Luigi Presicce arriva a Milano nel 1999 e subito si rivela al mondo dell’arte con quadri e disegni visionari che portarono il suo lavoro a essere esposto in due gallerie che non hanno mai smesso di interessarsi alla pittura: Cannaviello prima e Colombo poi. In seguito Presicce si staccò dal sistema dell’arte ufficiale e intraprese una vita artistica sul versante underground, sia con la sua opera che con i suoi progetti espositivi, quando nel febbraio 2008 diede vita — insieme a Luca Francesconi e Valentina Suma — a Brown magazine e Brown project space, una rivista e uno spazio non profit (che oggi conduce da solo) nato per dare modo a giovani artisti di mostrare il loro lavoro. Questo andare verso gli altri è una caratteristica della sua vita e della sua arte, sempre carica di simbologia mistica, e infatti egli va considerato un mistico contemporaneo dell’arte, un artista che mescola l’arte e la vita, o che fa della sua vita un’opera d’arte. Tutto questo però non dà all’opera di Presicce un impianto sociologico, anzi: vestendo come un monaco dandy con barba e chioma acconciata tra l’international style e l’anacoreta, realizza opere densamente simboliche fatte di disegni, pitture, sculture, performance intense come intensa è la sua vita d’artista, o l’arte della sua vita. Non solo le opere: anche lo studio è parte della sua vita e della sua arte, essendo questo luogo opera d’arte totale della visionarietà e della verità, come sostiene l’artista stesso che dice: “Appena ho smesso di dipingere ho iniziato a raccogliere oggetti che ora fanno parte di una composizione unica; ogni oggetto ha una storia”. Visitare il suo studio è infatti un’esperienza straordinariamente intensa sul piano personale e un’occasione per comprendere l’artista in profondità. È come trovarsi nella densità di un luogo fatto di accumuli di disegni, pitture, sculture, oggetti devozionali, magici, rituali e non, reliquie e tanto, tanto, tanto altro ancora impossibile da descrivere, ma di cui va fatta esperienza. Questa ci immette in una camera delle meraviglie che è cosa d’altri tempi, tempi passati e originari esclusi dalla teoria e pratica moderna del cubo bianco. Presicce propone un’arte che rottama Cartesio e la sua linea moderna del “penso dunque sono”, accantonando l’Illuminismo razionale e scientifico a favore dell’esperienza della totalità dei sensi. Per lui la via non è l’Illuminismo, ma l’illuminazione, non la luce della scienza, ma quella del misticismo, non il privilegio del senso della vista, ma della molteplicità dei sensi. Non la razionalità, ma il credere nell’incredibile, in ciò che non si vede. “Sono interessato al realismo fantastico, a tutte quelle manifestazioni della casualità che nella vita reale creano un qualcosa di parallelo che è conferma della vita stessa”, dice Presicce.
Egli rappresenta molto bene quella via italiana che ha fatto sì che dall’estero si torni a interessarsi dell’Italia, quella via che il filosofo Roberto Esposito ha indicato nel suo Pensiero Vivente (Einaudi, 2010) come un “diverso rapporto dell’origine”, quel “pensiero italiano che cerca nella sapienza degli antichi le chiavi di interpretazione di ciò che ci è più prossimo” come ha fatto Pasolini — un autore non a caso —, insieme a Carmelo Bene, quasi compaesano di Presicce, il quale afferma che: “Come salentino sono molto legato a Carmelo Bene, al suo tradurre l’accadimento in forma e simbolo, ovvero quello che racchiude tutto”. È “l’attualità dell’originario”, perché in Presicce storia sacra e storia profana finiscono per coincidere nell’a-storicità, il fuori luogo e il fuori tempo che sarebbe sbagliato tacciare di anacronismo poiché, al contrario, è una forma di resistenza. Infatti, egli aggiunge: “Nel 2007, in seguito all’incontro con Joan Jonas prima e Kim Jones poi, inizio a lavorare sull’idea di performance, e lì sta il vero snodo, perché abbandono la rappresentazione che la pittura conserva nel suo essere immagine. Avevo iniziato qualche tempo prima a fare delle azioni private come La danza del cervo, una performance quotidiana, un lavoro mandalico in cui avvolgevo un filo di perle su un rametto, fino a creare una scultura per accumulo e allo stesso tempo costruivo un nido per umani con rami raccolti per terra girando per Milano: qui il tentativo era quello di mimetizzarsi nell’uccello concentrandomi sulla raccolta come risultato”.
