è il Rinascimento; chi era Raffaello; qual è la differenza tra l’arte del Medioevo e quella del Rinascimento o del Barocco; cosa rappresentava il Montefeltro. Per attuare questo mio proposito, negli anni a venire saremo impegnati in attività di restauro e di riallestimento museale per l’intera Galleria. In questo progetto stiamo già procedendo step by step e abbiamo la convinzione di poter ottenere i primi risultati entro i prossimi quattro o cinque anni.
Gabriel Zuchtriegel, Parco Archeologico di Paestum: La nostra visione è un sito archeologico inclusivo, aperto e innovativo su tutti i livelli: servizi, ricerca, conservazione, comunicazione, didattica, mostre ecc. Per raggiungere questo obiettivo, ci impegniamo in progetti e collaborazioni diverse con enti pubblici, altri musei, università, associazioni, scuole e sostenitori privati. Ma se dovessi indicare una priorità che sta al di sopra di tutto questo, sarebbe lo sviluppo delle professionalità e della creatività all’interno del nostro staff. Il museo è fatto di persone e quindi dobbiamo investire nelle persone per farlo funzionare: mi riferisco alla formazione, ma innanzitutto alla motivazione e all’incontro umano nel nostro lavoro quotidiano.
In che modo la riforma del 2015 ha cambiato i funzionamenti pratici e logistici della sua istituzione?
MF: Il grande cambiamento è che finalmente avendo separato i musei dalle soprintendenze, i musei funzionano come delle aziende. Ci sono le premesse per questa formula di gestione, ma queste condizioni sono solo parziali. Ad esempio, il fatto che noi non abbiamo nessun potere sul personale è giusto, ma è anche un limite. I musei che sono fondazioni, avendo personale proprio, possono assumere, licenziare gestire il personale in un modo che noi non possiamo fare. L’altra vera rivoluzione introdotta dal Ministro Franceschini è che mentre prima queste posizioni erano iscritte in una carriera statale, adesso si aprono al mercato del lavoro internazionale. Ecco allora che potenzialmente possono arrivare persone di grande valore, di valore anche superiore a quelle che si hanno all’interno – senza tuttavia negare a quest’ultime la possibilità di avere quest’occasione. In linea generale se si vuole un’azienda che veramente funzioni, si tende ad allargare la platea da cui selezionare i suoi manager, non a restringerla.
AC: La vera grande criticità per la Galleria Borghese, più di qualunque altro museo in Italia, è la mancanza di personale. E non è un pour parler: noi siamo in tutto sette, ed è grottesco. Io lo sto dicendo dalla fine del 2016, ma questo problema non è mai stato risolto. Non abbiamo un direttore del personale, non abbiamo un responsabile di bilancio – che sono figure d’obbligo per legge, perché un esterno non piò adempiere a queste funzioni –, non abbiamo un informatico, non abbiamo un geometra, non abbiamo un architetto: siamo sette persone che devono fare il lavoro che negli altri musei fanno in cento, se non in di più. Noi rispondiamo esattamente alle stesse funzioni amministrative degli Uffizi. Quindi oltre all’adempienza di prestiti, alle concessioni e alle mostre – e facciamo un’attività molto superiore riguardo i prestiti e gli atti concessori rispetto ad altri musei –, lavoriamo con un centesimo del personale. Non è la mancanza di custodi (abbiamo anche quella, ma mi sono presa la responsabilità di sopperire con la guardania esterna), ma di personale amministrativo interno. Con la conseguenza che noi non riusciamo ad adempiere agli ordini di legge. La riforma conferendoci autonomia ci permette di dare una svolta, anche d’immagine, ai nostri musei. Ma è chiaro che se non c’è un apparato che la sostenga questa svolta non riusciremo a registrala. Quindi è un vero peccato che tutte le opportunità che questa riforma dà vengano annullate dall’impossibilità di fare. Perché se non ci sono le persone che traducono tutti i nostri buoni propositi in atti, in carta e in procedure, quelli rimangono delle velleità.
CC: La Riforma è stata ed è prima di tutto un gesto: il gesto che innesca il cambiamento, che prova a lavorare sulla resistenza al cambiamento. Le trasformazioni sono in atto e una riforma non fa altro che farle proprie prendendosi la responsabilità di normarle. Autonomia e gestione – questo è il binomio della Riforma e questo è lo strumento del cambiamento.
