Margherita Artoni: Quando hai sentito per la prima volta l’esigenza di fare arte?
Inka Essenhigh: Ho sempre sognato di diventare un’artista. In passato non ero una brava studentessa e non ho mai cercato strade alternative.
MA: Credi che l’arte possa trovare una ragion d’essere in quanto tale oppure, al contrario, che esista una sorta di “missione estetica”?
IE: Entrambe le opzioni. Se esiste una missione estetica, questa coincide con l’arte stessa. L’arte ha il potere di trasmettere energia e la componente che più apprezzo nelle opere degli altri, nonché il mio personale obiettivo, consiste nella capacità di produrre arte in modo limpido e ingenuo. Non ha alcuna rilevanza lo stile o il soggetto di un lavoro, la sola cosa che conta è l’impegno con cui un artista libera la propria ispirazione nel momento in cui crea. Ed è davvero magnifico quando riesco a cogliere questa profondità nelle opere altrui.
MA: Quale valore assume il paradigma dell’astrazione nei tuoi lavori?
IE: Ho la sensazione che i miei dipinti abbiano superato l’astrazione per dirigersi verso la rappresentazione. Essi mostrano figure chiaramente riconoscibili, ma il modo in cui scelgo di costruire lo spazio, unito all’impiego di luce e colore, non segue alcuna logica d’impronta realista.
MA: Accanto all’Espressionismo astratto, nei tuoi dipinti si scorge un moderato realismo. Come dialogano i due stili nella concretezza di un’opera?
IE: Le entità che dipingo non sono mai imprigionate in una mera riproduzione figurativa, ma convivono in una sorta di “calderone” spazio-temporale. Le terre sorgono per incontrare gli oggetti, le porte offrono accesso a nuovi spazi, e così via. Credo sia per questo che amo dipingere il crepuscolo, così ricco di ambiguità spaziale.
MA: Per quale motivo, nonostante l’acclamato successo dei dipinti a smalto, negli ultimi anni hai preferito dedicare la tua attenzione alla tecnica dell’olio su tela? Quali sono le proprietà espressive che più ti affascinano in questo medium?
IE: Per quanto riguarda le opere a smalto, devo confessare che non avevo voglia di continuare a vivere in un cartone animato per il resto della mia vita! Dipingere a olio, confrontarsi con la storia dell’arte, accarezzare una più ampia gamma di emozioni e sperimentare infinite possibilità estetiche richiede indubbiamente uno sforzo maggiore, ed è per questo che ho deciso di sposare questa tecnica. Tutti i pensieri e le intenzioni rimangono visibili in un’opera d’arte, quindi non posso scegliere di fare nulla al di fuori di quello che realmente desidero.
MA: Cosa ti ha spinta a privilegiare le figure fantastiche e i paesaggi surreali nella rappresentazione tridimensionale dei tuoi ultimi dipinti? Esistono dei soggetti a cui ti senti particolarmente legata?
IE: Sentivo il bisogno di conoscermi nel modo più puro, libero e infantile, e sono convinta che questo periodo storico sia di gran lunga il migliore per farlo. Per anni ho usato la pittura automatica come un viaggio verso la libertà. Sino al 2006-2007 mi mettevo dinnanzi alla tela, facevo qualche scarabocchio, dei tagli o delle macchie di colore, qualsiasi cosa che potesse dare un impulso alla mia fantasia. A volte un po’ di sporco sulla tela sarebbe sufficiente a farmi vedere un’immagine. Vorrei cercare di riprodurre quello che vedo sospendendo ogni giudizio; non importa quanto brutta, stupida o gradevole sia la realtà che mi si propone. Sono cresciuta in sintonia con le mie sensazioni e non ho mai provato a forzarle. Mentre chiudo gli occhi e mi accorgo che un’immagine sta prendendo forma, tento in ogni modo di rimanere fedele alla figura o al sentimento di quell’istante. Ancora una volta, impongo a me stessa di sospendere ogni giudizio.
MA: Pensi di aver raggiunto uno stile più maturo e personale negli ultimi anni?
IE: Quando ero più giovane volevo creare dei dipinti che riflettessero il mondo in cui vivevo. Un mondo di televisione, cultura popolare e consumismo. Con il passare del tempo ho iniziato a dipingere il mondo in cui sogno di vivere. Sono alla ricerca della bellezza, di qualcosa che testimoni la meraviglia del mondo; non voglio insozzare il mondo con altra immondizia.
MA: I tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001 hanno contribuito in qualche modo alla svolta emozionale della tua evoluzione artistica?
