Sono passati oltre trentatré anni dalla scomparsa di Marcel Broodthaers, avvenuta il 28 gennaio 1976 a Colonia; morì nel giorno del suo compleanno, all’età di cinquantadue anni, proprio come William Shakespeare quasi quattro secoli prima. Si tratta di una coincidenza del destino, vista la profonda conoscenza e l’entusiasmo che Broodthaers nutriva per la letteratura, in particolare, per l’opera di Shakespeare, tanto da decidere, insieme alla moglie Maria, di chiamare la propria unica figlia Marie-Puck, nome che traeva ispirazione da un personaggio di Sogno di una notte di mezza estate. Inutile dire che né Marcel Broodthaers né William Shakespeare avrebbero mai potuto rendersi conto di tale coincidenza intorno alle loro morti.
Volgendo lo sguardo agli eventi passati e ai ricordi personali, è interessante osservare quanto il caso e la fortuna giochino un ruolo importante nelle nostre vite. È stato proprio alla luce di tali riflessioni che mi è tornata in mente l’ammirazione di Broodthaers per il poema di Stéphane Mallarmé Un coup de dés jamais n’abolira le hasard [Un colpo di dadi mai abolirà il caso] del 1897. Nel 1945 Broodthaers ricevette in regalo dall’amico René Magritte una copia del poema, il quale sembra essere stato l’anello di congiunzione tra la produzione letteraria e le opere d’arte dell’artista. Il poema diventò, infatti, il punto di partenza per diversi lavori che Broodthaers realizzò all’inizio degli anni Settanta. A interessarlo erano sia le qualità letterarie sia quelle visive dell’opera di Mallarmé: oltre che dalle parole, egli era attratto dai cosiddetti “spazi vuoti” sulla pagina, quegli spazi bianchi che giocano lo stesso ruolo del silenzio e il cui significato è tanto importante quanto quello attribuito alle parole. Un corrispettivo di tali “spazi vuoti” è riscontrabile nello studio e nella comprensione della vita e dell’opera di Broodthaers; fin dalla sua morte, questi sono stati colmati per lo più da studi e ricerche accademiche anziché dalla conoscenza diretta della sua arte attraverso le mostre. Molte importanti collezioni museali nel mondo includono opere di Broodthaers, ma in pochi hanno curato il suo lavoro in modo intelligente e molti sembrano riluttanti o spaventati all’idea di accollarsi la responsabilità di esibire il suo lavoro in un contesto contemporaneo e con un approccio coerente. Talvolta le sue opere vengono trattate da certe istituzioni alla stregua di reliquie del passato, anziché per quello che sono realmente: prodotti di una mente fervida e complessa che ci ha consegnato un’eredità capace di manifestare, attraverso oggetti, dipinti e testi, una costante comprensione della natura della condizione umana all’interno di un contesto culturale in continua espansione. È come se l’opera di Shakespeare venisse recepita soltanto attraverso testi eruditi piuttosto che attraverso la messa in scena delle sue opere o la lettura dei suoi sonetti. Potrebbe anche darsi che gli accademici e i conservatori museali abbiano dirottato il lavoro di Broodthaers per i loro interessi privati. In ogni caso, se pensiamo che buona parte della sua opera mise in discussione il ruolo del museo nel riflettere la società contemporanea, si percepisce un profondo senso di ironia in questa sorta di “conservazione in naftalina” adottata dai musei nei suoi confronti.
Nel settembre del 1968 Broodthaers fondò il Musée d’Art Moderne, Département des Aigles: un’installazione di casse, cartoline e iscrizioni allestita nel suo appartamento a Bruxelles. Il Museo fu aperto con un discorso inaugurale di Johannes Cladders, all’epoca Direttore del Städtisches Museum di Mönchengladbach (Germania), seguito da un dibattito sul ruolo dell’arte all’interno della società. Questo lavoro ha agito come un “messaggio nella bottiglia” approdato sulla riva del futuro: un’allusione all’inevitabile destino delle opere d’arte una volta cadute nelle maglie del museo e del mercato. I metodi lavorativi di Broodthaers e la reputazione d’artista difficile con cui lavorare potrebbero, ancora oggi, dissuadere alcuni curatori e direttori di museo dall’occuparsi del suo lavoro. In realtà, non era affatto difficile lavorare con Broodthaers, era semplicemente faticoso: occorreva essere pazienti, tenere i nervi saldi e seguire attentamente il suo pensiero. Egli era il miglior curatore di se stesso; affinava di continuo le sue idee finché non raggiungeva l’obiettivo desiderato. La mia prima esperienza lavorativa con Broodthaers avvenne a metà degli anni Settanta, quando ero Director of Exhibitions presso l’Institute of Contemporary Arts di Londra. Prima del mio arrivo, il programma d’arti visive dell’ICA era a dir poco scoraggiante, sembrava che gli artisti contemporanei avessero perso fiducia e interesse nei confronti di tale istituzione. Circa un anno prima dell’inizio del mio incarico, Broodthaers accettò la mia proposta di fare una mostra all’ICA non appena ne avessi assunto la direzione. Nel frattempo andò a vivere a Berlino con la sua famiglia, come ospite del programma di residenza del DAAD, dove realizzò il film Berlin, oder ein Traum mit Sahne (1974), e tra febbraio e aprile 1975 organizzò la mostra “Invitation pour une exposition bourgeoise” alla Nationalgalerie. Tra il 1974 e il 1975 lavorò intensamente e portò a compimento diversi progetti e mostre di rilievo, impegni che purtroppo gravarono sulla sua già precaria salute.
