Dopo lo stravolgimento politico delle elezioni presidenziali americane, giornalisti, accademici e artisti hanno cercato di dare un senso a quest’esito inaspettato. Una fonte d’inquietudine comunemente citata è stata il potere crescente degli algoritmi, con la tesi che vede la vittoria di Trump come il risultato di un’intelligente amministrazione dei dati dei votanti. Dalla fase iniziale delle primarie in poi, il team della campagna di Trump ha iniziato a raccogliere i profili dei singoli votanti per inviare a ogni gruppo una pubblicità il più possibile ad hoc. Un microtargeting di questo tipo non è nulla di nuovo nella conduzione di campagne politiche, ma lo staff di Trump ha dato una drastica sferzata al successo di questa strategia attraverso la cooptazione di algoritmi sviluppati da piattaforme dedicate ai consumatori come Facebook e Google. Questi algoritmi commerciali hanno aiutato la campagna non solo a identificare un più grande numero di profili di utenti, ma hanno anche reso possibile testare diverse migliaia di variabili di una stessa pubblicità in modo tale da formulare messaggi su misura.
Le nuove forme di invio e diffusione dei messaggi mostrano un cambiamento significativo del nostro coinvolgimento sui forum digitali. Gli algoritmi creano ambienti indipendenti che vogliono rispecchiare il dibattito pubblico, ma sono in realtà prodotti individualizzati di un processo selettivo che è delineato sui profili personali degli utenti. Nella cassa di risonanza, punti di vista privati vengono mostrati come idee pubblicamente accettate, come se, per contrasto, i gruppi d’interesse riducessero uno spettro di opinioni in un solo messaggio. Ciò che è percepito come pubblico gradualmente diventa privato, e viceversa. L’abilità di tali algoritmi di manipolare e interferire con l’accesso democratico all’informazione e all’opinione è estremamente allarmante. Le riserve sono più che altro legate all’oscuro e astratto funzionamento dei codici, che non a un generale rifiuto della programmazione moderna. La posizione dell’individuo incasellato in mondi digitali costruiti su misura per lui, pone domande sull’insinuarsi degli algoritmi intelligenti nell’interazione sociale. Ad esempio: la sempre più approfondita condivisione di storie basate sui dati racimolati dai programmatori crea forse mondi poco trasparenti che fanno pericolosamente progredire l’alienazione dell’individuo? E ancora: gli algoritmi intelligenti ci proteggono dalla realtà o invece, penetrando nell’ipocrisia sociale e nella censura, ci espongono rispecchiando i nostri più intimi desideri?
Alla luce del graduale svelamento dei potenti meccanismi digitali che hanno influenzato le elezioni americane, il MoMA PS1 ha recentemente curato una mostra che affronta la relazione tra arte e codificazione. L’esposizione comprendeva la trilogia Emissaries (2015-17) di Ian Cheng (Stati Uniti, 1984; vive a New York), una serie di simulazioni generate al computer, che riguardano mondi strani e complessi abitati da una fauna selvaggia, forme geometriche astratte e personaggi bizzarramente distorti che interagiscono, si fondono e si trasformano costantemente.
Emissaries comprende tre episodi connessi tra loro, ciascuno dei quali è legato a un aspetto specifico dell’evoluzione cognitiva di uomo e macchina, ambientati in mondi immaginari di cui l’intelligenza artificiale gradualmente prende il controllo. Questi sistemi ecodinamici, descritti dall’artista come “imitazioni della complessità del mondo reale”, sono proiettati su grandi schermi che permettono allo spettatore un’immersione completa. Il flusso di immagini e le trasmutazioni seguono una logica o un modello non riconoscibili. Le difficoltà nel descrivere i mondi digitali di Cheng sono imprescindibili dal lavoro, per cui l’artista usa lo sviluppo del meccanismo propulsore di un video game per definire i parametri base e i valori della simulazione. Successivamente, una serie di algoritmi programmati ad hoc riproduce questi elementi in modo casuale e li riorganizza attraverso un processo quasi evoluzionistico creando un flusso infinito di nuove combinazioni e rendendo Emissaries una serie di proiezioni della creatività artificiale dell’algoritmo.
