I luoghi comuni del genere horror – terrore, violenza, trauma, mostri e forze malefiche – tessono trame da incubo che nelle vite e nella storia dei neri ricorrono spesso. L’autrice e produttrice Misha Green spiega: “Nell’horror si avverte l’ansia che la vita ti possa essere strappata da un momento all’altro. È questa l’esperienza dei neri”1. Le vicissitudini dinamiche della vita dei neri rendono l’horror, secondo Green, un genere appropriato alla sua nuova serie per HBO, Lovecraft Country, andata in onda per la prima volta ad agosto 2020 e trasmessa in un periodo di rivolte sociali caratterizzato da pandemia globale, instabilità civile e violenza razziale. L’interesse di Green per quello che le persone nere sono “disposte a fare per la loro sopravvivenza metaforica e fisica” plasma la sua fiction gotico-storica, basata sul romanzo omonimo di Matt Ruff del 2016, sull’America e la razza2.
Il romanzo di Matt Ruff è una reinterpretazione del cupo mondo fantastico reso popolare da H. P. Lovecraft, talento dell’horror cosmico e accanito razzista. Se il mondo letterario e personale di Lovecraft era immerso in ideologie suprematiste bianche, Ruff rivendica il genere in nome delle persone nere, e, per estensione, l’adattamento televisivo di Green “rivendica la sua rivendicazione”3. Questo processo, secondo la studiosa di letteratura Kinitra Brooks, è un esempio di racecraft, termine coniato dal fumettista e accademico John Jennings per descrivere “un tentativo da parte di BIPOC (Black, Indigenous, and People of Color, ovvero neri, indigeni e persone di colore) e scrittori bianchi progressisti come Matt Ruff di sfruttare i prodotti dell’abilità letteraria di Lovecraft pur respingendone il contenuto razzista”4. Brooks spiega che “nella sua lettura e produzione controcorrente”, la racecraft di Green “fa in realtà parte di una antica tradizione di popoli neri che reinterpretano e remixano cose che erano state concepite per escluderci, opprimerci e denigrarci”5.
Nella sua reinterpretazione dei mondi fantastici di Lovecraft e Ruff, l’ambizioso adattamento di Green si traduce in un prodotto avvincente e complesso che, a tratti, sembra vacillare nella logica narrativa e nelle motivazioni dei personaggi. Comprensibilmente, i critici hanno accusato l’audace serie di rafforzare gli stereotipi razziali, sfruttare la tragedia dei neri e banalizzare la diversità6. E tuttavia, il cast straordinario nobilita la pesantezza del materiale, sobbarcandosi gran parte dello sforzo emotivo e della fatica dell’impresa con magistrali interpretazioni di scene a volte maldestre. L’incredibile performance di Aunjanue Ellis nei panni di Hippolyta Freeman – casalinga e madre convertitasi in viaggiatrice nel tempo – nell’episodio afrofuturistico “I Am” è particolarmente degna di nota. Anche con qualche passo falso e salvataggio in extremis, Lovecraft Coutry di Green si può considerare una serie decisamente “ricca” sulla fitta stratificazione e produzione di storie e immaginari razziali che plasmano la vita dei neri sullo schermo e fuori7.
Lovecraft Country mette in scena le mostruosità del terrore razziale nell’America anni Cinquanta di Jim Crow. La serie segue Atticus “Tic” Freeman (Jonathan Majors), veterano nero della Guerra di Corea proveniente dal South Side di Chicago, che si trova coinvolto in un viaggio eroico per cercare il padre scomparso nell’entroterra del Massachusetts. Accompagnato nella missione di salvataggio da suo zio, George Freeman (Courtney B. Vance), e dalla sua amica, Leticia “Leti” Lewis (Jurnee Smollett), sulla strada viene terrorizzato da provinciali razzisti, sceriffi intolleranti e creature fantastiche. In seguito, Tic scopre di essere un discendente di Titus Braithwaite, un bianco mercante di schiavi e fondatore di una misteriosa società segreta. La rivelazione dell’eredità nascosta di Tic è lo scenario su cui si svolge una parabola trans-storica a episodi su mostri e uomini bianchi — figure metonimiche nell’immaginazione di Green — in un racconto soprannaturale che mescola orrore cosmico, fantascienza, azione-avventura, realismo magico e romanzo storico con un denso melodramma domestico.