Più tempo trascorrevo con Broodthaers, più avevo la possibilità di approfondire la conoscenza e la comprensione della sua ricerca e del suo metodo di lavoro. Mi resi subito conto che, sebbene prendesse le distanze dal suo passato da poeta per diventare definitivamente un artista, egli era ancora un poeta per natura e utilizzava oggetti e parole per sconvolgere la nostra percezione del mondo e creare qualcosa di unico. Trattava molti temi alla volta, tutti interdipendenti e talvolta connessi a lavori completamente diversi, che assieme formavano una matrice di significati a incastro. Una volta tornato a Londra, Broodthaers venne nel mio ufficio; era in forma rispetto a come l’avevo trovato nel periodo precedente. Mi chiese se avevo ancora intenzione di realizzare la mostra con lui. Ovviamente risposi di sì. “La farò a una sola condizione”— mi disse — “dovrai correrai il rischio con me. Potrebbe essere un successo oppure un fallimento”. Ero felice di correre questo rischio e mi imbarcai in un lungo viaggio per assisterlo nella preparazione della mostra “Décor: A Conquest by Marcel Broodthaers”, presentata all’ICA nel giugno 1975.
Nel 1968 l’ICA fu trasferito in Carlton House Terrace, un edificio del primo Ottocento progettato dall’architetto britannico John Nash e situato nel viale che porta verso Buckingham Palace. Come punto di partenza per il suo nuovo lavoro, Broodthaers adottò l’insieme di implicazioni storiche, culturali, sociali e politiche di questa nuova sede. Realizzai immediatamente che il mio non sarebbe stato affatto un ruolo curatoriale convenzionale: non mi sarei occupato di opere già esistenti né avrei cercato di garantirmi prestiti da musei o collezioni, ma avrei lavorato con un artista che intendeva creare qualcosa di completamente nuovo, un lavoro che avrebbe preso forma progressivamente, di pari passo con le idee che sarebbero scaturite durante la preparazione della mostra. Si trattava di una ricerca di forma e di significato. Compresi perché dovevo rischiare con lui. Innanzitutto mi chiese di trovare due cannoni dell’Ottocento a grandezza reale, uno francese e l’altro inglese. In un primo momento mi parve una missione impossibile: visitai musei le cui collezioni includevano pezzi di questo tipo, ma venni guardato come una sorta di squilibrato. Il National Army Museum di Londra mi negò un prestito e, non volendo incontrare nuovamente Broodthaers a mani vuote, visitai il negozio del museo e acquistai il puzzle di un dipinto della battaglia di Waterloo. Avevo intenzione di regalarlo a sua figlia Marie-Puck. Non appena presentai il dono, Broodthaers si protese verso di me dicendo: “Questo è proprio un regalo per me!”. Il puzzle giocò un ruolo importante nella mostra e nel film che vide la luce successivamente, The Battle of Waterloo (1975). Questo aneddoto spiega in modo esemplare l’interferenza di eventi nuovi e improvvisi, talvolta anche all’ultimo minuto, a cui Broodthaers reagiva creativamente, raffinando di continuo le sue idee.
Alla fine trovai un’azienda che affittava arredamenti di scena a compagnie cinematografiche, così riuscimmo a recuperare tutti gli oggetti necessari per la mostra, inclusi i due cannoni dell’Ottocento. Compresi allora che Broodthaers si riferiva soprattutto al significato francese della parola décor (ovvero set cinematografico), il quale si discosta dall’accezione inglese, decorazione, successivamente evolutasi in quel termine arbitrario coniato dal mondo dell’arte: installazione. “Décor: A Conquest by Marcel Broodthaers”, infatti, era innanzitutto il set di un film, che includeva anche l’evento “Trooping the Colour” (una commemorazione per il compleanno della regina, messa in scena all’ICA durante il periodo dell’esposizione). Tale ensemble diventò il soggetto di The Battle of Waterloo. Durante le riprese del film, Broodthaers mi disse che, una volta terminato il suo incarico per la mostra “L’Angelus de Daumier” al Centre National d’Art Contemporain, Hotel Rothschild (Parigi, ottobre 1975), avrebbe smesso di creare oggetti e mostre e si sarebbe concentrato solo sulla realizzazione di film. Sfortunatamente la mostra parigina fu l’ultima; Broodthaers morì lasciandosi dietro poemi, oggetti, dipinti, libri e molto altro ancora sotto forma di “eredità vivente”. Lungo l’arco della sua vita lavorò assiduamente per arricchire il panorama culturale e intellettuale in cambio di un esiguo riscontro economico. Sebbene sia stato una figura internazionale di rilievo nella scena degli anni Sessanta e Settanta e abbia contribuito alla nostra comprensione del mondo delle idee — “È possibile comprendere la realtà, così come ciò che la realtà nasconde”, dichiarò —, egli è sempre rimasto un outsider. Spetta ora a coloro che conoscono la sua opera da lungo tempo, e a quelli che vi si avvicinano per la prima volta, mantenere la sua opera fresca e viva per consegnarla a un pubblico contemporaneo in costante espansione.