Lee Bontecou è stata la prima a usare una forma tridimensionale che non fosse né pittura né scultura. Il suo lavoro è esplicito e potente. Bontecou è nata a Providence, Rhode Island, nel 1931, e ha vissuto, più o meno alternativamente, a Westchester e Nova Scotia. A New York studiò scultura alla Arts Student League dal 1952 al 1955 con William Zorach e John Hovannes. Nel 1956-57 è stata a Roma con una borsa di studio Fulbright, e qui realizzò uccelli e animali fatti attaccando pezzi di terracotta a un’armatura. Questi lavori erano belli ma, come lei diceva, potevano essere fatti in ogni epoca. Le parti non si incontrano, come animali loricati, anneriti lungo i contorni — ognuno di essi è in relazione con le parti presenti e i bastoncini. L’intenzione quindi era quella di far fluttuare in qualche modo le parti.
La tela infatti forma intorno alla cavità un continuo fluttuare. Il colore era, e ancora è, grigio. Alcuni uccelli e animali erano di cemento e altri di bronzo. Questi lavori furono presentati alla G Gallery nel 1959. Bontecou fece dei disegni per i pezzi utilizzando la tela nel 1958 e ne fece altri nel 1959. I primi rilievi sono semplici: una paio di pezzi di tela trapezoidali sono attaccati a bastoncini che si estendono da un rettangolo di un ferro a elle al margine della cavità centrale. L’idea era unica. La prima mostra da Castelli si tenne nel 1960 e la seconda nel 1962. Spesso la potenza risiede in una polarizzazione di elementi e qualità, o almeno in una combinazione di cose dissimili. La potenza dei rilievi della Bontecou è incredibilmente unica. I tre aspetti principali, la dimensione, la struttura e l’immagine, sono semplici, definiti e forti. Si combinano in maniera esponenziale. Non sono troppo in contrasto: hanno quasi la stessa qualità e la stessa forma. La dimensione, la struttura e l’aspetto sono quasi identici nei rilievi più semplici. Le opere della Bontecou più complesse sono le meno potenti e anche le meno interessanti. Negli ultimi quindici anni un esiguo numero di artisti americani ha sviluppato una nuova dimensione. Fino a poco tempo fa la pittura astratta e la scultura conservavano la misura e il tipo di unità necessaria per la rappresentazione degli oggetti nello spazio. I nuovi lavori hanno invece una dimensione interna più ampia e meno parti. La dimensione dei suoi rilievi, unita ad altri aspetti che caratterizzano le sue opere, è pragmatica, immediata ed esclusiva. Piuttosto che indurre all’idealizzazione e alla generalizzazione ed essere allusiva, essa esclude. I lavori affermano la propria esistenza, forma e potenza. Diventano un oggetto a pieno diritto. Bontecou è stata una delle prime a far coesistere la struttura di un lavoro tridimensionale con la sua forma totale. Se un’opera afferma il proprio valore e la sua esistenza, è necessario che le sue parti essenziali siano lasciate sole. Le parti essenziali devono allora occupare tutto lo spazio a disposizione — questo perché le dimensioni più grandi e l’economia dell’opera sono vincolanti. Comunemente le parti strutturali giacciono all’interno di un campo formato dal rettangolo del dipinto. Anche i tagli nelle tele di Lucio Fontana, per esempio, sono fatti così. Il buco centrale in uno dei rilievi della Bontecou è formato della tela che si estende ai bordi dell’opera. La posizione e il numero di buchi e la loro traiettoria o traiettorie sono la struttura principale e determinante. Un buco può essere decisamente fuori dal centro o in posizione angolare rispetto alla pianta generale dell’opera; oppure ci possono essere ulteriori livelli in conflitto intorno a un singolo buco; oppure due buchi in conflitto fra loro.