Nella serie, la racecraft di Green ricalca un arco narrativo lovecraftiano in cui “il personaggio principale [Tic] incontrerà entità sconosciute, paesaggi onirici, dimensioni e mondi inferi che distruggono tutte le precedenti concezioni di scienza, storia e umanità”8. Ma la storia è reinterpretata e remixata in modo da incorporare le esperienze sociali dei neri. L’eccesso televisivo, tuttavia, va oltre le creature grottesche e i mondi ipotetici tipici dei racconti di Lovecraft per includere generosi riferimenti intertestuali alla storia, arte ed esperienze dei neri. Per esempio, la scena di apertura della serie è un paesaggio onirico e fantascientifico in cui il protagonista, Tic, veste i panni di un soldato attaccato da creature aliene. Viene salvato da un personaggio con la mazza da baseball vestito come Jackie Robinson, che nel 1947 pose notoriamente fine alla segregazione razziale nel campionato di baseball. La sua immagine da star integrata rappresenta bene gli interventi di Green nel segno della racecraft, radicando le invenzioni della serie “nella realtà e nei problemi che fanno parte della storia di questo paese, malgrado tutti gli elementi fantastici”9. La serie allude a Denmark Vesey, alle “sundown towns”, al Trumbull Park, al Green Book e al massacro di Tulsa: persone, luoghi, materiali ed eventi autentici della storia nera, capaci di ricordare allo spettatore che i personaggi di Lovecraft Country esistono in un mondo familiare. Queste istantanee dal passato nero vengono persino animate; come succede, per esempio, nell’allusione al libro Segregation Story di Gordon Parks, e in particolare alla foto del 1956 di una donna nera con il suo bambino di fronte all’ingresso per persone di colore in un centro commerciale di Mobile, Alabama. Nell’episodio “Sundown”, Tic, George e Leti camminano “attraverso” questa immagine ora in movimento. Il trio è dentro la storia anche quando la storia viola il tempo e lo spazio per ricordare al pubblico un passato condiviso pieno degli orrori quotidiani della discriminazione e della segregazione razziale.
Oltre all’immaginario d’effetto, Lovecraft Country illustra “momenti feroci”, quelli che secondo lo scrittore Greg Tate “sfiorano la tragedia storica dei neri”10. Per esempio, nell’episodio “Holy Ghost”, Leticia acquista nel bianco North Side di Chicago una casa infestata dai neri che erano stati rapiti da un folle scienziato bianco per essere sottoposti a esperimenti medici letali. Durante l’episodio, Leti dà una festa per inaugurare la casa, e i figli degli ospiti giocano con una tavola Ouija. Un personaggio chiamato Bobo (il soprannome di Emmett Till) chiede allo spirito se si divertirà nel suo viaggio verso Sud. La tavola spiritica muove la planchette sulla parola “no”. La violenza razziale presagita diventa lo sfondo devastante di un successivo episodio, “Jig-a-Bobo”, in cui la città chiude per il funerale di Till. L’integrazione delle tragedie storiche dei neri compiuta da Green nella serie ci ricorda che la memoria nera è una casa infestata vera e metaforica di vite terrorizzate dai bianchi.
Le citazioni sonore di Lovecraft Country agiscono, nei termini di Carter Mathes, “come un ambito di resistenza e una critica della narrazione americana della vita nera definita perlopiù da un movimento verso la cittadinanza e l’uguaglianza razziale”11. Per esempio, quando Tic, George e Leti si stanno dirigendo ad Ardham, Massachusetts, per salvare il padre di Tic, attraversano le “sundown towns” del Midwest, aree completamente abitate da bianchi in cui i neri erano preda di aggressioni violente se si facevano trovare in giro dopo il crepuscolo. Queste istantanee degli anni Cinquanta sono punteggiate dal dibattito del 1965 di James Baldwin con William F. Buckley, in cui il primo sostiene:
“La diseguaglianza subita dalla popolazione dei negri americani negli Stati Uniti ha minato alla base il sogno americano. È davvero così. Sono in disaccordo con alcune delle altre cose che ha da dire. L’altro elemento, più profondo, di un certo disagio che avverto ha a che fare con il proprio punto di vista. Devo esprimerlo così: la propria impressione, il proprio sistema di realtà…”
La denuncia di Baldwin dell’assoggettamento razziale e dei sistemi segregati di realtà offre una critica acustica, amplificando l’idea che il sogno americano dei bianchi sia, a tutti gli effetti, l’incubo americano dei neri. Il discorso, come la presenza di Robinson in qualità di personaggio, la citazione della celebre fotografia di Parks e la seduta di Till, sottraggono il testo fonte dalle sue allusioni lovecraftiane, per ricollocarlo nell’ambito dell’arte, della storia e tragedia dei neri.
Il potente uso delle interpolazioni sonore continua per tutta la serie. Nell’episodio “Whitey’s on the Moon”, Tic scopre di essere stato attirato con l’inganno in Massachusetts per essere sacrificato in una cerimonia destinata a far guadagnare l’immortalità al capo della società segreta. Quando il rito inizia, si sente il brano di spoken-word di Gil Scott-Heron, “Whitey on the Moon”, dal suo album del 1970 Small Talk at 125th and Lenox:
I can’t pay no doctor bills, but whitey’s on the Moon
Ten years from now I’ll be payin’ still, while whitey’s on the Moon
The man just upped my rent last night, ’cause whitey’s on the Moon
No hot water, no toilets, no lights, but whitey’s on the Moon
[Io non riesco a pagare la parcella del dottore, ma il bianco è sulla luna
Fra dieci anni starò ancora pagando, mentre il bianco è sulla luna
Il padrone di casa mi ha appena alzato l’affitto, perché il bianco è sulla luna
Niente acqua calda, né bagno, né luce, ma il bianco è sulla luna]
Mentre la vita di Tic viene risucchiata per rafforzare l’incantesimo (verrà salvato dallo spirito del suo antenato schiavo, Hannah), le parole della poesia stigmatizzano l’ossessione americana per i viaggi spaziali a spese delle comunità nere e povere. Il critico Lex Pryor sostiene che la scena “funge da promemoria dei modi in cui le risorse inconcepibili dei potenti (nel caso della serie, i bianchi hanno il monopolio persino della magia) sono inseparabili dalle condizioni degli oppressi. Anche nella serie, il potere genera sofferenza”12.
