Da più parti e da più tempo ci si interroga legittimamente sull’utilità, necessità e ruolo degli intellettuali, ancor più da quando, intorno alla metà degli anni Settanta, si è detto e scritto di quella crisi di riferimento come guida sociale dell’intellettuale generatasi con l’Illuminismo ed ereditata dalla modernità; crisi causata e attuata dal compimento ed estensione della società dello spettacolo previsto da Guy Debord nel 1967. Ciò nasceva dalla constatazione della mancata incidenza, tranne alcuni rari casi — Pasolini ieri, Saviano oggi —, su quella società su cui si voleva e si vuole agire. Ma questa crisi data per scontata da diversi anni viene recentemente rimessa in discussione, perché da più parti si sente la necessità di un ritorno all’impegno civile. Tuttavia, non è qui che intendiamo o possiamo risolvere la questione, ma solo segnalarla. Si tratta di un problema che naturalmente ha un risvolto anche nell’arte. Fabio Mauri nel 1975 aveva già segnalato la questione con l’opera Intellettuale in cui proiettava il film Il Vangelo Secondo Matteo di Pasolini, privo di sonoro, sul petto dello stesso Pasolini seduto su una sedia al centro della sala del museo. Un’opera permessa dall amicizia e stima reciproca dei due autori. Tuttavia nell’arte la questione restava e resta aperta, in quanto si assiste a uno scollamento tra la ricerca dell’arte avanzata e la cultura letteraria e filosofica data la posizione ereditata dall’anatema di Roderigo De Castiglia, alias Palmiro Togliatti lanciato contro l’arte astratta e d’avanguardia. Si trattava di una linea culturale conservatrice e passatista su cui si allinearono e sono ancora allineati molti intellettuali. Sappiamo, infatti, che benché Pasolini per amicizia e stima accettasse di partecipare all’opera di Mauri, l’arte contemporanea a cui era interessato era quella realista da Guttuso in giù. Inoltre sappiamo che il pensiero e l’azione di Pasolini ha nutrito e continua a nutrire molti più artisti diciamo così d’avanguardia che realisti, come per esempio Alfredo Jaar, Elisabetta Benassi, Francesco Arena. Ciò mostra uno scollamento delle parti evidente anche in altri intellettuali come Giorgio Agamben, considerato a ragione il maggior filosofo italiano vivente. Difatti, anche ad Agamben, come dimostra la sua segnalazione al Padiglione Italia, interessa un’arte di tipo realista, insomma su questo è sulla linea di Pasolini, come lo è la stragrande maggioranza degli intellettuali di destra, sinistra, centro, di qua, di là, di su di giù, lì chiamati a raccolta. Tuttavia non è di questa mostra che vogliamo parlare né della qualità o meno degli artisti presenti, o amati da molti intellettuali italiani, ma del fatto che alcuni di loro — come appunto Pasolini e Agamben — producono effetti sull’arte, sulla critica d’arte e sulla curatela d’avanguardia, o neoavanguardia a cui però non erano e non sono interessati. Insomma, si tratta di un amore dell’arte soprattutto per quegli autori che hanno una posizione critica nei confronti dell’esistente, che credono che l’intellettuale debba agire nella società, ma è un amore a senso unico, perché da questi intellettuali non è ricambiato.
10 Settembre 2015, 11:27 am CET
Intellettuale? di Giacinto Di Pietrantonio
di Giacinto Di Pietrantonio 10 Settembre 2015Giacinto Di Pietrantonio è critico d’arte, curatore, Direttore della GAMeC di Bergamo e professore presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano.
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