IE: Prima di allora avevo già iniziato a cambiare medium, anche se probabilmente l’impatto emotivo di quegli eventi ha incentivato la mia arte a essere ancora più spontanea e distaccata dalle leggi di mercato. Tuttavia, sono certa che il mio percorso artistico avrebbe comunque intrapreso questa direzione.
MA: La componente dinamica del disegno e del colore ha sempre rivestito un ruolo essenziale nel tuo lavoro. Da dove nasce l’impressione del movimento? E qual è la sua funzione?
IE: Ho cominciato a sviluppare il linguaggio del movimento nei miei dipinti mentre studiavo la giustapposizione di gocce e macchie sulla tela. La vivacità del gesto ha da subito catturato la mia attenzione e ho lavorato per trasformare questa energia in elemento narrativo, sino al punto di non poter più concepire un’immagine senza la propria resa dinamica.
MA: Pensi che in quello che ami definire “self of painting” esista una relazione autentica fra il tempo e lo spazio, il ritmo e la figura?
IE: Sì. Una testimonianza di questo aspetto può essere rintracciata nella differenza tra i miei dipinti e i miei monotipi. Mi occorre un po’ di tempo per trovare l’immagine giusta da dipingere. So che è un’immagine che richiederà molti sforzi e che dovrò essere in grado di attingere alle mie fonti di ispirazione anche per un paio di mesi. Ho sempre l’impressione che il momento in cui una forma mi rapisce non duri più di un attimo. Alcune immagini mi riportano alla mia infanzia, altre fanno parte di uno spazio e di un tempo che, pur avvertendo in profondità, non riesco realmente a definire se non riconfigurandone la natura. Per esempio nei periodi più caldi dell’anno tendo a riprodurre questo ricorrente stato mentale; so che è notte, c’è un’afa insopportabile, mi sembra di essere vicina a un vecchio vulcano. Ho prodotto diverse versioni di questa percezione, dai primi lavori a smalto sino a oggi. Nei monotipi tutto assume una rilevanza più sottile; vorrei costantemente dar vita a una nuova immagine e anche solo l’idea di non riuscirci mi affligge. La causa potrebbe essere qualcosa che blocca la mia immaginazione, per esempio nel tragitto verso la stamperia. Ciò che ora appare stimolante un domani potrebbe perdere ogni appeal.
MA: Ti ritieni influenzata dalle dichiarazioni della critica?
IE: Forse. Alcune critiche hanno avuto una certa risonanza e mi hanno fatto riflettere, altre mi sono apparse per lo più referenziali e poco pertinenti al mio lavoro. L’esperienza rende evidente questa distinzione. Nessuno è in grado di dirti cosa fare o perché certe cose funzionano o meno; tutto quello che puoi comprendere dalla critica è solo se stai comunicando in quel preciso frangente.
MA: Come giudichi il recente fenomeno del branding che coinvolge i grandi artisti di India e Cina? E qual è, più in generale, la tua opinione nei confronti del “boom” asiatico?
IE: Mi sento sopraffatta dalla quantità di arte e dall’urgenza di comprenderla in senso globale. È vero che gli aspetti legati al mercato dell’arte oggi appaiono più importanti dell’arte stessa, tuttavia mi chiedo se questo non sia a sua volta il parere degli asiatici nei confronti dell’arte occidentale.
MA: Dal 5 marzo al 16 aprile 2011 la Pace Prints ha ospitato una tua personale di stampe. Ti consideri soddisfatta dell’esibizione nel suo complesso? Puoi spiegare il tipo di processo che si cela dietro la produzione di questi lavori?
IE: La mostra alla Pace Prints ha esposto principalmente monotipi. Per produrli dipingo una lastra d’acciaio e sulla parte superiore premo un foglio di carta. È un modo veloce per creare un dipinto unico. Alla fine del processo la lastra d’acciaio risulta perfettamente pulita. Tutte le mattine vorrei chiudere gli occhi, fare apparire un’immagine e riprodurla in stamperia. Il personale della Pace Prints è stato molto gentile e mi ha lasciata lavorare con la giusta tranquillità. Impiego dalle quattro alle sei ore per produrre un’immagine e, sebbene alcune di loro ricordino dei miei dipinti precedenti, si tratta di opere rigorosamente originali. Spero di poter accedere a questo metodo di lavoro anche in futuro, in quanto riesce a divulgare la mia arte in maniera più completa rispetto ai piccoli dipinti.
MA: Quali sono i tuoi piani per il futuro, nell’arte e nella vita?
IE: A breve diventerò madre e mi auguro di avere una vita ricca di divertimento, arte e amore. Nel frattempo, sto preparando con grande dedizione e cura la mia personale alla Tomio Koyama Gallery.