Nell’episodio “Rewind 1921” sui disordini di Tusla, “Catch the Fire” di Sonia Sanchez – dalla sua raccolta di poesie del 1995, Wounded in the House of a Friend – risuona in una scena molto toccante che coinvolge Leti e la bisnonna di Tic, Hattie, mentre lei trasmette il testo sacro necessario a proteggere la loro famiglia. Leti e Hattie stanno fianco a fianco e si tengono per mano mentre la casa di Hattie viene consumata dalle fiamme. Le parole di Sanchez accompagnano la scena:
Where is your fire? I say where is
your fire?
Can’t you smell it coming out of
our past?
The fire of living . . . . . . Not
dying
The fire of loving . . . . . . Not
killing
The fire of Blackness . . . Not
gangster shadows.
Where is our beautiful fire that
gave light
to the world?
[Dov’è il tuo fuoco? Dico, dov’è
Il tuo fuoco?
Non senti soffiare il suo odore
Dal nostro passato?
Il fuoco della vita… non
Della morte
Il fuoco dell’amore… non
Dell’assassinio
Il fuoco della gente nera… non
Delle ombre dei gangster.
Dov’è il nostro splendido fuoco
Che ha illuminato
Il mondo?]
Le parole di Sanchez esplodono – “prendi fuoco… e vivi” – mentre il corpo di Hattie è divorato dalle fiamme, e lei continua a tenere per mano Leti. La dichiarazione di Hattie secondo cui la nascita del figlio che sta aspettando da Tic sarà “la sua fede fatta carne” sottolinea i collegamenti intergenerazionali nella lotta dei neri e la perseveranza figurativamente fiammeggiante nelle parole e nella cadenza di Sanchez.
La serie non solo riecheggia il passato ma proietta il momento presente nella sua finzione storica. Nell’episodio “Jig-a-Bobo”, la giovane cugina di Tic, Diana “Dee” Freeman (Jada Harris), viene insultata da un poliziotto razzista e aggredita da due malvagie caricature di neri, Topsy e Bopsy dalla Capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe. Mentre gli spiriti perseguitano Diana per tutta la giornata, sentiamo il discorso dell’attivista undicenne Naomi Wadler dal raduno del 2018 di March for Our Lives:
“Oggi sono qui per onorare e rappresentare le ragazze afroamericane le cui storie non arrivano sulle prime pagine dei quotidiani nazionali, le cui storie non spiccano nei notiziari della sera. Rappresento le donne afroamericane che sono vittime di armi da fuoco, che sono semplici statistiche invece di vivaci, splendide ragazze piene di possibilità. Per troppo, troppo tempo, queste ragazze e donne nere sono state solo numeri. Sono qui per dire mai più, anche per conto di queste ragazze. Sono qui per dire che tutti dovrebbero riconoscere il loro valore”.
Il discorso militante di Wadler sulla rimozione delle quotidiane aggressioni che le ragazze e donne nere devono affrontare modernizza il tema dell’episodio in cui a Dee viene negata la protezione dalla violenza razziale e di genere, reale e mitica. L’episodio incorpora la retorica #sayhername per evidenziare il bisogno di militanza intersezionale contro i modi in cui la violenza contro le ragazze nere viene trascurata, ignorata e sminuita nella società americana.
Gli echi visivi e sonori di Lovecraft Country producono un’opera sfaccettata e polivoca che appare radicata nel tempo quanto da esso indipendente. Questa destabilizzazione temporale, come spiega Green, nasce “da un desiderio di far sembrare [Lovecraft County] un racconto senza tempo. Certo, è ambientato nel passato, ma è anche credibile nel presente, e lo sarà nel nostro futuro. Come possiamo prendere questi frammenti audio e incastrarli lì, in modo da farvi capire che questa è la nostra storia, che questi siamo noi adesso, e che potremmo esserlo in futuro?”13 L’iconografia visiva e i paesaggi sonori offrono a personaggi e spettatori un ponte che attraversa il tempo, producendo una finzione trasgressiva e trans-storica che attinge alla memoria nera, afferma l’umanità presente e difficoltosa delle vite nere e immagina un futuro fantastico con le donne nere al centro dell’universo14.