Sebbene gli anni Sessanta siano stati oggetto di numerose mostre e pubblicazioni, alcuni delle artiste e degli artisti emersi in quel decennio non sono ancora indagati e analizzati come invece meriterebbero. È il caso di Laura Grisi, un’artista spesso inclusa nella Pop art italiana, la cui ricerca in verità esula da qualsiasi tipo di categorizzazione.
È proprio a Laura Grisi che il Muzeum Susch in Svizzera dedica la prima ampia retrospettiva dopo la sua scomparsa nel 2017, intitolata “The Measuring of Time” a cura di Marco Scotini. Il titolo viene dall’omonimo film in 16 mm che ritrae l’artista seduta su una spiaggia, da sola, mentre conta, ad uno ad uno, i granelli di sabbia, all’infinito. È la dimensione infinitesimale del tempo quella che forse le appartiene maggiormente e che Grisi da sempre ha cercato di “misurare” con la sua arte, tesa a oltrepassare qualsiasi definizione canonica e inquadramento non solo artistico, ma anche geografico e temporale.
La mostra al Muzeum Susch dà conto in modo chiaro ed esaustivo dello sviluppo della sua ricerca, fin dalle sue premesse, includendo libri d’artista e fotografie che risalgono alla fine degli anni Cinquanta e che anticipano un aspetto peculiare del lavoro e dell’essere stesso di Grisi: il viaggio, il nomadismo, il rifuggire da qualsiasi definizione univoca di tempo e di luogo. Tra il 1958 e il 1964, infatti, insieme al marito Folco Quilici, l’artista trascorre lunghi periodi in Africa, in America Latina, in Polinesia, nel sud- est asiatico e in quelle occasioni scatta migliaia di fotografie. Da un lato, questo suo coinvolgimento con culture non occidentali lascia un segno indelebile nella sua pratica sempre più orientata alla ricerca di un pensiero cosmico universale. Dall’altro, l’utilizzo della fotografia e il contatto con la natura la conduce a fare dello sguardo, e dunque della percezione, nonché della natura stessa, i soggetti principali della sua ricerca.
Lo dimostra l’ampio nucleo di opere degli anni Sessanta presenti in mostra, come gli esemplari della serie “Variable Paintings” (1964–1966). Si tratta di quadri a due o più pannelli scorrevoli di tele dipinte e plexiglass colorato (come Seascape, 1966) che invitano lo spettatore a modificare la percezione dei paesaggi ivi dipinti mediante lo scorrimento dei pannelli.
Tra le opere degli anni Sessanta la mostra include anche alcuni esemplari della serie “Neon Paintings” (1966–967), i quali si differenziano dai precedenti soprattutto per l’utilizzo del neon che moltiplica la riflessione sulla dialettica profondità/prospettiva, stasi/movimento già intrinseca nei “Variable Paintings” (come Subway, 1967).
Di particolare importanza sono altresì i lavori della serie dei nove “Natural Elements” con i quali dal 1968 Grisi riproduce artificialmente fenomeni atmosferici entro spazi chiusi creando l’illusione di stare in uno spazio aperto. In Un’Area di Nebbia (1968) fari antinebbia sono pensati per attraversare con la loro luce fredda una densa nebbia prodotta artificialmente. L’esposizione ricostruisce questi nove ambienti, mai riallestiti dalla fine degli anni Sessanta/inizio anni Settanta, quando furono presentati in importanti spazi espositivi come la Galleria La Tartaruga e la Marlborough Gallery di Roma, il Museum of Fine Arts di Boston, la Galleria del Naviglio a Milano.
La natura, già entrata come soggetto d’indagine nei “Variable Paintings”enei“NaturalElements”,nelleoperedeglianniSettanta diventa tema concettuale privilegiato per indagare le leggi matematiche che governano il cosmo. Un esempio sono i lavori esemplificativi delle serie “Sound” (1971), “Distillations” (1970), “Pebbles” (1972-73) presenti in mostra, nonché alcune importanti opere sul tema del tempo e sul motivo iconografico-concettuale della scacchiera che caratterizza la ricerca dell’artista dalla seconda metà degli anni Settanta.
L’esposizione include tutte opere di gran rilievo dal punto di vista storico-artistico, ma una particolare menzione meritano i due lavori esposti in occasione della Biennale di Venezia del 1966: Landscape Omaggio a Gainsborough (1966) e Seascape-Omaggio a Constable (1966). Monumentali pitture (l’uno 200 × 200 cm, e l’altro 220 × 330 cm, entrambe della serie “Variable Paintings”), le cui immagini di paesaggi “sono oggettivate al massimo”, scrive Nello Ponente nel catalogo della Biennale: “offerte ad una lettura bloccata come nei pannelli di Laura Grisi, che infatti permettono diversi momenti di interpretazione solo attraverso la sovrapposizione delle parti”.
Infine, altri lavori notevoli quelli inclusi nella collettiva “Earth Air Fire Water: Elements of Art” al Museum of Fine Arts Boston nel 1971: Refraction (1968), ma soprattutto Drops of Water (1968) dei “Natural elements” che ricrea il fenomeno della pioggia mediante un tubo pieno d’acqua sospeso al soffitto che, da piccoli fori, lascia cadere gocce d’acqua in un grande bacino rotondo. Natura e percezione: sono questi, dunque, i poli fondamentali dell’indagine artistica di Laura Grisi che ne rendono così coerente e solida l’intera produzione.