Che l’america latina, e in particolare il Messico, mostri un panorama culturale che lo allontana dalla contestualizzazione terzomondista è ormai un fatto appurato. In questo universo, infatti, ancora sotto la morsa della povertà e dello sfruttamento dell’Impero occidentale, si delinea un terreno magmatico e mobile dove il caos e il continuo meticciarsi di elementi eterogenei hanno creato un sistema di culture molteplici e un intrigo di esperienze innovative. Tra queste va menzionato il collezionismo, praticamente in mano a una classe imprenditoriale giovane e dinamica che è stata capace, in pochi anni, di partecipare ai giochi del mercato internazionale e di vantare personaggi al pari di un Bernardo Paz, il magnate del metallo del Brasile, C. I. Kim, il commerciante coreano, la famiglia venezuelana Cisneros, a capo di un’impresa che gestisce i mezzi di comunicazione, che hanno decentrato il potere del sistema dell’arte, sempre in mano alle capitali del primo mondo come New York e Londra.
Per quanto riguarda il Messico, il collezionismo vanta una tradizione a parte che, anche se in modo discontinuo, ha dimostrato le sue peculiarità. In questo senso si ricordano collezioni importanti per quantità di opere acquistate, come quella della Fundación Televisa, il gruppo che possiede praticamente il monopolio della televisione messicana; mentre tra quelle private, una delle più anticipatrici è stata quella del curatore Carlos Ashida. Tra le più “intellettuali”, invece, va ricordata quella del filosofo e curatore Patrick Charpenel, che inizia la sua collezione nel 1985, all’età di 18 anni, arrivando oggi ad avere più di 200 artisti. Le opere, perfettamente conservate e inventariate in un magazzino, percorrono tutti gli anni Sessanta arrivando fino alle generazioni più giovani. Una collezione lungimirante e appassionata, attenta a sostenere la giovane arte, scrupolosa nello scegliere i lavori per rigore e serietà, ma anche per la capacità degli artisti di rompere con il sistema costituito.
È negli anni Novanta che si definisce un fenomeno nuovo, un collezionismo più maturo e determinato, con acquisizioni capaci di battere veri e propri primati. Noto quello che si è aggiudicato nel 2006 il consulente finanziario di una potente impresa di Monterrey, David Martinez, con l’acquisto dell’opera Number 5 di Jackson Pollock, per 141 milioni di dollari. Nonostante Martinez appartenga a una generazione precedente, rimane comunque un caso emblematico. Nella sua figura si possono rintracciare alcune delle principali motivazioni del collezionismo di oggi, tra cui quella di considerare l’arte come un investimento. Infatti, secondo la tesi della critica ed economista Ercilia Gómez Maqueo, uno dei fattori più determinanti sembra essere proprio questo, ed effettivamente i dati parlano chiaro: nel 2005 l’indice IPAR Bueno/Maqueo (Indice del Prezzo dell’Arte in Messico, sviluppato e strutturato da Patricia Bueno y Ercilia Gómez Maqueo) riporta che negli ultimi vent’anni i prezzi delle opere d’arte sono cresciuti più del prezzo dell’oro, della Borsa dei valori e del Dow-Jones. Chi aveva investito in arte ha avuto quindi rendimenti maggiori rispetto a chi aveva scelto altri attivi finanziari. Non è perciò un caso che la maggior parte dei collezionisti più importanti arrivino proprio dal settore imprenditoriale.
Tra i più potenti va ricordato Eugenio López Alonso, il giovane proprietario di Jumex, l’impresa di succhi di frutta messicana, che ha accumulato in tempi record 1.400 opere. Inizia a collezionare nei primi anni Novanta, appena ventenne. Dopo una visita al Whitney Museum of American Art di New York si appassiona a Cy Twombly e all’espressionismo astratto, e da quel momento inizia ad acquistare opere degli anni Sessanta, in particolare di artisti concettuali come Robert Smithson, On Kawara, Joseph Kosuth, John Baldessari e di altri appartenenti alla corrente del Minimalismo, tra cui Donald Judd, Sol LeWitt e Dan Flavin. Oggi, grazie anche alla direzione di Abaseh Mirvali e al suo staff, la Colección Jumex si distingue anche per il sostegno dato agli artisti emergenti: sono molte infatti le acquisizioni di giovani, che vanno comunque sempre di pari passo con quelle dei grandi maestri. Risale per esempio al 2006 l’acquisto di nuove opere di Fischli & Weiss, Ugo Rondinone e Urs Fischer. La Colección è custodita in uno spazio di 1.500 mq, proprio accanto alla fabbrica dove si producono i succhi di frutta; un archivio e una libreria con 6.200 titoli sono, insieme alla collezione, aperti al pubblico.
