In dialogo con Zoe De Luca, Luca Pozzi (Milano, 1983; vive a Milano) approfondisce i temi alla base del suo lavoro – il rapporto tra spazio e tempo, la relatività, la fisica quantistica – partendo dal recente The Grandfather Platform, intervento site-specific pensato per la Quadreria di Palazzo Magnani a Bologna.
Zoe De Luca: Il progetto The Grandfather Platform nasce intorno al cosiddetto “paradosso del nonno”, una teoria sul viaggio temporale descritta per la prima volta dallo scrittore di fantascienza René Barjavel nel suo libro del 1943, Il viaggiatore imprudente. Il viaggio nel tempo descritto da Barjavel avviene per mezzo di un wormhole (un cunicolo spazio-temporale) in cui il protagonista si avventura con l’intenzione di uccidere il proprio nonno; il paradosso si verifica nel momento in cui, assassinando il progenitore, il personaggio compromette la propria stessa esistenza. Questa contraddizione in termini solleva diversi interrogativi sulla consequenzialità temporale, e altrettante congetture risolutive. Che cosa ti affascina di questa teoria, e che cosa la avvicina alla tua ricerca?
Luca Pozzi: Tutto ha inizio con un cambio di paradigma che risale al 1915, quando Albert Einstein pubblica il famoso articolo sulla relatività generale: una teoria della gravità che, dopo 229 anni, destituiva quella di Sir Isaac Newton. Secondo Einstein lo spazio e il tempo sono intimamente interconnessi e costituiscono il campo gravitazionale, un immenso palcoscenico fluttuante, dinamico, del tutto simile a una gigantesca medusa traslucida. Non più un piano fisso ed eterno, bensì un qualcosa di fluido – come l’acqua – dove ogni evento accaduto rimane sospeso, come imbrigliato in una rete soggetta a distorsioni violente. Ora, noi siamo abituati a pensare al tempo come a qualcosa di lineare, ma il tempo non sembra essere uguale per tutti: dipende da come lo tagli, dalla velocità a cui lo percorri, dal grado d’interazione con le cose che ti circondano. Il “paradosso del nonno” descrive questa non linearità nelle sue più estreme conseguenze. Quello che mi affascina del paradosso è che propone un ribaltamento del principio di causa ed effetto, è una breccia verso territori inesplorati e gradi di libertà inediti, dove il futuro contribuisce a determinare il passato esattamente come il passato determina il futuro.
ZDL: The Grandfather Platform è un intervento site-specific, a cura di Maura Pozzati e realizzato con l’eccezionale supporto tecnico dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e della European Space Agency (ESA), che hai concepito per la Quadreria di Palazzo Magnani, a Bologna. Quest’installazione rappresenta un sunto di diverse ricerche da te svolte negli ultimi anni, in particolar modo sulle teorie della fisica legate alla linearità del tempo. Come si è creato il legame tra il “paradosso del nonno” e questo emblema del Rinascimento bolognese?
LP: La Quadreria di Palazzo Magnani è un luogo incredibile. Oltre a ospitare opere su tela dal tardo Cinquecento al Novecento, vanta una sala affrescata dai Carracci, i fratelli Annibale e Agostino e il loro cugino Ludovico: quattordici scene dipinte dai tre ai cinque metri d’altezza, rappresentanti la storia della fondazione di Roma, epicentro della nascita non solo del nostro paese, ma dell’Europa intera. Il collegamento con la teoria del “paradosso del nonno” credo nasca proprio dalla volontà di scardinare questa concatenazione di eventi che ha profondamente modificato il corso della storia. Ma cos’è la “storia”? Se lo spazio-tempo, ovvero il campo gravitazionale, è una ragnatela, allora può la mia interazione con la rete, qui e ora, far “vibrare” quello che è successo più di duemila anni fa? Il mio lavoro per la Quadreria si concentra su queste vibrazioni, sull’idea che non esista la “storia” ma un insieme di storie possibili che, nell’attesa di un osservatore attivo, si trovano sospese in un limbo di probabilità quantistiche. La sala dei Carracci rappresenta un’occasione irripetibile per lavorare sui presupposti di un’esperienza quantistica della gravità, a 103 anni di distanza da quella relativistica di Einstein.
ZDL: Raccontandomi il progetto, hai definito il ciclo di affreschi dei Carracci “il risultato di uno sforzo comunitario”. Che cosa ti interessa di questa sua dimensione?
