Laura Grisi è un caso più unico che raro nel panorama dell’arte italiana della metà degli anni Sessanta, epoca del suo esordio artistico: già presente alla Quadriennale del 1965 e l’anno dopo alla Biennale di Venezia, esporrà più che altro all’estero, accreditandosi immediatamente a livello internazionale. Negli Stati Uniti espone il suo primo ciclo di lavori, ovvero i “Variable Paintings” e i “Neon Paintings”, pannelli scorrevoli trasparenti e luminosi dove esplora il concetto di trasformazione e variazione come meccanismi di transfert e scambio con il fruitore, che diventerà il nucleo della sua ricerca, in un ampio spettro di significati che aprono la componente concettuale a una complessità olistica e psicologica, sensoriale e mentale fino a includere un aspetto filosofico e metafisico. Il tutto applicato ai processi naturali in chiave di investigazione oltre la dicotomia tra cultura e natura, concependo quest’ultima come linguaggio estetico, nonchè attratta dal “sex appeal dell’inorganico” della scena urbana come ecosistema artificiale all’interno della società prototecnologica. I materiali usati dall’artista esprimono un fascino che ne trascende la fisicità: tela, metallo, legno e Plexiglas uno dei suoi materiali d’elezione, dove si coniugano il principio formale dell’ombra e quello della riproduzione fotografica per le sue qualità intrinseche di riflessione atmosferica e freddezza da reportage. Alludendo alle vetrine che rispecchiano le ombre dei passanti con gli effetti illusori di uno spazio urbano notturno attraversato dai lampi della luce abbagliante del neon, suggeriscono una dimensione introspettiva e misteriosa che oscilla come tutto il suo lavoro tra presenza e assenza, finito e infinito.L’artista, pure partecipando intensamente al clima artistico e culturale nell’adesione in primis all’istanza di superamento della pittura e dei linguaggi propriamente detti nell’analisi delle strutture sintattiche della rappresentazione, si colloca in una posizione estremamente originale e autonoma, non riconoscendosi in gruppi o trend, sviluppando l’istanza concettuale in termini cangianti e caleidoscopici. Una posizione frutto della sua particolare storia personale e dei suoi interessi che coniugano filosofia, teatro, cinema, danza, letteratura, poesia, scienza, antropologia, e che la porta, tra i primi, a interessarsi al tema della differenza e dell’ibridazione tra discipline, culture ed etnie. Le sue opere più che descritte, vanno vissute: “aperte” ed enigmatiche, allusive e controllatissime, fredde e sensualmente poetiche, una sorta di appendici del suo stare al mondo, schermi delle imponderabili metereologie dell’anima nella simbiosi con quelle naturali, col distacco aristocratico di una leggera ironia e dello scarto simbolico.
L’uso degli elementi naturali è in un’accezione molto diversa dalla condensazione in una tautologia oggettuale mitico-ancestrale come quella operata dall’Arte Povera: Grisi indaga la natura come fatto mentale, misura deserti e oceani durante i suoi viaggi per il mondo, li filma, ne riproduce le sonorità, gli equilibri intrinseci e li riproduce artificialmente. I fenomeni naturali sono usati come linguaggi propri dell’arte: nebbia, acqua, arcobaleni e rifrazioni luminose, cieli pulsanti di stelle, aria e vento, “un altro simbolo inconscio e naturale a vocazione sociale”, come lo definisce Calvesi nel 1968.
Imprimendo con le facoltà dell’environment esterno una dimensione psicologica allo spazio interno, li ricontestualizza, come veri e propri materiali espressivi da cielo in una stanza, suscitando stati d’animo, sensazioni e reazioni emotive inaspettate, provocate dall’energia degli effetti del teatro naturale nel fruitore, vero e proprio soggetto dell’interpretazione. Nel “Teatro delle mostre” a La Tartaruga realizza una Wind Room con il vento (40 nodi) creato da una serie di ventilatori da teatro, mentre l’anno dopo allestisce Fog Room alla Galleria Marlbourough di Roma, creando una sorta di set dove la nebbia artificiale come una vera e propria forma plastica avvolge tutto, filtrata dalla luce degli “antinebbia” ovvero delle spirali di neon, materiale usato dall’artista tra i primi nell’ambito internazionale. In Rain Room del 1970 le gocce piovendo dal soffitto secondo una cadenza alterata in una vasca e formando una serie di cerchi concentrici, emanano una sonorità mantrica da luogo di meditazione: un invito subliminale all’immersione nella natura universale e individuale attraverso un ritmo mentale che apre una dimensione “altra”. Il processo temporale in sinergia con la condizione spaziale è il fulcro e la chiave di accesso alla complessità del suo lavoro: un tempo psicologico che si modula su una vasta gamma di variazioni da un’istanza ciclica a una sorta di scatole cinesi o di onde continue spinte verso una risacca metafisica, a partire da una visione fluida bergsoniana, relativa e insieme assoluta, non cronologica. Un’idea di tempo che scardina quella comune della serialità omogenea, alla luce di una relazione con l’infinito in cui passato, presente e futuro si mescolano in un ordine differente. Nella serie “Variations”, Grisi attua un’investigazione sulle varie forme assunte dalla realtà in rapporto con lo spazio, secondo una parcellizzazione di spazio e tempo all’infinito, come in Pebbles del 1973 dove studia un numero aperto di variazioni possibili della posizione dei sassi o in Hipothesis about time, del 1976: una sequenza di 360 fotografie di un orologio prese a intervalli di un secondo, dove attraverso un processo matematico che agisce sul secondo come unità di misura, dimostra che l’ordine progressivo si può sovvertire in un altro sistema di relazione. Nella serie “Distillation”, analizza le sue sensazioni personali nell’impatto con simbologie e rituali delle culture tribali: in The Measuring of Time del 1969 l’azione di contare i granelli di sabbia del deserto enfatizza la misura dell’infinito presente in un video, dove in una sequenza unica a spirale si inizia dal close up delle mani per allargare l’inquadratura sulla figura intera, riprendendo in senso contrario fino a concludersi sull’inquadratura iniziale.
