Molto frequentemente Ivan Picelj (1924 – 2011) amava raccontare della doppia personale con Abraham Palatnik presso la galleria Howard Wise di New York nel 1965, quando le opere che aveva spedito per la mostra vennero accidentalmente smarrite.
Ne parlò anche a Diora Fraglica, in una delle loro quasi quotidiane conversazioni telefoniche. Entrambi erano grandi amanti di questo mezzo di comunicazione, che utilizzavano particolarmente nelle ore notturne. Era il 2010 e Fraglica viaggiava spesso a New York. Grazie ad alcune conoscenze nel mondo dell’arte riuscì incredibilmente a venire a capo della vicenda, arrivando persino a rintracciare il gruppo di circa venti opere e rinviarle a Zagabria, allo stesso Picelj.
I lavori sono stati il nucleo dell’esposizione “The Concrete Utopia. Ivan Picelj and New Tendencies 1961-1973” che la galleria Cortesi di Lugano ha dedicato all’artista lo scorso autunno.
Sentii parlare di Picelj per la prima volta nel 1961 quando, durante la mia prima mostra personale a Lubiana da Mala Galerija, il direttore Zoran Krisnik mi disse che a Zagabria era in corso un’esposizione di giovani artisti con ricerche simili alla mia. Lavoravano sulla monocromia, sui nuovi materiali, sulla percezione, sul movimento: erano le cosiddette “Nove Tendencije”, presentate alla Galerija Suvremene Umjetnosti.
Allora mi recai a Zagabria e la prima persona che incontrai fu proprio Picelj; parlava bene l’italiano e il francese e mi introdusse al direttore della Galerija Suvremene Umjetnosti, Bozo Bek, e al mondo dell’arte costruttiva che all’epoca e in quella città era in forte crescita. Da allora rimanemmo sempre legati. Ci fu tra noi un’unione, una sintonia che acuì con il tempo. Unica, irripetibile, almeno per me. Mi sembrava eterna, lo capisco ora che non c’è più.
E non posso, a questo punto, non andare con la mente ad un tempo infinitamente lontano, diverso da oggi, epico, dove l’uomo era la somma di tutte le sue esperienze, dalle ataviche origini, alla nascita, al vivere e le cui idee avevano pesi e valenze inimmaginabili; le attitudini si cercavano seriamente dentro di sé, si sviluppavano, approfondivano, limavano, sino a farle diventare certezze. Lo spirito era generoso sapendo quanto era stato difficile ottenere dei risultati, tanto da volerli estendere, ampliare.
Nelle Nove Tendecije, Picelj ebbe dal principio un ruolo rilevante. Le sue infinite conoscenze di personalità come Arp, Delaunay, Seuphor, Herbin, Kassak, Mortensen, Jacobsen, Bakic, Kelly, Stazewski, Vasarely, per citarne solo alcuni, sono state importantissime per la storia dell’arte. E quante opere ha realizzato Picelj con alterne fortune: alcune rispettate e conservate, altre perdute o abbandonate e solo prima della sua morte recuperate e restaurate dalle istituzioni. Tante ricerche, da quelle pittoriche astratte degli anni Cinquanta ai rilievi in legno degli anni Sessanta, ai “Rilievi Metallici” anche di grandi dimensioni, quasi ambientali. Ed ancora connessioni tra grafica e pittura e pittura e rilievo, per giungere alle “Variazioni”, di grafite nera degli anni Novanta e alle esplosioni cromatiche a due colori accesi – le “Variazioni-Ulm” – degli anni Duemila. A tutto ciò si aggiunge un lavoro immenso nella grafica, nei manifesti, nei cataloghi, nei libri, nei marchi… Ora per me tutto s’è trasformato in sensazioni, alle volte struggenti, sino alla tristezza.
Quanti fatti, quanti incontri, progetti, opere assieme a Picelj! Quanti viaggi, mostre, giurie, simposi, conferenze, allestimenti, ma anche feste, incontri sempre puntuali come quelli con Denise Renè o Agam, o Morellet in tante parti del mondo. Da New York a Londra, da Ulm a Monaco, da Karlsruhe a Norimberga, ma principalmente a Parigi divenuta la sua seconda patria, al punto da essere, per tutto, più francese dei veri francesi proprio nello spirito. E le ultime estati passate a Novigrad sullo splendido mare dell’Istria a godere della pace e a organizzare, per la più piccola galleria del mondo, mostre dei nostri colleghi migliori quali Kandinsky, Albers, Fontana, Bill, Mavigner, Massironi. Un’esperienza, la sua, condotta con morigeratezza, parsimonia, discrezione e signorilità, fatta di alimento ed elargizione di cultura, che continuerà sempre attraverso quello che fu nella totalità il suo essere e fare.