LP: Forse la possibile scomparsa dell’autore. L’idea che l’opera non sia stata creata ma sia emersa da un intreccio di azioni collettive. Preferisco non perdere di vista l’immagine globale – quante condizioni al contorno si sono dovute verificare per far sì che gli affreschi si materializzassero su quelle pareti nel 1590? La stanza in cui si trovano, che noi percepiamo ferma, sta viaggiando con l’intero sistema solare a 250 km/s, compiendo una rivoluzione galattica ogni 230 milioni di anni. Quante congiunture energetiche, emotive, politiche, economiche ed evolutive – oltre che ovviamente culturali e artistiche – si sono dovute allineare? Negli affreschi ci sono citazioni alla Strage degli innocenti (1511 – 1512 ca.) di Raffaello e al Caino e Abele (1542) di Tiziano; nella scena dell’uccisione di Amulio viene impiegata un’amazzonomachia tratta da un antico sarcofago romano. É una continua staffetta della conoscenza, un puzzle di nuclei diversi connessi tra di loro.
ZDL: Spesso nella tua pratica intervieni su strutture preesistenti, aprendole a modalità di fruizione inedite. Che cosa ti spinge a lavorare in questa direzione?
LP: Mi interessano i rapporti tra le cose, più che le cose stesse. La mia scelta è quella di mettere in comunicazione sistemi già di per sé complessi, per produrre maggiore complessità. In fisica esistono due tipi di particelle: quelle che costituiscono la materia e quelle che trasferiscono l’informazione. Io sono molto attratto dallo studio della seconda categoria – per questo mi definisco un “mediatore culturale”. Mi diverte l’idea di potermi comportare a scala macroscopica come un fotone o un bosone di Higgs, rimbalzando come una pallina da ping-pong tra le strutture che le persone già conoscono.
ZDL: L’ambiente di The Grandfather Platform è piuttosto complesso. I volumi della sala dei Carracci sono quasi interamente riempiti da una struttura su tre livelli, che riprende alcuni elementi tipici dell’altare religioso e del giardino zen, creando un ambiente sacro, meditativo; una volta raggiunto il livello più alto, i visitatori si ritrovano a cinque metri dal pavimento, alla stessa altezza del ciclo di affreschi.
LP: La struttura è realizzata con tubi Innocenti, richiamando una dimensione industriale in forte contrasto con la caratterizzazione storica dell’ambiente architettonico cinquecentesco. Tramite una scala si accede a un camminamento perimetrale che si apre sugli affreschi dei Carracci. Questo camminamento circoscrive il fulcro di tutta l’installazione, ovvero una piattaforma dove le persone si trovano a camminare scalze su un grande collage digitale, riprodotto su un materiale tipo tatami. Il collage rappresenta un gigantesco buco nero, intorno a cui orbitano il Fermi Telescope (INFN), il Golden Record della sonda Voyager (NASA), Sleeping Muse (1910) di Brancusi, la Missione Rosetta (ESA) e il Laser Interferometer Space Antenna (LISA), il cui lancio è previsto per il 2034. Sfruttando l’espediente illusionistico degli affreschi, l’architettura viene tradita anche orizzontalmente aumentando le relazioni possibili di un fattore incalcolabile.
ZDL: La scultura di Brancusi è l’unico riferimento alla storia dell’arte; come mai questa scelta?
LP: Si tratta di un caso emblematico che unisce figura e sfondo in un unico sistema iper connesso; la scultura, grazie alla superficie riflettente, incorpora l’ambiente. Dall’atelier di Brancusi, ora teletrasportato di fronte al Centre Pompidou di Parigi, la Sleeping Muse rimbalza a Palazzo Magnani, ridotta dimensionalmente e distorta dalla velocità.
ZDL: La trilogia o trinità è un elemento ricorrente nell’installazione: tre sono i livelli di relazione con lo spazio, le variazioni luminose e le scansioni energetiche che rappresentano altrettanti comportamenti dello spettro elettromagnetico stesso; è una casualità o la numerologia è un’altra disciplina di tuo interesse?
LP: Mi interessa molto la gravità quantistica in generale, la teoria delle stringhe, la geometria non commutativa e, soprattutto, la Gravità Quantistica a Loop e la fisica oltre il modello standard. Ho avuto la fortuna di frequentare alcune comunità di ricerca e discutere con fisici teorici come Carlo Rovelli, Abhay Ashtekar, Gian Francesco Giudice e Brian Green. In molti casi lo studio della struttura intima dello spazio-tempo viene rappresentata con schiume cristalline composte da semplici tetraedri, interconnessi a formare una specie di diamante multi-sfaccettato: da lì la mia passione per il 3 – come anche per il 7, il 9 e il 49.
ZDL: Soffermandosi sul light design di The Grandfather Platform, mi piacerebbe approfondirne un dettaglio. Il lampadario, normalmente collocato al centro della sala in prossimità del soffitto, è stato drasticamente abbassato per non interferire con l’ambiente del tatami, ritrovandosi così al di sotto della struttura.