L’indagine capillare sulla natura immateriale del tempo prende forma di libro in 3 Months of Looking, dove analizza la sua percezione del contatto diretto con la natura con una modalità da esperimento di laboratorio, registrando ore, giorni, luoghi o in Choise and Choosing 16 from 5000, che ripercorre l’esperienza di una serie di viaggi tra etnie, usi e costumi tribali il 1964 e il 1969, tra Sud America, Africa, India, e profondo Oriente, in un reportage di 5000 scatti fotografici originari che vengono selezionati e distribuiti secondo analogie visive in 16 sezioni, e rifotografati in un medesimo luogo e in una stessa condizione di luce che li rende omogenei. Dalla fine degli anni Sessanta all’inizio del nuovo decennio l’artista matura il passaggio dall’oggetto al processo, come avviene analogamente nel contesto estetico italiano e internazionale, affrontando il tema delle connessioni spazio-temporali con un’altra ottica rispetto alle ricerche cinetico-visuali, ovvero nel senso di una progettazione svincolata dall’opera e applicata alla dinamica processuale stessa e alle sue fenomenologie.
L’indagine della Grisi si condensa sempre più sulla riflessione sull’imponderabile come infinito filosofico intrinseco all’esperienza quotidiana e universale, espresso con la metafora del labirinto. La trilogia De More Geometrico del 1977 è imperniata sulla divisibilità illimitata dello spazio attraverso le figure geometriche del triangolo, dell’esagono e del quadrato, e le immagini emblematiche di tre animali, l’uccello, la farfalla e la tartaruga: in Endless Dialogue usa la scacchiera, sottolineando come sia “il più ricco e più aperto simbolo di mobile dualità: ha il bianco e il nero (come il giorno e la notte), il positivo e il negativo, la velocità e il controllo, la progressione lineare e diagonale, ma rimane un coerente e controllato sistema, uno strumento dagli infiniti significati che possono essere ritrovati tutti in un singolo elemento”. Rendendo la superficie della scacchiera uno spazio impossibile da attraversare perché divisa in spazi sempre più piccoli, la tartaruga si trova imprigionata in un labirinto senza soluzione di continuità, come recita il paradosso di Zenone. Se tutto ciò che esiste è nello spazio anche lo spazio stesso deve essere nello spazio, e così ad infinitum”. Un paradosso citato anche da Vàlery e dal Surrealismo, uno dei riferimenti ideali dell’artista, come Duchamp e Cage, Pollock, Rauschemberg, Proust e Voltaire, Borges e la Nouvelle Vague cinematografica, Galileo, Barthes, il Pinocchio di Carmelo Bene e La Vita Nova di Dante, i grandi mistici, coniugati con il gusto dell’avventura e la passione per la scienza sperimentale, l’attitudine al nomadismo e al sincretismo culturale. Dai primi anni Ottanta Grisi continua nella sua operazione chirurgica sui temi del tempo applicata alla visione sensoriale e mentale dell’imponderabile in quanto sfida nell’ambito della percezione visiva, come in Minimum Discernibile. Contemporaneamente al ciclo “Sundials”, meridiane installate al chiuso e all’aperto, passa nel 1985 dal montaggio sequenziale fotografico alle “Wall Sculptures”: una sorta di diario dei suoi interessi molteplici, insiemi eterogenei dove condensa vari significati nella stratificazione di epoche lontane tra loro, a fronte delle stesse nozioni di permutazione, riflessività, simmetria, similarità ed eterna divisibilià: Rinascimento, Barocco, Avanguardie storiche convivono in un cortocircuito concettuale dove la prospettiva classica si incastra nella quarta dimensione, rimandando alle sedimentazioni e stratificazioni del tempo attraverso punti di vista variabili nello spazio. In questi assemblaggi tridimensionali su legno con cera, pigmenti d’oro, mosaici e marmo compaiono piccoli oggetti di bronzo alcuni nascosti, altri che si possono prendere e spostare, come in Apollinaire Secret dove accanto all’uovo, come citazione di Piero Della Francesca, appare una clessidra che può essere presa e capovolta e due libri, uno di bronzo, l’altro La Vita Nova di Dante che volendo si può leggere.
Dai primissimi anni Novanta, l’artista torna alle installazioni bidimensionali nella “Mirrored Series”, un’ opera unica divisa in tre, esito del processo sistematico di indagine sui principi di permutazione matematica iniziato circa vent’anni prima, della metamorfosi dello spazio fisico in uno spazio mentale e della specularità di uno spazio e di un tempo sovvertito, che si evolve anche su questi lavori su una procedura della divisione all’infinito, dettata da una logica metafisica non convenzionale che determina una dimensione di sospensione percettiva e sensoriale: dalle superfici “riflessive” brillanti e riflettenti, opache e traslucide di Mirrored Time-Mirrored Space, agli orologi di Mirrored Time, che annullano lo scorrere del tempo rendendolo illimitato. Queste opere come tutto il lavoro di Laura Grisi artista di transito e rizomatica, riportano puntualmente a un’investigazione stringente e meticolosa dei meccanismi che condizionano e regolano quotidianamente la vita collettiva in relazione alla complessità della condizione umana, all’esistenza e alla conoscenza in senso ampio, riflettendo sui massimi e minimi sistemi, il tutto e le sue parti, il mondo e il suo doppio, il corpo e la sua ombra, attraverso codici e ordini “differenti”. Timeless, please.