È strano che, per il conferimento della laurea honoris causa da parte della facoltà di Sociologia di Trento a Maurizio Cattelan, i commenti si siano concentrati per la maggior parte sul tono tra il burlesco e il beffardo dell’istallazione dell’artista (un asinone nell’atrio) e del suo intervento (è entrato nella Sala Lauree mezzo ingessato). Se si vede la cosa in questo modo, infatti, sembra quasi che un’università dalle antichissime tradizioni abbia voluto fare un inaudito strappo alla regola, e, quasi in ossequio all’altrettanto antica usanza goliardica, si sia degnata di includere entro le sue auguste aule lo spiritaccio dell’artista senza arte né parte. Certo, sarebbe bello se fosse così, se un artista potesse farsi beffe del “chiuso e stantio mondo accademico” e se, soprattutto, questo mondo esistesse ancora. Chiedo scusa in anticipo del tono pasoliniano, ma un po’ di cognizioni storiche non guastano. L’università di Trento, e la facoltà di Sociologia in particolare, è viceversa assai recente (costituita nel 1962 è più giovane di Cattelan) e lungi dall’essere nata come un imbalsamato ritrovo di mandarini del sapere, ha costituito fin da subito, già nelle intenzioni dei fondatori, un laboratorio di ricerca vivo e attivo che ben presto divenne il luogo d’incubazione delle rivolte socioculturali del ’68. A sua volta, sarebbe sbagliato dire che di quello spirito contestatario non resti nulla, poiché è noto che buona parte di coloro che presero parte a quelle rivolte oggi gestisce la cultura dominante, siede in Parlamento, scrive sulle prime pagine dei quotidiani, dirige telegiornali o televisioni. Le cose sono andate un po’ come per i musei, che adesso fanno a gara nel convocare artisti che possano metterli sotto accusa o generare scandalo: qualcosa che ricorda una pia messinscena, dato che, a mettere in crisi se medesimi, erano stati i musei stessi — così come, a fare autocritica erano state, ben prima degli artisti, le stesse istituzioni accademiche. Così, l’anti-istituzione è divenuta tanto istituzionale da prevedere tra i suoi compiti anche quello di includere la trasgressione annunciata, la burla prevista e tassidermizzata. Dare la laurea ad honorem a Cattelan mi pare un gesto molto tranquillizzante, proprio perché lascia il dibattito nell’atrio delle cose “poco serie”; ma Cattelan, come figura artistica, è serissimo. E allora, perché non saltare i falsi pudori e andare fino in fondo? Perché non dare a Cattelan una vera cattedra, magari in “sociologia delle arti visive”?…