Le accademie straniere a Roma, realtà unica in Italia, stanno prendendo sempre più piede. Fondate all’inizio del secolo scorso per sostenere gli studi, soprattutto archeologici, dei connazionali, con il tempo hanno deciso di includere musica, arti visive, cinema, letteratura contemporanea e architettura. Gli studi ospitano borsisti americani, inglesi, francesi, tedeschi, che risiedono tre, sei, nove mesi, in alcuni casi fino a due anni. L’American Academy in Rome offre anche una borsa di studio per artisti italiani. A questi si aggiungono gli artisti invitati in occasione di mostre, concerti, conferenze, sopralluoghi per progetti futuri, e il numero di presenze si moltiplica. Fra resident, fellow e visiting artist troviamo ad esempio Thomas Demand, Richard Billingham, Olaf Nicolai, Adam Chodzko, Yun-Fei Ji, Joshua Mosley. Il fascino esercitato da queste strutture è indiscusso: le sedi sono incredibilmente accoglienti, immerse nel verde di giardini privati equiparabili a ville pubbliche. Tuttavia, non dobbiamo pensare a luoghi di monastico ritiro, almeno guardando agli ultimi anni. La linea seguita dalle accademie è quella della comunicazione e dello scambio, fornendo agli artisti residenti gli strumenti necessari per potersi orientare: introduzione alle gallerie, ai curatori, presentazione della città e alla città, come raccontano Dana Prescott e Lexi Eberspacher dell’American Academy in Rome e Joachim Blüher e Shara Wasserman dell’Accademia Tedesca. Una serie di mosse volte alla reciproca conoscenza: gli esiti di studio visit, mostre di fine o metà anno non sempre si vedono e dipendono naturalmente da diversi fattori, ma gli incontri a volte fortunati che avvengono in queste circostanze portano sempre più di continuo a successive collaborazioni. È stato così per Laurent Grasso, che durante la sua residenza all’Accademia di Francia, nel 2004-2005, ha fatto una personale alla galleria Extraspazio; così per Hansjörg Dobliar, che da S.a.l.e.s. nel 2006, ha presentato una serie di opere realizzate durante il suo soggiorno all’Accademia Tedesca nel 2006; stessa cosa farà l’americano Matvey Levenstein presso Lorcan O’Neill questo autunno. Così è anche per Astrid Nippoldt: nel 2006, durante la sua residenza, ha presentato per la prima volta la trilogia video Grutas, Adele e Sitting Lenin, nell’ambito della rassegna “Step In Step Out”, curata da Ilaria Gianni presso la Fondazione Olivetti. Il suo lavoro è stato scelto per inaugurare la nuova galleria Mummery + Schnelle nel West London a settembre.
La British School non offre solo residenze per artisti. Qui il Contemporary Arts Programme ha organizzato mostre personali di artisti inglesi come Rachel Whiteread, Martin Creed, Mike Nelson, Ian Kiaer. A partire dal 1998, da quando la curatela del Contemporary Arts Programme è stata affidata a Cristiana Perrella, ha preso avvio anche il progetto “Viva Roma!”. “L’obiettivo è stato, fin dall’inizio, quello di stimolare il confronto degli artisti con la città”, dice Perrella, “non solo in quanto emblema della Storia e della cultura occidentale ma anche, e principalmente in quanto luogo della contemporaneità, teatro di contraddizioni, tensioni, fermenti nuovi”. Dopo il primo progetto di Cerith Wyn Evans (Oedipus Rex del 1999), Mark Wallinger (che nel 2000 ha realizzato il video Threshold to the Kingdom, presentato al Padiglione Inglese della Biennale del 2001), Yinka Shonibare, Scanner, Sophy Rickett e Jonathan Monk, stanno lavorando ai prossimi progetti Kutlug Ataman e Chris Evans, entrambi ospitati per le loro ricerche sul campo nei mesi di giugno e luglio. È a metà della sua residenza all’Accademia Tedesca Carsten Nicolai, incontrato in un pomeriggio di fine giugno nel giardino dell’Accademia di Romania. Qui è allestita “Spazi Aperti”, collettiva che riunisce i lavori di oltre 30 artisti provenienti dagli istituti culturali stranieri a Roma. Ad occuparsene è Alexandru Nicolescu, artista con residenza di due anni. Nicolai spiega che aveva bisogno di staccare da Berlino, di stare senza il suo tavolo da lavoro con le cose da fare, e che stare a Roma è stimolante. E poi gli piaceva l’idea di venire in Italia, il Paese europeo, dice, dove la sua musica è recepita meglio e “arrives very quickly” come un “fresh restart”, dice. La sua vita è cambiata di poco, eccetto per le performance che da quando è arrivato sono aumentate. All’Accademia di Romania farà un dj set.
Carsten Nicolai: È una cosa nuova per me. Lo facevo tanti anni fa e a Roma me l’hanno chiesto, così ho ricominciato. Prima con Luca Lo Pinto per le feste di Nero a Roma e a Venezia. È una cosa facile da organizzare, un buon veicolo di comunicazione, mi piace la gente, sentirne l’energia. Quelli che già conoscevo appartengono alla scena musicale, Romaeuropa Festival, Dissonanze, a cui ho partecipato. In un contesto più legato all’arte, c’è una certa energia connessa a uno stretto gruppo di giovani. Sento che qualcosa sta succedendo, ma allo stesso tempo vedo quanto sia difficile. Roma non è molto contemporanea, l’attenzione è concentrata sull’antico, ci sono grandi spazi pubblici la cui attività potrebbe essere più incisiva. Non so perché, ma più scendi verso il Sud e più la musica funziona meglio dell’arte. Certo, qui si tratta di un dj set, non c’è niente di “profondo” in questo. Per il resto invece, c’è bisogno di più lavoro e preparazione e soprattutto di uno spazio appropriato. E questo forse è un problema per Roma. Non ho ancora visto uno spazio per l’arte veramente eccezionale.
Considerazione da raccogliere, anche se non del tutto condivisibile, in una città in continua espansione. Mentre le accademie straniere auspicano una maggiore collaborazione tra loro, una sorta di “fare sistema”, e lasciano intuire che qualcosa in questo senso accadrà presto.