Sergio Risaliti: Dai palloni di basket che sembravano galleggiare nel vuoto di una teca, alla serie “Gazing Ball” — calchi in gesso di opere classiche greco romane — il percorso che hai fatto fa pensare alle celebrazioni di oggetti del quotidiano rappresentativi di una nazione e allo stesso tempo a forme e immagini simbolo di una civiltà del passato. In che modo coniughi nelle tue opere l’attualità e la storia, il mito e il presente?
Jeff Koons: Credo che le immagini e le relazioni con il passato non riguardino solo la nazione americana ma interessano l’universo in senso lato ed è su questo aspetto che sto cercando di creare un dialogo. Se penso alla teca in equilibrio è come se volessi parlare degli ideali propri del mondo greco, del concetto di armonia e di tutte le forze che sono presenti in essa. Questo è ciò che è per me equilibrio. I miei lavori recenti inoltre riflettono il concetto di auto affermazione e allo stesso tempo di accettazione del mondo intorno a noi. Secondo me tutto il presente ha alla base la classicità greca.
SR: Il tema dell’equilibrio, inteso sia da una prospettiva filosofica che sociale, torna a essere presente nella serie “Gazing Ball”, dove sfere di vetro specchianti sono posizionate quasi sul punto di poter cadere e infrangersi. Il contrasto tra materiali e forme, tra pesantezza e leggerezza, risulta essere molto straniante. In queste opere accenni alla relazione tra trascendenza e mortalità: che rapporto hai con la fine della vita e con il crollo delle illusioni?
JK: Penso che la serie “Gazing Ball” abbia a che fare con la fenomenologia e la sua base è puramente filosofica. Quando guardi queste opere è come se si rivelassero da sole in modo immediato. Solitamente i “Gazing Ball” stanno nei giardini come ornamento e allo stesso tempo quando li vedi in connessione con i miei lavori, siano oggetti di uso comune oppure opere storiche come la Venere o l’Ercole Farnese, emerge il concetto di mortalità per l’immediatezza del gesso e per la conferma che si riceve dal riflesso della sfera che stimola i sensi. È un concetto molto Dionisiaco, e al tempo stesso quando si arriva all’auto affermazione si realizza che la stessa scultura si è affermata. Quando si arriva a percepire il riflesso nella sfera è come se si cadesse nell’ombra di noi stessi e ci si avvicina al platonismo, si giunge alla Pura Forma e all’Idea. È come avere l’eterno nelle due polarità: da un lato il mondo biologico dei sensi, e dall’altro il Mondo delle Idee.
SR: Il contrasto tra oggetti mi pare nascondere ancora una vena surrealistica. Mi sembra di poter leggere nel tuo lavoro un chiaro interesse per artisti come Magritte e Dalì, per l’opera intesa come fonte di mistero ed enigma.
JK: È noto che mi è sempre piaciuta l’arte Dada e il Surrealismo. Io penso che l’iconografia personale sia rilevante per tutti gli artisti perché permette di controllare i propri sentimenti, le proprie emozioni, e quelle degli spettatori. Io penso che il Dadaismo e il Surrealismo mettano in mostra questo aspetto dell’accettazione dell’io per tutto il ventesimo secolo, si tratta di momenti storici durante i quali l’artista si è occupato degli aspetti più psicoanalitici di auto accettazione, svolgendo una ricerca interiore, ma a un certo punto è come se l’artista avesse voluto andare fuori dal proprio io, e si è così giunti alla Pop Art, mostrando un’altra forma di oggettività.
SR: Nell’immagine di copertina dell’album Artpop, dove hai collaborato con Lady Gaga, appare anche la Venere di Botticelli. Come molti altri artisti contemporanei, dall’avanguardia in poi, manipoli famose icone artistiche cui il mondo guarda con ammirazione, modificandone l’uso e il senso. Il magnetismo di queste opere del passato a tuo parere da cosa deriva, e perché per te è importante appropriartene?
JK: Io ho sempre voluto partecipare, tutta l’eccitazione di essere un giovane artista è stata quella di essere coinvolto in un dialogo. Avere un dialogo con Warhol, Lichtenstein e Picabia, Duchamp e Courbet, Manet e si potrebbe continuare ancora con Botticelli, Michelangelo e Prassitele. Con questo tipo di connessione, questa sorta di “umanesimo” diventa reale e ti proietta verso l’universale, esattamente come i nostri geni sono interconnessi con il nostro DNA. Non è possibile raggiungere questa dimensione nella realtà, mentre è veramente facile attraverso l’arte e attraverso la relazione con gli altri artisti, non solo con l’argomento del loro lavoro ma anche con ciò che rappresentano e in cosa credono; ciò ti permette di arrivare a congiungerti con il tempo e lo spazio.
SR: La ricercata perfezione formale delle tue opere, la grazia dei materiali e la sofisticata esecuzione mi sembrano essere una possibile ulteriore chiave di confronto con l’arte antica. A tuo avviso la bellezza può osteggiare l’inevitabile scorrere del tempo?
