“Ho cercato di non chiudermi in filoni o in generi, per questo, contemporaneamente, ho lavorato in diverse direzioni, in un processo di attivazione del pensiero, non ho cercato di fare delle FOTOGRAFIE, ma delle CARTE, delle MAPPE che fossero contemporaneamente delle fotografie”. Nel rispetto di questa filosofia di vita e di lavoro sembra essere stata concepita la struttura della mostra antologica “Pensare per immagini” che il MAXXI dedica a Luigi Ghirri (Scandiano, Reggio Emilia 1943 − Reggio Emilia 1992) fotografo italiano tra i più influenti e rivoluzionari del secondo Novecento e intellettuale dalla personalità poliedrica e complessa. Realizzata in collaborazione con il Comune di Reggio Emilia, la Biblioteca Panizzi e con l’Archivio degli Eredi Ghirri, la mostra vanta opere provenienti dallo CSAC di Parma, l’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma e da collezioni private, riunendo in una mappatura composta da un corpus di 300 lavori i tratti essenziali del lavoro di Ghirri e aprendo, al contempo, uno spaccato significativo sul suo processo di indagine: operare, scattare, archiviare, editare con l’idea di essere e di aprire “una finestra sul mondo”. Se la fotografia per Ghirri è una soglia privilegiata dalla quale affacciarsi e scrutare il presente così come la storia e che, attraverso l’inquadratura, indica una porzione di realtà, escludendone necessariamente un’altra, l’archivio è invece un luogo aperto, non meramente deputato alla conservazione, una piattaforma attiva che costantemente anima e nutre la ricerca, permettendo, anche, di ripensare il lavoro. Questo tipo di approccio osmotico tra il lavoro, la ricerca e la ri-catalogazione emerge nella modalità in cui Ghirri organizzava (e riorganizzava) i propri cicli fotografici: le diverse serie molto spesso, in occasioni di mostre o di pubblicazioni, hanno subito negli anni variazioni di sequenza o slittamenti di posizionamento degli scatti da una serie all’altra, con la finalità di andare a delineare un nuovo ragionamento esplicitato per immagini o con l’intenzione di tracciare un’ulteriore prospettiva di visione e portare lo sguardo a una diversa lettura della realtà. A tal fine la mostra del MAXXI si suddivide in tre grandi sezioni ognuna delle quali presenta alcune tra le opere più significative attraverso le quali Ghirri ha nel tempo diversamente e trasversalmente affrontato e sviscerato tematiche quali l’icona (dagli stereotipi della fotografia amatoriale ai codici iconografici della modernità e del consumismo), il paesaggio (quello rarefatto, mentale e quello periferico, malinconico della campagna emiliana) e l’architettura (quella macroscopica, ufficiale, d’autore e quella anonima, privata, domestica). “La scelta di procedere per temi e non secondo un criterio cronologico riprende una modalità tipicamente ghirriana: la fotografia intesa come oggetto non concluso, come un gigantesco work in progress in costante elaborazione” affermano i curatori Francesca Fabiani, Laura Gasparini e Giuliano Sergio.
Sia l’idea di continuo work in progress che quella della poliformità delle contaminazioni culturali sono ben rappresentate nella sezione dedicata ai materiali d’archivio che, attraverso menabò di cataloghi, libri pubblicati, libri d’artista, riviste e recensioni testimonia l’ampio raggio dell’attività intellettuale di Ghirri editore, curatore, critico e compagno di strada degli artisti concettuali modenesi, e fornisce inoltre un ritratto più intimo del personaggio e dell’uomo presentando una selezione di libri provenienti dalla sua biblioteca personale, la collezione di fotografie anonime e le vintage prints stampate da Ghirri stesso. L’apertura intellettuale di Ghirri all’arte e alle sue molteplici declinazioni riguardò anche la musica: in mostra si presenta anche il frutto delle collaborazioni che il fotografo emiliano sviluppò con musicisti conterranei quali i CCCP e Lucio Dalla, ambientando le atmosfere evocate dai loro brani all’interno del flusso narrativo dei propri scatti.