Attraverso le 33 opere in mostra presso la Galleria Karsten Greve si delinea un panorama esaustivo dell’opera in ceramica di Lucio Fontana. I primi lavori sono stati realizzati alla fine degli anni Trenta; in queste opere si palesa l’influenza dell’avanguardia futurista, quanto della scultura barocca europea e non. Tuttavia il fulcro della mostra è rappresentato dai lavori del dopoguerra. Se leggiamo il lavoro di Fontana attraverso una ricerca di derivazione avanguardista, per mezzo dell’utilizzo della ceramica, nell’uso di materiali come vernici colorate e nell’eclettica scelta dei soggetti, si entra in una sorta di postmodernità ante litteram. Le ceramiche, attraverso una libertà presa nei confronti del dogmatismo modernista translato in estetica fascista, consentono a Fontana di produrre nuovi significati rispetto all’estetica del tempo. Questo approccio, senza mutare, si rafforza nel panorama dell’Italia del dopoguerra. Se per alcuni il gesto è espresso come negazione, per Fontana esso diventa strumento di conoscenza.
Lo stesso discorso vale per le ceramiche: i suoi corpi non cadono a terra sotto la spinta gravitazionale ma tendono verso l’alto e partecipano del senso della sua ricerca. La ceramica offre spunti di riflessione sul medium stesso e sullo sviluppo della sua opera in generale. Possiamo parlare di decorazione, di negazione della dicotomia tra sacro e profano e, ancora, di piacere nell’esecuzione e nella fruizione. L’opera vive (anche) nell’isolata presenza dell’hic et nunc della fruizione e nega lo spirito modenista di un’opera inserita in un più ampio contesto. Negli anni del dopoguerra, Fontana si chiama fuori dalle controversie “inattuali” dei suoi contemporanei e il suo percorso, per quanto riguarda le opere in mostra, si può leggere attraverso il rapporto tra avanguardia e kitsch. Egli nega la dicotomia tra le due categorie, proponendo invece una dialettica che pare risolversi nelle ultime opere esposte. Il cerchio si chiude. Non sono certo che l’insistenza sulla materia sia da leggere in contrasto con l’astrattismo, ma piuttosto come un rapporto dialettico. L’eclettismo dei soggetti nel corso del tempo suggerisce che è definibile attraverso influenze e ritorni tra un certo astrattismo sui generis e il figurativo, invece che in termini di sviluppo. Dalle prime opere alle forme asciutte e ogni passaggio e sviluppo è una metafora di un rapporto tra necessità e libertà.