In che modo le sue esperienze all’estero hanno inciso nella direzione di una grande collezione d’arte italiana?
PAu: Provengo da esperienze maturate in particolare presso il Belvedere di Vienna e ciò mi aiuta perché la riforma dei musei in Austria è stata realizzata circa vent’anni fa. In passato sono stati commessi anche diversi errori, poi corretti nel tempo. In Italia si ha il vantaggio di sapere già come hanno agito gli altri paesi, perché non solo in Austria, ma anche in Germania, in Francia e nel Regno Unito sono state fatte riforme dei musei per dare loro autonomia economica e decisionale. Oggi quegli errori non dobbiamo ripeterli e io ho il privilegio di sapere come i paesi che ci hanno preceduto nella riforma sono riusciti a raggiungere grandi risultati. La mia esperienza è di aver vissuto una realtà che è riuscita a crescere enormemente grazie all’applicazione di strategie di marketing, organizzando eventi e altre iniziative in genere. Ho la consapevolezza che con tali progetti si possano duplicare e triplicare i visitatori. Il mio scopo sarà quindi quello di guidare la Galleria Nazionale delle Marche verso il raggiungimento degli obiettivi da me già vissuti in Austria e che spero si possano realizzare anche qui nei prossimi cinque anni. Altro mio vantaggio è di conoscere tante persone che desiderano favorire la cultura e di avere contatti con sponsor nazionali e internazionali. Spero inoltre, e mi propongo con molto entusiasmo, di inserire queste esperienze nel bellissimo Palazzo Ducale di Urbino per farlo crescere allo stesso modo.
ES: Le mie esperienze all’estero, in particolare negli Stati Uniti e nel Regno Unito, mi hanno portato soprattutto a dare valore all’attività educativa e divulgativa, che sono indissolubili dalla ricerca, esattamente come tutela e valorizzazione non possono essere divisi. Il settore dell’educazione è ritenuto di fondamentale importanza negli altri paesi e ad esso sono dedicate maggiori risorse sia finanziarie che umane. Per questo fin dall’inizio del mio mandato ho cercato di implementare l’attività del dipartimento scuola-educazione e di coinvolgere in questo progetto anche il personale della seconda area, finora quasi del tutto escluso nonostante l’attività didattica risultasse nel suo mansionario. Anche la valorizzazione delle risorse interne, attraverso l’individuazione degli interessi e delle capacità di ciascuno, superando l’eccessiva rigidità del sistema precedente, è un aspetto tipico dei paesi di tradizione anglosassone che sto cercando di riproporre alle Gallerie degli Uffizi con buoni risultati.
PAs: Personalmente, è stato molto importante dirigere grandi istituzioni museali e al contempo lavorare come professore universitario e in diverse associazioni nazionali e internazionali. Quest’osservatorio privilegiato mi ha consentito di restare sempre al corrente delle discussioni internazionali in tema di museologia, di conoscere soluzioni adottate da altri musei, di avere un quadro completo della realtà. A livello internazionale, l’istituzione-museo è tra le poche in grado di raccogliere consenso e successo. Non a caso, in quasi tutti i paesi del mondo si lavora sullo sviluppo dei musei, strumenti efficaci per fotografare e far conoscere lo stato attuale di una società. È stato fondamentale soprattutto importare queste conoscenze nel paese dove l’istituzione-museo ha la sua storia più lunga. Non parliamo solo di arte e collezionismo, ma anche delle molteplici funzioni e funzionalità di un museo.
L’Italia è un hub culturale riconosciuto internazionalmente. Crede che il ruolo di direttore museale sia mutato ed espanso negli ultimi anni?