Un cane giapponese Shiba Inu è uno dei temi più ricorrenti nelle simulazioni di Cheng. Questo volpino, spesso dotato di un collare slegato e ciondolante, ha il ruolo di un compagno che guida l’audience attraverso le simulazioni. Già in passato, Cheng ha avanzato l’idea dello spettatore umano come un mero visitatore dei mondi digitali. Nella sua mostra del 2016 al Museo Migros di Zurigo, i visitatori erano invitati a seguire la proiezione di uno Shiba usando un tablet interattivo. In una selezione di brevi note pubblicate nel catalogo della mostra, Cheng ha incluso un passaggio di Hayao Miyazaki in cui il regista di animazione descrive le sue ambientazioni come luoghi naturali non contaminati dall’intervento dell’uomo, rappresentanti quindi uno spazio più fluido e ambiguo, “libero dal senso comune esistente”.
In modo simile, Cheng attinge a questa nozione di fluidità tramite l’uso di algoritmi, creando costantemente ambienti che contrastano una partecipazione umana dotata di autorialità. Il coinvolgente spettacolo delle ambientazioni di Emissaries, in perenne trasformazione, stravolge la triade artista/opera/pubblico.
Il tentativo di incasellare questi atti creativi casuali all’interno dei canali neurali degli algoritmi è un’impresa futile. Le simulazioni che vengono generate sono irregolari e anti-teleologiche e la loro unica funzione è di manifestarsi attraverso l’eterogeneità di cui sono dotate. Quest’utilizzo degli algoritmi per creare un intrattenimento infinito richiama esperimenti nel campo della ricerca sulle intelligenze artificiali: sviluppatori hanno tentato di progettare sistemi di apprendimento in grado di consentire alle macchine di capire come giocare in modo rudimentale a giochi complessi. La ricerca ha di recente rivelato che gli algoritmi intelligenti sono capaci di apprendere autonomamente come completare un gioco e come usare le competenze acquisite per giocare ad altri giochi. Le simulazioni di Cheng vanno di pari passo con gli avanzamenti della scienza. Anche se gli algoritmi di Emissaries non sono in grado di organizzare le attività apprese , svelano un analogo regno concepito e occupato esclusivamente da codici.
Sfidando l’autorialità umana, l’opera creativa di algoritmi intelligenti costituisce una dimensione che rappresenta una novità per la pratica artistica. L’utilizzo strategico di codici da parte dell’artista sospende ciò che il filosofo francese Bruno Latour ha descritto come “la violenta divisione tra natura e società del vecchio ordinamento”. Latour critica la stretta separazione modernista tra soggetto e oggetto e introduce l’idea di una rete di relazioni interattive e stratificate tra esseri umani, macchine e natura. Alcuni oggetti in questa rete, chiamati “ibridi” da Latour, sviluppano una vita propria e cominciano a incidere sulle azioni, i pensieri e le abitudini della società che li circonda. Come la tecnologia sempre più si mescola con la società, così questi ibridi fungono da legami stabilizzatori che, in maniera simile ai totem religiosi o agli ostensori, uniscono il soggetto con il mondo. Emissaries ha un ruolo pari a quello di un ibrido, in quanto rompe la divisione tra cultura e tecnologia. L’algoritmo fa da mediano tra l’artista e il pubblico e mette in luce la trasformazione più grande innescata dall’avvento dell’intelligenza artificiale.
Tornando agli algoritmi autogestiti delle elezioni presidenziali, c’è un’analogia nel modo in cui sia gli ibridi di Trump che quelli di Cheng generano un’esperienza realistica e falsata. In entrambi i casi, gli algoritmi invadono la sfera pubblica e confondono i confini tra scienza, politica e arte. Segnano un’espansione del sociale nel tecnologico e una riformulazione della società che consiste di membri umani e non umani. I mondi virtuali di Emissaries permettono ai visitatori di esplorare una dimensione nuova e non familiare, libera da proiezioni ideologiche e priva del dualismo utopia/distopia. In questa fragile e instabile posizione, gli ambienti si disgregano, si dissolvono e si riformano in modo nuovo seguendo un ipnotizzante processo di retroazione. L’intelligenza artificiale e l’interesse dell’arte contemporanea verso una codificazione coinvolgente e complessa sono qui per restare. Che gli algoritmi intelligenti segnino la salvazione o la dissoluzione finale del mondo che conosciamo, rimane invece un’incognita da scoprire. Gli Emissaries di Cheng invitano il pubblico a cercare il significato nascosto della nuova realtà virtuale; ma ciò che si scopre è solo che la realtà si è liberata del suo guinzaglio normativo per andarsene a spasso a quattro zampe.