LP: Il dettaglio del lampadario è importante. Di fatto è l’unica cosa che attraversa il buco nero. L’ho fatto abbassare a meno di un metro da terra e ho modificato l’intensità delle luci, virandone anche la temperatura. Per noi esseri elettromagnetici, la luce rappresenta la forma più semplice d’informazione. Il fatto che dal livello superiore il lampadario non sia più visibile sta a rappresentare quanto all’interno del buco nero l’informazione sia così interconnessa da non poter uscire. Più l’informazione è interconnessa e meno velocemente il tempo passa in sua prossimità. “It from bit” diceva John Archibald Wheeler[i].
ZDL: The Grandfather Platform ha diversi punti in comune con alcuni tuoi lavori precedenti, come The Black Hole Platform (2016), The Home Plate Platform (2017) o l’intera serie Supersymmetric Partner (2007-2017) – vuole essere un compendio della ricerca fatta negli ultimi anni o ne rappresenta semplicemente un altro stadio?
LP: Nella serie Supersymmetric Partner salto di fronte alle grandi cene rinascimentali di Paolo Veronese. Il risultato finale è la documentazione di questo momento magico dove bi-dimensionalità pittorica e spazio reale si fondono armoniosamente. In The Black Hole Platform ciò che fluttua in levitazione elettromagnetica è una spugna marina intrisa di un pigmento al fosforo che assorbe la luce. La sostanziale differenza di The Grandfather Platform con i progetti precedenti è che si tratta di un’installazione immersiva, un immenso set fotografico dove il vero protagonista è l’osservatore attivo.
ZDL: Infatti, mi hai parlato di questo progetto come di uno strumento per accedere a una dimensione fruitiva diversa; a cosa si riferisce la definizione di “set fotografico”? Cosa ti aspetti dall’interazione con i visitatori?
LP: Che lo spettatore compia l’unica storia possibile, la sua. Compiendo scelte, osservando, attivando i suoi ricordi, le sue emozioni; scattando fotografie e condividendole sui social, espandendo i confini geografici dell’installazione.
ZDL: Tornando alla fusione degli ambienti, mi viene in mente il capitolo Wilson Tour Loading (2014), dove usi la pallina da tennis per distorcere lo spazio presente e le dimensioni pittoriche di Lucio Fontana, esposte presso il Museo del Novecento di Milano e il Museo Reina Sofía di Madrid. Hai usato più volte la pallina da tennis per trascendere le dimensioni, ma cosa motiva questa scelta?
LP: La pallina da tennis Wilson è un elemento linguistico che nasce da un singolare caso di omonimia tra il famoso brand sportivo e il fisico teorico Kenneth G. Wilson, inventore nel 1974 di uno strumento matematico chiamato “Wilson Loop”. Quello che faccio, lanciando palline Wilson, è sostanzialmente applicare le proprietà del Wilson Loop alle opere d’arte prescelte. Si pensi a un convertitore di valute: anziché l’Euro in Yen, il Wilson Loop converte lo spazio-tempo continuo di Einstein nello spazio-tempo discreto della meccanica quantistica. In altre parole, trasforma la superficie classica deterministica in un sistema connettivo probabilistico. Le palline da tennis lanciate il 19 novembre 2017 e fotografate sospese davanti agli affreschi dei Carracci hanno lo scopo di produrre tale conversione e di creare i presupposti comunicativi per l’installazione finale di cui l’inedita serie fotografica Wilson Tour Carracci fa parte a pieno titolo. Oltre alle fotografie ho realizzato insieme alla piattaforma BEPART un’applicazione in realtà aumentata, navigabile dallo spettatore con il proprio smartphone, che riprodurrà in grafica 3D iperrealista la pallina da tennis congelata nel tempo, bloccata nell’esatto punto del lancio avvenuto due mesi prima.
ZDL: Non a caso, un altro elemento estremamente simbolico dell’installazione di Palazzo Magnani sono delle grandi sculture in bronzo, intitolate Dragon’s Eggs (2018), raffiguranti palline da tennis, ovalizzate dalla velocità. Che cosa aggiungono al progetto?
LP: Le Dragon’s Eggs comprimono sulle loro superfici specchianti tutta l’informazione dello spazio circostante, ma la loro natura interna sembra essere costantemente negata o rimandata da un’eccessiva riservatezza. Sono elementi arcaici, ma alludono alla massima smaterializzazione, all’entanglement quantistico, alla discrezione dei neutrini. Sono una finestra verso il mondo della cosmologia multi-messaggera delle onde gravitazionali, dei raggi gamma e della materia oscura. Sono il risultato di una collaborazione con l’INFN che le ha equipaggiate di veri rivelatori in grado di percepire il passaggio nella scultura di particelle subatomiche altrimenti invisibili, segnalandone la presenza attraverso l’accensione di un led. Per me sono delle “WIMP”, letteralmente “buone a nulla”, ma che in gergo scientifico rappresentano l’acronimo di Weakly Interacting Massive Particle. Mi piace immaginarle come uova di drago vecchie 13,820 miliardi di anni.