Tuttavia, egli non ha smesso di dipingere del tutto ma, chiarisce, “ho solo rallentato in maniera drastica la pratica quotidiana, riducendo le immagini a geometria simbolica e infatti le mie pitture di maghi sono proiezioni geometriche, figure sempre simboliche che non credo siano diverse dalle ‘forme’ spirituali di Malevič”.
Se però non potete fare questa esperienza, che non a tutti è data di fare, ma solo agli iniziati, potete vedere le opere dell’artista nelle occasioni espositive: pitture magiche, sculture apotropaiche, disegni visionari, video misteriosi, performance simboliche dall’impianto metafisico surreale come per esempio il copricapo che riproduce la piccola architettura denominata Lu Cafausu, presente al centro di una piazzetta di San Cesario di Lecce. Riproduzione con all’interno il modellino di un cavallo posta sulla testa del musicista canadese Patrick Watson per richiamare uno degli usi che ha avuto il “Cafausu” nel corso della storia. Le sue performance sono anche tableaux vivant come Trema, profano trema, realizzata su un alto balcone della piazzetta di Monteroni (LE), dove tra grandi bandiere e stendardi bianchi si erge una figura bianca immobile che solleva una spada rivolta verso una platea annichilita. L’artista imita la postura del Duce, ma fa un discorso metafisico-concettuale; oppure in La benedizione dei pavoni, che gli ha valso il Premio Talenti Emergenti alla Strozzina, in cui dichiara: “L’intento era di diventare parte dell’ambiente. Sono stato dentro la gabbia con i pavoni per sei ore includendo il passaggio dal giorno alla notte. All’inizio scappavano, mai poi si sono abituati, il che potrebbe farci pensare al Beuys del coyote, perché l’idea dello sciamano c’è, anche se non è il riferimento principale, è più un’apparizione. Tuttavia l’idea spirituale che mi interessa è quella che viene dai mistici come il sapiente armeno Gurdjieff che, partendo da un’idea di sufismo, unifica le tre religioni monoteiste nella teoria dello sviluppo armonico dell’uomo, creando una direzione differente”.
Abiti, maschere mortuarie d’oro alla maniera di quella di Agamennone o dei Maya; oppure maschere cieche piramidali, mascheramento del volto la cui identità rinvia al simbolo. Divise militari, sacerdotali, massoniche, tutto ciò che concerne un’appartenenza al gruppo, ma che contiene dei rituali e dei segreti che solo agli iniziati è dato conoscere — in questo caso gli iniziati dell’arte. Tutto ciò è messo dall’artista in relazione con le simbologie usate dai tagliatori di pietre (squadri e compassi), in cui la sua figura è il centro di un equilibrio instabile. È un’opera che, nella maggioranza dei casi, mette in scena tableaux vivant che ricordano precise opere pittoriche gotiche, ma anche Giotto, “l’artista più amato, di cui mi affascina l’idea di fissità e di metafisica primitiva che esprime il suo costruito simbolico, come mi interessa parlare del dramma dell’uomo”, vero fulcro della sua opera. Si tratta di un dramma universale cercato nella località: perfino l’insospettabile Warhol diceva che l’universalità va cercata nella località, quella località che, come dice Ernesto De Martino in Sud e magia, si attua nella paura della crisi della presenza, di poter perdere gli indici di senso che sono dati dalla quotidianità di oggetti e luoghi di appartenenza, riscattati dalla produzione di fatti e azioni magico-rituali come superamento della crisi e dell’angoscia della storia.
Per finire, Presicce aggiunge: “Sono molto interessato alla cultura contadina e alle tradizioni popolari che sono l’identità profonda italiana, identità che molti ignorano, ma che è parte integrante di ciò che oggi è l’Italia. Noi soffriamo di esterofilia, perché non si ha coscienza della nostra cultura popolare che a mio avviso è fondamentale; se all’inizio mi interessava Milano e la sua estraneità, ora sono concentrato sul mio luogo d’origine, il Salento”.
Una sorta di utopia visionaria? “Può darsi, anche perché ogni opera è una nuova visione del mondo, e la pratica dell’arte fa parte di costruire mondi, anzi è costruire mondi”.