(Intervista rilasciata in occasione di Documenta V, 1972, pubblicata postuma su Flash Art n.168, 1992)
Giancarlo Politi: Cosa vuol significare questo Ufficio per la Democrazia Diretta, dove tu per 8 ore al giorno parli con il pubblico, installato qui a Documenta V? Vorrebbe rappresentare una provocazione politica nei confronti delle “Rassegne di Stato” oppure si può leggere come forma di arte comportamentale o concettuale, cui in parte Documenta V è dedicata?
Joseph Beuys: Beh, il tipo di lavoro che tu vedi qui è una specie di arte concettuale, non pensi? Come sai lavoro principalmente con questo tipo di informazione. Ma a differenza di altri ciò che comunico ha uno stretto legame con i problemi reali della vita umana. Sono problemi basilari collegati direttamente con i bisogni di tutta la gente, non soltanto con le necessità di una piccola minoranza. Si riferiscono ai bisogni di ognuno ed in questo credo ci sia una relazione, quindi un concetto; questa è vera arte concettuale.
G.P.: Ma esattamente in cosa consiste quotidianamente il tuo lavoro qui a Kassel?
J.B.: La mia aspirazione è quella di raggiungere il maggior numero di persone possibile. Ho deciso di venire qui perché la mia presenza a Düsseldorf (dove ho pure un ufficio, di cui questo è una copia) non era più così efficace, dato che in questo periodo sono andati tutti in vacanza e la città è vuota. Qui posso facilmente raggiungere un maggior numero di persone provenienti da tutto il mondo. Ieri ho incontrato una delegazione della Germania Orientale. Non ne avrei avuto occasione se fossi rimasto a Düsseldorf. Questo è il posto ideale per incontrare gente in questo periodo dell’anno. Ho incontrato anche una delegazione proveniente dalla Cina Popolare. Questo è il tipo di rapporti che posso avere qui a Kassel.
G.P.: Si parla molto in questo momento di arte ed antiarte: da che parte sei tu, ovvero dove si può collocare il tuo lavoro?
J.B.: Sì, questi sono due stadi molto importanti. E come una specie di tattica psicologica. Prima di tutto per chiarire meglio ti dirò che ciò che ho fatto sin dall’inizio è anti-arte, il che significa innanzitutto distruggere la vecchia forma d’arte. Il passo successivo per me, è stato quello di unire insieme arte e anti-arte, in una nuova forma su due livelli diversi. Ne ho desunto in questo modo un’idea dell’arte molto più ampia. Ora mi trovo nella situazione adatta per render chiari i tre passi da me compiuti e poter quindi discorrere sull’intero processo creativo. Arte è una formula. Tutti sono artisti. Parlare dell’intera creazione, questo è lavorare per l’uomo. È ciò che sta succedendo in questo periodo storico. Tutto è messo in discussione, si discute dell’idea di scienza e dell’idea di arte, ma occorre poi considerare i vecchi aspetti dell’arte, discutere dello sviluppo delle idee di scienza e dello sviluppo storico della classica idea di arte da cui partire per allargare ancora di più il concetto di arte e poi allargare attraverso il dialogo anche il concetto di scienza e poi dialogare ancora. Perché solo discutendo tutti i problemi che il genere umano avrà in futuro sarà possibile una vera e valida sociologia. Sociologia che nasce proprio dal dialogo perché dall’idea tradizionale di scienza non può sorgere una sociologia efficace che sia in stretta relazione con l’essere umano, specialmente per quanto riguarda le prossime importanti questioni per lo sviluppo del genere umano.
G.P.: Il tuo lavoro, sin dagli inizi, è apparso molto provocatorio, almeno per il mondo dell’ arte. Mi sembra che ancora si mantenga su questo versante e questa tua partecipazione a Documenta V ne è la riprova. A chi ti rivolgi particolarmente? Ai tuoi colleghi, al mondo della cultura ufficiale, alle istituzioni?
J.B.: In questo momento mi rivolgo specialmente ai partiti politici, è una provocazione più specializzata. La mia prima provocazione era rivolta a tutti gli aspetti della vita della gente; forse la mia prossima tendenza sarà più sottile e ristretta e quindi più interessante in quanto tenderà a spingere l’intera esistenza a raggiungere non solo la sfera del pensiero e lo stadio intellettuale ma anche i sentimenti e la volontà. La reazione è molto diversa, perché ogni uomo è un individuo. Ma finalmente si può incominciare a discutere di tutte queste forze, il pensare, il sentire e tutto il resto, e attraverso queste discussioni raggiungere i punti di fondamentale importanza e di portata generale circa l’essere umano: è l’inizio di un dibattito antropologico.