CH: Certo che è cambiato. Prima della riforma ministeriale il direttore di un museo come il mio era un funzionario storico dell’arte che dipendeva dal dirigente responsabile di tutti i musei statali fiorentini. Ed è per questo che oggi si parla tanto dei nuovi direttori-manager che hanno un ruolo diverso, più ampio e con maggiori responsabilità. Avendo iniziato a dicembre del 2015 preferisco comunque parlare dell’ultimo anno. La Galleria dell’Accademia di Firenze è tra i primi due musei statali italiani e inoltre quello con il maggior numero di visitatori rispetto alla sua superficie. La riforma del Ministro Franceschini offre la possibilità di cambiare un sistema nel meglio: siamo incaricati di portare i musei italiani dal XIX al XXI secolo. Certo che questa già è una sfida enorme essendo la Galleria dell’Accademia di Firenze al 40% sotto organico e ciò con 1,4 milioni di visitatori l’anno. Molte figure essenziali per poter ottemperare a questa richiesta non esistono nelle professionalità previste dal ministero, come per esempio un registrar o un organologo; altre figure non sono (e già prima della riforma non lo erano) presenti in numero sufficiente per tutti. Alla Galleria dell’Accademia mancano figure importanti come l’architetto, l’informatico, il restauratore o un funzionario amministrativo dedicato al bilancio. Ciò significa che bisogna non solo improvvisare ma anche calcolare con delle tempistiche molto più lunghe di quelle previste. Per essere veramente autonomi dovremmo avere anche l’autonomia sul personale per poter aumentare l’efficienza. Tra piattaforme obbligatorie e la comunicazione interna ed esterna c’è ancora tanto da imparare e la burocrazia è abbastanza pesante. Inoltre questo nuovo direttore-manager ha non solo la responsabilità sulle azioni del museo autonomo, ma per la prima volta anche l’obbligo di un bilancio. I primi bilanci dei musei autonomi ovviamente erano da costruire e in genere ciò è accaduto senza il personale formato.
JB: Le competenze necessarie per conservare e studiare una collezione sono molto diverse da quelle necessarie per la valorizzazione della collezione. La riforma Franceschini, senza penalizzare l’aspetto della conservazione, attribuisce maggiore importanza alla valorizzazione e al servizio dei nuovi pubblici. Per tale ragione gli amministratori oggi necessitano di esperienze in altri settori come il fundraising, la pianificazione strategica, le gestione del budget e delle risorse umane, l’analisi dei rischi, il marketing e la comunicazione.
CC: Il modo di dirigere un museo – come un’altra istituzione, un’azienda o un’impresa – è sempre stato personale e, in molti casi, ieri come oggi, anche appiattito su alcune formule minime che ne garantiscono, solo apparentemente, la gestione quotidiana. La direzione richiede idee, visione, spirito pioneristico, dedizione, grande autonomia e una certa radicalità. Quest’ultima mi sta particolarmente a cuore perché è il modo in cui credo sia necessario interpretare il ruolo. Questa parola tuttavia a volte soffre un po’ e viene liquidata come eccessiva, ma senza eccedere è difficile fare passi in avanti. È difficile senza convinzioni, senza slanci, senza rincorse. La radicalità unita alla prudenza (e seguendo la definizione di una delle quattro virtù cardinali) rafforza i legami (la radice appunto) e riconfigura i processi. Funziona come un dispositivo di accensione prima e poi come una bussola.
Pensa che le tecnologie e i nuovi approcci curatoriali stiano trasformando anche le metodologie di educazione e didattica del pubblico?
PM: Certamente. Le tecnologie rappresentano uno strumento utilissimo per impostare una comunicazione museale su più livelli, e permettere al visitatore di esplorare le collezioni seguendo i propri ritmi e personali interessi. In questo senso, le Gallerie dell’Accademia di Venezia hanno avviato negli ultimi anni delle proficue collaborazioni con Samsung e l’Università Ca’ Foscari di Venezia: nel primo caso all’interno del progetto SCHEMA (Samsung Culture Heritage Monuments Arts), che ha dotato le prime sale al piano terra di tablet e totem interattivi dai contenuti multimediali differenziati e di una Smart Classroom per le scuole; nel secondo, nell’ambito del progetto “Vita delle Opere”, un’applicazione che consente di esplorare la storia di alcuni capolavori selezionati, raccontandone la “vicenda” secolare attraverso restauri, spostamenti, vendite, furti, esposizioni, interpretazioni e copie. Inoltre, con l’Associazione Amici dei Musei e Monumenti Veneziani abbiamo recentemente avviato un programma di attività didattiche destinato alle scuole del territorio, per consentire alle giovani generazioni di scoprire il patrimonio anche avvalendosi dei tablet. Tali supporti alla didattica arricchiscono notevolmente l’esperienza di visita e ci aiutano ad avvicinare il museo a un pubblico più ampio; ma non possono ovviamente prescindere dal contatto con l’opera. La strada è ancora lunga e alcuni interventi ormai ritenuti fondamentali, come dotare il museo di un’adeguata copertura wi-fi, devono ancora essere affrontati. Ma i primi passi sono stati compiuti nella giusta direzione.