Dopo la Colección Jumex va citata quella di Cesar Cervantes: 39 anni, direttore corporativo dell’impresa che gestisce più di 120 ristoranti della catena di fast food Taco Inn e Alpen House, compra il suo primo quadro nel 1989, quando ancora frequenta l’università, e lo paga a rate. Nel 2000 la sua collezione consta di un vero e proprio corpus di opere importanti; nel 2001 il primo Gabriel Orozco, due anni dopo il primo On Kawara. Insieme alla moglie Monica ha messo insieme una collezione con nomi di artisti internazionali quali Alighiero Boetti, Andy Warhol, Felix Gonzalez-Torres, Bruce Nauman, Rirkrit Tiravanija, Cezary Bodzianowski, Anri Sala; e nazionali, come Abraham Cruzvillegas, Damián Ortega, Dr Lakra, Daniel Guzmán, Minerva Cuevas, il cui punto di riferimento è Kurimanzutto, un progetto di galleria che Cervantes sposa fin dall’inizio. Tutte le opere sono custodite in una bellissima casa: “Viviamo in simbiosi con la collezione, essa riflette le nostre inquietudini, le nostre illusioni, le passioni, quello che ci preoccupa e ci tiene occupati nella vita”, afferma Cervantes, che da grande appassionato d’arte e ricercatore riconosciuto è entrato a far parte di importanti imprese e associazioni culturali, come il Latin American Acquisition Committee, della Tate di Londra.
Sempre a Città del Messico va ricordata la casa-museo di Augustin Coppel, il quarantenne neo-direttore del Grupo Coppel, impresa commerciale di apparati elettronici, vestiario e accessori per la casa. Dichiara senza problemi che l’acquisto di opere d’arte è uno dei migliori investimenti finanziari: “Ho comprato una fotografia di Gabriel Orozco a 5.000 dollari e dopo 5 anni valeva 10 volte di più”. E ancora, la collezione di Teofilo Cohen, che è a capo di un’impresa che confeziona vestiti della Walt Disney per bambini.
Altro punto nevralgico del paese è Guadalajara, vivace centro economico e, grazie anche al lavoro svolto dall’associazione civile Guadalajara Capital Cultural, incaricata, tra l’altro, di seguire la realizzazione del progetto Guggenheim Guadalajara, si distingue per le sue attività culturali. Membro dell’associazione, nonché Assessore al Turismo dello Stato di Jalisco e Presidente del Consejo de Administración de Guadalajara World Trade Center è Aurelio López Rocha. “Alma Colectiva” è il nome della sua collezione che, iniziata nei primi anni Ottanta, vanta oggi un importante gruppo di opere appartenenti a epoche e stili differenti: gli artisti vanno da Germán Venegas fino a John McKracken.
Più o meno della stessa generazione è Jorge Vergara, uno dei personaggi più stravaganti e chiacchierati del paese: 49 anni, imprenditore visionario e fondatore del Gruppo Omnilife — ditta che produce prodotti alimentari per la salute — Vergara è inoltre proprietario della squadra di calcio Chivas Rayadas del Guadalajara e produttore cinematografico. La Collezione Omnilife è in parte custodita in uno spazio espositivo appena inaugurato che si chiama La Planta, diretto dalla curatrice Mariana Munguía. Doug Aitken, Alighiero Boetti, Cecily Brown, Liam Gillick, Douglas Gordon, Daniel Guzman e Gabriel Orozco sono i grandi nomi che affiancano quelli di artisti più giovani come Gonzalo Lebrija, Fernando Palomar, Dr Lakra ed Elisa Sighicelli.
Ma a contraddistinguere la città di Guadalajara è la nuova generazione di collezionisti capitanata dal trentasettenne Josè Noe Suro: proprietario di una fabbrica produttrice di ceramica, si avvicina all’arte contemporanea grazie al fratello artista Luis Miguel Suro. Inizia a collezionare in maniera sistematica dopo la prima edizione di Expoarte (1994), la fiera d’arte contemporanea di Guadalajara che ha fatto da catalizzatore formando un vero e proprio gruppo di collezionisti. Ad oggi la collezione di Suro conta 70 artisti, tra cui Maja Bajevic, Angela Bulloch, Miguel Calderón, Christoph Draeger, Yang Fudong, Jorge Macchi, Teresa Margolles, Diego Medina, Pedro Reyes e Andreas Slominski. Le opere, quasi sempre acquistate pagandone la produzione, sono custodite negli spazi di una casa progettata appositamente per ospitarle.
Da tener d’occhio, infine, la neonata collezione di Marcos Dau, amico di Josè Noe Suro, che ha iniziato a interessarsi all’arte contemporanea proprio grazie a lui. Quarantenne proprietario di un’impresa che produce cemento e di una gioielleria, già vanta nomi come Thomas Hirschhorn, Jonathan Monk e Carsten Höller.