G.P.: Pensi che la provocazione possa essere la terapia giusta per rendere consapevole la gente o invece non rappresenta un’attitudine che contribuisca a creare blocchi mentali, ad allontanarla dai problemi a cui tu vorresti porla di fronte?
J.B.: Quando vedo o mi rendo conto di un blocco mentale cerco di combatterlo, perché io non ho assolutamente alcun interesse a creare blocchi mentali. Con la mia tecnica ottengo che la gente diventi consapevole dopo essere stata provocata, il che significa osservare la gente, non osservare se stessi e i propri interessi o le proprie egoistiche finalità personali. Io credo sia dovere di tutti nel prossimo periodo di evoluzione, in tutte le sfere della creatività umana, dai problemi scolastici a quelli sociali, economici, e in tutti gli altri, lavorare in questo senso.
G.P.: La tua provocazione, anche a giudicare dalla gente che ti circonda e che vuole parlare con te, ha un grande effetto spettacolare e populistico mentre la provocazione generale a cui tende questa Documenta sembra tendere più alla provocazione mentale e concettuale. Quale pensi sia più efficace?
J.B.: Tutta Documenta è una specie di provocazione. Tutti i nuovi modi di produzione sono una provocazione e naturalmente questo è positivo. Non mi interessa molto stabilire delle regole generali per quanto riguarda le altre attività o metodi di provocazione, che sono poi molto diversi dal mio modo di provocare (creatività), ma forse è molto importante che non esista solo il mio modo di provocare ma che possiamo osservarne altri tipi. Io non voglio dare un’impostazione ai modi di provocazione o di produzione o di immaginazione o altre cose simili.
G.P.: Qualcuno ha parlato di te, non so quanto opportunamente, confrontandoti a Marcel Duchamp (forse per le tue antiche partecipazioni a Fluxus, per certe frequentazioni o per certe dichiarazioni): come mai, secondo te?
J.B.: Duchamp… Non ho nulla a che fare con Duchamp! Non sono un eroe, sono una persona normale, se altri sono interessati a farmi apparire come tale, quello è affar loro, ma io non ho mai covato idee simili; di nuovo vi dico che più dell’arte mi interessano le persone normali.
G.P.: Nel tuo Ufficio per la Democrazia Diretta, qui a Documenta V c’è anche uno striscione che dice “La rivoluzione siamo noi”; cosa intendi dire esattamente?
J.B.: Ciò che intendo dire è che la gente potrebbe realizzare la rivoluzione se usasse il proprio potere, ma non è consapevole dell’enorme potenza di cui è in possesso ed è per questo che non si fa nessuna rivoluzione. Ecco ciò che voglio dire con quello slogan. Ancora una volta la gente ha il potere di cambiare la situazione, ma non ne è conscia; per questo reputo mio dovere informare la gente dell’enorme potenza di cui è in possesso, e mi darò da fare sempre più per questa causa.
G.P.: Pensi che Marx avrebbe condiviso questo tuo punto di vista e che il marxismo possa venire in aiuto alla realizzazione delle tue proposte così individuali?
J.B.: Penso che il Marxismo sia un punto di partenza molto efficace in questo senso, e ritengo che la genialità di Marx stia principalmente nella sua abilità di analisi della situazione; ma egli fu incapace di dare consigli sintetici sul modo di fare la rivoluzione. L’esame analitico era molto generale e questo aspetto delle considerazioni di Marx ci è prezioso, ma nessun libro di Marx tratta del come fare la rivoluzione. Ne troviamo solo qualche spunto nel giovane Marx. Ma l’idea della libertà andò progressivamente riducendosi a favore del concetto rivoluzionario di creare nuove strutture economiche, in cui l’economia fosse l’unico potere rivoluzionario. Per me tutto questo suona tremendamente errato, molto sbagliato. Marx non ha mai coltivato l’ideale di libertà. Egli ha coltivato l’ideale della democrazia e del socialismo, ma si è sempre dimenticato di parlare della libertà come potere rivoluzionario, e questo è stato un grosso errore. Scopro sempre più di non essere solo a sostenere questa posizione perché la libertà, la creatività, l’arte, sono l’unica fonte di potere rivoluzionario. Questo è il mio parere a riguardo, questa la mia rivolta, questa la mia idea di libertà come rivoluzione.
