Marco Antonini: Da quanto e perché lavorate insieme? Quali precedenti esperienze personali vi hanno spinto a collaborare?
Hilario Isola & Matteo Norzi: Abbiamo iniziato l’avventura come compagni di viaggio. Ci siamo infatti conosciuti a diciotto anni su una nave cargo, in viaggio da Genova ad Alessandria d’Egitto. Eravamo gli unici passeggeri. Da lì, studi diversi e viaggi comuni. Il deserto, lo spazio, la scultura…
MA: Che tipo di studi?
I&N: Architettura (Matteo Norzi) e museologia e storia dell’arte (Hilario Isola).
MA: Un’amicizia, quindi, che poi si è trasformata in collaborazione.
I&N: Qualcosa tipo una fratellanza, una visione comune, un’intuizione simile. Improvvisamente, come per gioco, ci siamo trovati a lavorare sulla medesima materia.
MA: Nessuno dei due viene dall’Accademia. Cosa vi ha spinto a fare arte?
I&N: I tanti stimoli intellettuali nella Torino degli anni Novanta, comuni intuizioni su modi espressivi tridimensionali e l’interesse per architettura, scultura e paesaggio.
MA: Quelli erano anni in cui sembrava che Torino potesse diventare una nuova capitale dell’arte internazionale… ricordo la sensazione. Vista dal sud sembrava una sorta di Klondike.
I&N: Poi ci siamo insediati in un laboratorio in campagna. Una segheria idraulica del Settecento. Un mulino-macchina all’ombra di grandi alberi che per noi è diventato un vaporetto tipo Mississipi, per continuare a viaggiare. Un archetipo della natura, un filtro sul contemporaneo…
MA: Sono immagini che mi ricordano la vostra “Finisterrae”, una serie di lavori piena di queste suggestioni.
I&N: Esattamente. “Finisterrae” vuole essere un momento di riflessione personale sul limite.
MA: Fra entropia e antropia?
I&N: Una riflessione isterica sulla fine del mondo e sulla possibilità di superarla… Schizofrenico altalenare sul limbo tra entropia e antropia.
MA: Perché “fine del mondo”? In fondo i vostri sono lavori armonici, spesso molto piacevoli. Oserei dire dolci, sia per i materiali sia per la presentazione, un po’ sottovoce.
I&N: Ci pare suggestivo il concetto di limite del conosciuto; non l’aspetto catastrofico di denuncia, ma la riflessione artistica sul lato poetico della distanza tra uomo e natura.
MA: Che comunque i vostri lavori non cercano di riavvicinare…
I&N: Le tracce su cui lavoriamo sono silenziose, perché il silenzio è una sorta di empatia con qualcosa di trovato e dimenticato, nei luoghi reali e nella memoria.
MA: Sono d’accordo. Soprattutto per quanto riguarda l’uso della parola “luoghi”. I vostri lavori non sono quasi mai oggetti.
I&N: Parafrasando una felice espressione di Cesare Pietroiusti, ci interessa fare incontrare lo spettatore e l’opera sulla medesima dimensione, in modo che tra essi non vi sia una distanza di sicurezza, ma un campo di tensione.
MA: È la memoria che si avvicina alla realtà o la realtà a sfumare nella memoria? Le due cose sono molto diverse fra loro.
I&N: La memoria è sempre invenzione della mente.
MA: Invenzione?
I&N: Qualcosa di “borgesiano”.
MA: Capisco… anche se non sono del tutto d’accordo.
I&N: Lo spazio mentale e quello reale si assomigliano solamente, la distanza tra essi è sottile e fondamentale.
MA: Per me sono la stessa cosa; è la realtà, con il suo “peso” multisensoriale, a convincerci che il ricordo sia sfocato e impreciso.
I&N: Esattamente. Ci si perde tra luoghi conosciuti e ci si trova dove mai siamo stati. Immaginare e reinventare questi luoghi è il cuore della nostra ricerca.
MA: Quindi sì, non direi “invenzione”… ma è bello pensare a uno dei vostri lavori come a un cancello o un confine fra realtà e memoria. La memoria è anche il luogo in cui rielaboriamo il reale, poterla tenere presente ci consentirebbe, forse, di migliorare la realtà, avvicinarla ai nostri desideri.
I&N: Giusto. Infatti abbiamo intitolato un lavoro Virgola.
MA: Lo so, è un’installazione che mi piace particolarmente.
I&N: È un elemento di separazione, leggero, in quel caso fra dentro e fuori. In una poesia una virgola è fondamentale. Ci interessa la soglia, il luogo imprecisato capace di trattenere significati altri, come anche in Preghiera (2007), in cui abbiamo costruito una prigione e abbiamo immaginato di evadere.
MA: Preghiera è un lavoro molto ambiguo per me. Nessuno dei due lati è chiaramente identificato come quello della prigione. Quindi, chi è che ha bisogno di scappare? Chi sta pregando? E se nessuno dei due lati è “prigione”, il lavoro diviene uno spazio universale, un concetto assoluto.
I&N: Forse quello è l’aspetto più interessante: il desiderio di evadere e l’attesa fermano lo sguardo a metà tra dentro e fuori e mirano a coinvolgere lo spettatore in una riflessione personale. Il tempo della candela che brucia coincide con la possibilità di immaginare una fuga.
MA: Il vostro lavoro è raramente letterale e spesso ambiguo, ma sempre “presente” sia a livello fisico che concettuale.
I&N: Cerchiamo di arrivare a una semplicità formale e di significato, ci fa piacere che tu abbia colto questo aspetto.
MA: Fate bene. A volte mi sembra di essere intrappolato in un gioco collettivo, una gara a chi è più intelligente, colto, preparato; vedo in molti lavori che non offrono nulla all’esperienza solo un groviglio di concettualismi reconditi o, al contrario, una grande superficialitá. La famosa arte del dire tutto e niente…
I&N: Ci trovi d’accordo. Molto spesso il linguaggio dell’arte si impoverisce, diventa arido nel tentativo di essere eccessivamente autoreferenziale, per rappresentare un’élite. Fortunatamente ci sono eccezioni, artisti che ci spingono a continuare il confronto.
MA: A cosa state lavorando ora?
I&N: A dei progetti sul paesaggio. L’idea è di attraversare la soglia di cui parlavamo prima, almeno con lo sguardo, per esprimere una potenzialità. L’ambizione è di creare un lavoro che sia site-specific ovunque venga posizionato. Un telescopio è incorporato all’interno di un grande blocco di plastilina, così da essere immobilizzato in un’unica posizione. Ogni volta che viene installata in un contesto diverso, l’opera può essere modellata infinite volte in relazione a qualcosa di molto distante.
MA: Creare i presupposti per una strutturazione mentale attorno alla natura, invece di intervenire direttamente su di essa…
I&N: Elsewhere è un meta-lavoro. È un camaleonte, una chimera, che fa il verso all’arte da piedistallo, da cavalletto, e alla sua presunzione di rappresentare e comprendere la realtà. ?