JK: Entrare in contatto con i concetti filosofici di mortalità è molto interessante, è bellissimo perché astrazione è bellezza. È un modo di affrontare queste diverse fasi e avere un senso di armonia. Si può effettivamente fermare il tempo? Perso sia difficile ma ritengo che si possa cambiare il proprio gene. Probabilmente si può cambiare anche il proprio DNA. Sappiamo che è possibile per un breve periodo cambiare la morfologia del proprio gene ma non è stato provato che sia possibile trasmetterlo a un’altra generazione anche se credo si possa fare. Io sono un essere umano diverso dalla testa ai piedi da quando ho conosciuto il lavoro di Manet. Non sono più la stessa persona di prima.
SR: Nelle ultime opere sembri più interessato alla potenza di Eros che alla provocazione della sessualità ostentata. È così?
JK: Io non credo di aver mai desiderato essere provocatorio. Penso di aver desiderato essere coerente con i miei pensieri. Quando si è onesti in questa maniera si può diventare scioccanti. A me interessa la metafisica. Sono interessato al dialogo su cosa può essere l’arte, cosa può essere la vita umana, ciò che può essere l’esperienza, per cercare di arrivare al più alto grado di consapevolezza possibile. Mi piace riflettere sulla “caverna” di Platone e tentare di uscire dalla “caverna”.
SR: Nel tuo lavoro c’è una sorta di vitale riaffermazione della bellezza scultorea che si colma di significati e rigenera il rapporto tra arte e poesia, come quello tra arte e mito. Cosa provi a vedere Pluto e Proserpina fianco a fianco di celebri capolavori del Rinascimento, in una delle piazze più celebri al mondo? In fondo Piazza Signoria è un vero e proprio museo di scultura rinascimentale all’aperto.
JK: Palazzo Vecchio e Piazza Signoria sono tra i miei luoghi preferiti al mondo. Per quanto riguarda la scultura non c’è niente che si possa paragonare con la qualità di questo museo a cielo aperto, con l’accessibilità delle opere d’arte nella vita quotidiana. Non ho mai avuto nessuna esperienza che possa essere paragonata a questa di essere in grado di dialogare con Michelangelo, Donatello, Giambologna e con i loro incredibili capolavori. Devo darmi un pizzicotto per rendermi conto di essere sveglio! Penso sia molto interessante riflettere sul fatto che in origine il David sia stato esposto senza veli, e con alcune parti dorate che si riflettevano al sole. Purtroppo oggi le parti dorate sono scomparse. Le opere di Donatello erano anch’esse in parte dorate. Pluto and Proserpina, con il colore giallo riflettente in acciaio inox lucidato, richiama l’aspetto che dovevano avere gli originali cinquecento anni fa e allo stesso tempo evoca il concetto di mortalità. Le piante nella scultura sono il simbolo della fertilità, sono il simbolo di Proserpina e del ciclo della vita e della mortalità. C’è quindi contemporaneamente l’aspetto del trapasso e quello della nascita.
SR: La cosa che mi ha sorpreso è che per Pluto e Proserpina non si può parlare di replica o riproduzione di un modello antico. Lo stesso soggetto è stato trattato in una celebre scultura in marmo del Ratto di Proserpina di Bernini, ma ne fornisci una libera interpretazione, inserendo elementi che nel mito ovidiano rivestono un particolare significato — i fiori — o eliminando figure, ad esempio quella di Cerbero. Credo che in questa opera si possa parlare di emulazione e rielaborazione dell’antico più che di sterile citazione. Quale è il tuo intento?
JK: Ho lavorato con i readymade per molti anni e la ragione per cui ancora ci lavoro per me è un atto di accettazione. Tutto è già qui in questo mondo, tu devi solo aprirti ad esso. È un altro modo rimuovere il giudizio, tutto è perfetto nel suo essere. Così ho trovato una statua in porcellana francese di 30 centimetri e l’ho usata come base per il mio modello. La mia scultura deriva da una porcellana francese del Settecento che ho riadattato e in cui ho messo delle fioriere come per un readymade. Per quanto è possibile cerco sempre di rispettare il lavoro originale a meno non mi senta sicuro di poter aggiungere, togliere qualcosa o, come in questo caso, inserire delle piante.
SR: Gli splendori dei prodotti di consumo, falsi simulacri della civiltà, così come gli oggetti dell’infanzia rievocati nelle tue opere sembrano voler contrastare le sensazioni di pericolo o di depressione. Quanto del mondo della fanciullezza ti appartiene e vive nelle tue opere?
JK: Io penso che la storia di ognuno sia il proprio fondamento è quindi molto importante che ognuno accetti il proprio essere e il proprio passato e che lo usi come base della propria vita. Nel mio background personale i miei genitori hanno sempre cercato di creare delle situazioni che fossero per me molto interessanti e ricche di opportunità. Gli oggetti di per sé non sono importanti. Non c’è felicità negli oggetti materiali. Quello che un oggetto può fare è essere un sorprendente transponder; cioè, può darti la consapevolezza delle tue possibilità di espansione nella vita e può aiutarti a raggiungere il tuo potenziale. Queste sono per me le cose importanti e rilevanti degli oggetti. Queste meravigliose opere d’arte che sono a Palazzo Vecchio sono incredibili, ma l’arte si svela solo attraverso lo sguardo di chi le guarda. Questo è il senso di eccitazione che l’arte può provocare nello spettatore. Con l’arte la vita può essere più gratificante, grazie a essa si raggiunge una maggiore comprensione, si arriva a un livello superiore di coscienza. Queste opere sono quindi dei sorprendenti transponder.