G.P.: A Parigi, nel maggio 1968 molti studenti hanno gridato che l’arte e la cultura dovessero uscire dai luoghi deputati, dai musei e dalle istituzioni per arrivare nelle strade…
J.B.: Io faccio la mia arte nelle strade, però ora sono a Documenta, perché la mia presenza qui è molto più efficace. Normalmente lavoro nelle strade, ma non soltanto. Noi abbiamo case, istituti, e dobbiamo lavorare in qualsiasi luogo ci si trovi. Per esempio io sono insegnante in un vecchio istituto e sto cercando di cambiarlo in un istituto nuovissimo, ma so che devo farlo. Lavorare nelle strade con l’arte e parlare alla gente circa la possibilità dell’arte, della scienza, della creatività e quindi della capacità di crearsi il proprio destino, e della possibilità di raggiungere i propri scopi attraverso la propria creatività a tutti i livelli, questo è fondamentale. Non dobbiamo rimanere immobili ad aspettare: se la creatività è a un livello troppo alto, si può incominciare a livelli molto più bassi. Ognuno può lavorare al livello in cui si trova. E quando tutta la gente lavora insieme, ciascuno al proprio livello, è dimostrato che tutti sono in grado di essere creativi e non soltanto artisti. Sono in grado i lavoratori come lo sono le massiaie e io ritengo che la maggior parte della gente abbia un’intelligenza sufficiente a permettere loro di essere creativi. Ecco perché dico “Der Mensch ist das Kreative Wesen”. Penso che la gente sia interessata all’intelligenza e alla possibilità di sentire insieme ad altra gente; questo è un’altro modo di essere creativi. Questo significa sviluppare i sentimenti. Un altro potere da sviluppare, a mio parere, è la volontà, la crescita della volontà nella gente e di tutte quelle capacità che troviamo un po’ dovunque. Abilità o capacità che non si trovano in un museo o in qualche mostra specifica.
G.P.: Quale sarà il prossimo momento nel tuo lavoro?
J.B.: Voglio aprire una nuova scuola internazionale libera a qualsiasi forma di creatività e ricerca interdisciplinare. Ecco il mio desiderio. Ciò che si potrebbe fare, sarebbe poter discutere e lavorare su tutti i problemi pedagogici a livello scolastico e contemporaneamente presentare tutta la produzione creativa di qualsiasi genere. Questo permanentemente e con rapporti con tutto il mondo, in modo da poter affrontare nella scuola i problemi scolastici, educativi, e mostrare, per esempio, una volta la creatività dei cinesi, poi la creatività degli ungheresi, degli scandinavi, degli inglesi, dei francesi, poi dei tedeschi, poi di gruppi specifici provenienti dalla Germania, dall’Italia, ecc.; durante il periodo di permanenza di tali cicli si raggiungerebbe uno stato di uguaglianza in tutte le cose perché ogni gruppo può presentarsi con il suo genere di produzione. Questa è la mia idea riguardo i livelli educativi e i problemi scolastici; il secondo problema è quello della presentazione internazionale di tutti i tipi di produzione visiva.
G.P.: Se l’arte è vita allora non c’è più bisogno di produttori, significa che l’arte da parte degli artisti è morta o sta morendo.
J.B.: Sì, invece: abbiamo bisogno di produrre. Per un fine particolare della creatività. Vedi, il momento della creatività incomincia con il vivere come un pensatore, no? Ecco la prima produzione, il pensare. La seconda è la lingua. Bisogna esprimere le proprie idee sorte dal pensare. Ecco il secondo stadio del produrre: pensare, parlare e poi forse anche scrivere. Dobbiamo visualizzare la produzione, e ancora di più, dobbiamo renderla tattile. Per esempio, occorre maggiore spazio per la creatività, macchine migliori per la società, mezzi più semplici per il traffico, questo solo per fare qualche esempio. Abbiamo bisogno di tutte queste realtà sotto forma di oggetti, di tecnologia, non solo in arte, ed ecco perché a me non interessa parlare soltanto in astratto di questa creatività come vita, in generale, e penso che esista senz’altro una differenza tra l’inizio della creatività e il prodotto finale. Dobbiamo mostrare alla gente la produzione, questo è ciò che intendo dire. Così tutti potranno considerare e controllare il cammino, altrimenti tutte le cose potrebbero diventare incontrollabili. L’arte è importante per distruggere le vecchie strutture entro le quali l’uomo sta soffrendo. Il dovere dell’arte è quello di distruggere le vecchie strutture. Ma essa ha anche il compito di creare e di interessarsi alla costruzione di nuove forme sociali e di nuovi prodotti.