La performance è stata uno dei punti forza della 55ma Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia, luogo di esposizione, ma anche spazio-laboratorio di creazione artistica in grado di ospitare un linguaggio che, grazie ad autori internazionali, sta guadagnando una sua completa indipendenza ed è sempre più prediletta tra i giovani artisti contemporanei. Sono state diverse le performance messe in scena nelle giornate inaugurali di questa Biennale, da “Il Palazzo Enciclopedico” di Massimiliano Gioni, ai padiglioni nazionali, fino alla mostra “Vice versa” del Padiglione italiano all’Arsenale, dove i performer sono apparsi come i veri protagonisti di operazioni uniche, che hanno stabilito nuove sinergie tra lo spazio e il pubblico coinvolto.
Questo interesse per il linguaggio performativo è stato comprovato dal riconoscimento più prestigioso della Biennale all’artista performer Tino Sehgal (Londra, 1978), invitato da Gioni a realizzare una performance per la sua mostra “Il Palazzo Enciclopedico”, nel Padiglione Centrale ai Giardini. L’azione di Sehgal ha coinvolto un gruppo di performer che sono entrati in relazione l’uno con l’altro e ritmando suoni hanno indotto lo spettatore a identificarsi con l’azione. Un rituale sociale, in cui la memoria collettiva è trasmessa tra gli interpreti e il pubblico presente.
Sempre ai Giardini, nel padiglione dedicato alla Russia l’artista Vadim Zakharov (Dushanbe, 1959) concentra il suo lavoro sull’antico mito greco di Zeus e di Danae. L’azione è dotata di due punti di vista, uno dal piano superiore del padiglione, che permette al pubblico di guardare verso il basso e l’altro dalla sala inferiore; spazio aperto solo alle donne, che accedono alla sala per raccogliere le monete che cadono dal soffitto sotto forma di pioggia. I denari raccolti sono riutilizzati per ricreare un ciclo allegorico ininterrotto che si muove dal basso verso l’alto e viceversa. I performer reinterpretano il mito greco, in una differente contestualizzazione “spazio-sociale”, che rivela nuovi significati ed esibisce i simboli di un’avidità che conquista sempre di più l’animo della società odierna.
Il padiglione della Romania presenta un’azione performativa di Alexandra Pirici (Bucarest, 1982) e Manuel Pelmuş (Bucarest, 1974), dal titolo An immaterial retrospective of the Venice Biennale. I due artisti intervengono nello spazio vuoto dell’edificio, mettendo in scena la storia della Biennale d’Arte di Venezia, attraverso le opere e le performance che si sono svolte nelle edizioni passate della storica manifestazione. Ogni azione è riproposta dai due performer a partire dal titolo dell’opera e dall’anno della sua esposizione: si tratta di una riflessione sul conservatorismo e sull’odierna sperimentazione artistica.
Il cinese Li Wei (Hubei, 1970), ospite del Padiglione Kenya insieme alla modella Li Mo, hanno dato vita a una spettacolare azione che ha visto i due performer volteggiare in una situazione impossibile, legati dalle corde di una gru sull’isola di San Giorgio, colorando l’atmosfera di polveri variopinte. Le fotografie scattate durante la performance sono esposte all’interno del Padiglione del Kenya.
Infine, ricordiamo la performance S.S. Hangover, 2013 di Ragnar Kjartansson (Reykjavík, 1976). L’azione realizzata nel bacino delle Gaggiandre all’interno dell’area storica dell’Arsenale, è costituita da una nave di legno in movimento e da sei musicisti che si alternano suonando una composizione di Kjartan Sveinsson.
La presenza della performance non manca nemmeno nel Padiglione Italia all’Arsenale, curato da Bartolomeo Pietromarchi. Sono ben quattro gli artisti a cimentarsi con il linguaggio della performance.
Si inizia con la storica performance Ideologia e natura del 1973 di Fabio Mauri (Roma, 1926-2009), riproposta in dialogo con l’installazione di Francesco Arena. La performer si esibisce mentre si toglie e si rimette ripetutamente una divisa fascista. Non c’è nulla di erotico, anzi l’azione mostra una nudità vulnerabile della giovane e rivela la relazione con gli avvenimenti culturali e storici della società.
Si segue con l’installazione di Francesca Grilli (Bologna, 1978), Fe2O3 – Ossido ferrico, 2013. L’opera è costituita da una grande lastra di ferro che reagisce e trasforma il suo aspetto in relazione alla voce della performer, che canta in un microfono sospeso al soffitto; la forza della voce e la perseveranza della reiterazione della cantante determina il ritmo di caduta dell’acqua e di conseguenza la vulnerabilità del ferro.
Nella sala attigua all’azione della Grilli e in dialogo con la cupola di Flavio Favelli, va in scena la performance collettiva La voglia matta, 2013 di Marcello Maloberti (Codogno, 1966). L’artista colloca sulla sommità di un monolite in marmo di Carrara quattro persone, che alzano e abbassano dei teli da mare, creando un’architettura provvisoria. Intorno all’enorme totem centrale, ragazzi e ragazze, in un gioco di sguardi e silenzi reggono singolari tavoli nel tentativo di una costruzione scultoria e moderna.
L’ultima performance del Padiglione Italia è del kosovaro Sislej Xhafa (Peja, 1970), il quale, invita il visitatore a salire attraverso una scala di corda sulla cima di un albero nel giardino dell’Arsenale a farsi barba e capelli. Il lavoro dal titolo Parallel Paradox, 2013, è una rilettura di un luogo — negozio del barbiere — e dimostra che la perdita della sacralità dello spazio porta a vanificare l’intimità fisica, che nella normalità induce il cliente a un dialogo intimo e confessionale.