Il pezzo, la struttura e l’immagine di un oggetto sono un qualcosa di cupo, di abissale. Solo la Bontecou ha triplicato la sua identità. Solitamente un’immagine è una forma che suggerisce principalmente qualche altra cosa, nella misura in cui un’immagine è ambiguamente descrittiva. Bontecou invece non ha cambiato la natura dell’immagine, ma ha cambiato profondamente la sua enfasi. L’immagine dominante, il buco centrale che circonda la tela, non è fondamentalmente descrittiva e allusiva. Il buco nero non allude a un buco nero: lo è. L’immagine non suggerisce altre cose, ma è tale per analogia; l’immagine è una cosa tra cose simili. Nel 1961 realizzò un grande rilievo, ampio sei piedi, alto sette e profondo tre, con un singolo buco centrale annerito da velluto nero che, nell’ombra nella quale si ritrova, diventa un vuoto oscuro. La forma del buco, un ovale squadrato, è complessa, non essendoci solo un singolo margine. La metà della superficie che delimita è spinta in avanti di tre tele; il buco corre dritto sotto i suoi bordi stretti e filamentosi. Il margine più basso del buco è ambiguo. Il bordo affilato del buco, considerevolmente curvato all’interno della metà superiore, è netto, ma c’è un’inclinazione a partire da questo fino a formare un’ampia bocca, arrotondata sul bordo superiore. La pendenza e la bocca sono scandite, concentricamente e trasversalmente, da strisce di tela di diverse gradazioni di luminosità. I margini superiori e inferiori girano profondamente verso l’interno e si estendono verso l’esterno dietro ai loro margini interni. Alcune forme più piccole sono concentriche. Tutte le forme sono disposte su uno schema conico all’angolo destro della parete. La pendenza dall’alto verso il vuoto stabilisce una seconda direzione verso l’interno. L’effetto dell’immagine immediata e della sua struttura è facilmente evidente in ogni rilievo. La difficoltà è nell’immaginario secondario e nella sua struttura, che determina molta della sua complessità e la particolarità del lavoro. Gli aspetti dominanti, che sono generali, opprimono i più piccoli, che sono particolari. Nel lavoro descritto, una delle grandi forme che esplodono si inarca lungo un angolo superiore, a mo’ di cresta. Questo è un tipo di immagine più vecchia, meno impressionabile. Molte delle partizioni e dei tagli trasversali, entrambi obliquamente cubisti, sono impegnate a trasportare gli elementi secondari lungo i primari. Se gli elementi secondari sono numerosi e troppo complessi, come in un suo rilievo del 1961, feroce nel senso letterario della parola, il lavoro quasi cade in un immaginario ordinario. Il lavoro della Bontecou diventa progressivamente più complesso.
I rilievi erano semplici all’inizio. La triplice esistenza dell’immagine la rende un oggetto. Questo minaccioso e potenzialmente funzionante oggetto è al livello dello sguardo. L’immagine non può essere contemplata; deve avere a che fare con essa stessa come un oggetto, o almeno osservata con perplessità e diffidenza, come un oggetto strano, e vista quasi con terrore, come se fosse una mina inesplosa o ben nascosta nell’erba. L’immagine prende le mosse da qualcosa di sociale, come la guerra o qualcosa di privato come il sesso, rendendolo uno specchio dell’altro. Gli oggetti sono coricati, frammenti di vecchi teloni sono attaccati ai vecchi bastoncini con fili intrecciati. Nere guarnizioni come orifizi sono attaccate ad alcuni pezzi; alcune hanno lame di seghe a nastro all’interno della bocca. È un monte di Venere. “La testata sarà accoppiata alla posizione di attacco”. Anche l’immagine si estende a partire dalla bellicosità, sia materiale che psicologica, aspetti che non corrispondono — all’invito, erotico e psicologico, e anche mortale. È un atto di scetticismo fare un’opera così forte e materiale che può solo affermare sé stessa. Questa dichiarazione ignora tutte le forme di solipsismo, naturale, morale, sociale e le altre semplificazioni che oltrepassano i loro fondamenti. Bontecou è ovviamente indifferente, per esempio, alle semplificazioni artistiche. Lo scetticismo verso le idee dell’arte equivale allo scetticismo verso i comportamenti sociali che hanno a che fare con quelle idee. I rilievi della Bontecou sono una dichiarazione di se stessa. O di ciò che lei conosce e sente. La loro primitiva, oppressiva e assoluta individualità, esclude grandiose interpretazioni. La potenza esplicita che rimpiazza le semplificazioni è una nuova e più forte forma di individualità. Il lavoro della Bontecou possiede un’individualità che è possibile ritrovare solo nel lavoro di pochi altri artisti, che sono principalmente americani. Le varie gerarchie americane sono abbastanza stupide, ma apparentemente quelle di qualche altro luogo sono anche peggio.