GZ: Il contenuto resta fondamentale e non può essere sostituito da tecnologie e approcci. Per questo, prima di domandarci che modalità di comunicazione adottare, dobbiamo sapere cosa vogliamo comunicare. E con questo non mi auspico un ritorno alla ricerca di trent’anni fa, ma il consolidamento di un’archeologia e una storia dell’arte all’altezza degli ultimi sviluppi. Credo che il pubblico di un museo abbia il diritto di essere preso sul serio e di conoscere la ricerca. Tutto ciò, ovviamente, va comunicato in maniera comprensibile e accattivante, senza dover necessariamente abbassare il livello (come ancora qualcuno pensa). Anzi, direi il contrario: i musei possono contribuire ad alzare il livello di una ricerca che in alcuni casi si esprime in una maniera talmente cervellotica che persino gli addetti ai lavori vi si perdono dentro. L’antidoto perfetto è figurarsi la domanda di un bambino alla quale si deve rispondere senza incorrere in tecnicismi o luoghi comuni.
PAs: Nella società dei consumi – anche culturali – le aspettative del pubblico sono cambiate radicalmente negli ultimi anni. Per consolidare e incrementare il proprio appeal, il museo deve aprirsi a queste esigenze senza perdere la propria identità e la propria vocazione, elaborando sempre nuove occasioni di visita per il suo pubblico, anzi per i diversi tipi di pubblico. Va sempre tenuto presente che carta vincente dell’istituzione museo è “the real thing”: non un’esperienza di seconda mano, multimediale, succedanea, ma proprio l’originale. Quella che è stata definita come una sua aura. La tecnologia dev’essere sempre di supporto a quest’esperienza, senza sostituirsi ad essa. Un curatore di successo adotta per ogni mostra un linguaggio forte, coerente e comprensibile, che raramente è quello proprio di un docente universitario: una comunicazione vincente, in altre parole, non può prescindere da concetti scientificamente ben elaborati ma deve essere anche convincente, coinvolgente, accattivante. Un po’ sexy, perché no?
Da considerare come dichiarazioni di intenti e di valori condivisi, le risposte dei direttori rivelano una visione collettiva, così come una fiducia nelle procedure utili a intraprendere un cambiamento significativo e a lungo termine che coinvolga le diverse istituzioni regionali. Ciò è evidente nonostante gli approcci spesso divergenti nella gestione, derivanti da esperienze in istituzioni in Italia e all’estero, nonché da provenienze accademiche differenti.
La riforma ha chiaramente dato ai dirigenti la facoltà di attendere alle problematiche endemiche alle rispettive istituzioni. Allo stesso tempo, tutti hanno manifestato una particolare attenzione al ruolo olistico del museo, capace di esporre, educare, conservare, ricercare e funzionare come cuore pulsante di una società il cui patrimonio non può che acquisire di valore se sottoposto a uno sguardo contemporano presente e le cui identità regionali sono meglio preservate se iscritte in un contesto globale.
Un limite alle innovazioni auspicate dalla riforma che ritorna costantemente nelle parole dei direttori è la tensione tra la loro indipendenza nella gestione fondi e l’impossibilità di effettuare cambiamenti sul personale dell’istituzione. Perché avere delle risorse finanziarie – sembrano chiedersi – se non possono essere destinate correttamente? Questa incongruità strutturale interessa alcune istituzioni più di altre ed è forse una conseguenza inevitabile del tentativo di sovrapporre un modello privatista a un’istituzione pubblica avvinta da una burocrazia mecchinosa. Anche se a due anni di distanza dalla riforma tali problematiche rimangono irrisolte, i direttori intervistati sembrano ottimisti in merito al loro possibile superamento, a patto che si apprenda dalle vittorie e dagli errori delle riforme già attuate all’estero.