Marinella Paderni: Qual è stata la genesi del tuo progetto Isolated Bathroom / Composition with Four Colors concepito per la Collezione Maramotti?
Mark Manders: L’idea e lo scopo del progetto erano di realizzare un dipinto a tre dimensioni. Avevo già prodotto prima un lavoro che rappresentasse un bagno, anche se riguardava più la scultura. Isolated Bathroom è invece tutto sulla pittura. Questo mi ha permesso di pensare anche al modo con cui poter scegliere il colore. Nel mio lavoro non ho molta possibilità di scegliere liberamente i colori, di solito uso solo i colori dei materiali per come sono. Ad esempio, se uso un pezzo di legno, ricorro al colore del legno. A volte realizzo il legno utilizzando il bronzo, ma poi dipingo il bronzo del colore del legname. Nel caso di questo lavoro ho realizzato una vasca bianca perché è comunemente il colore usato per un bagno. Quando pensavo a come realizzare un dipinto a tre dimensioni, mi vennero in mente gli asciugamani e a come le persone li dispongono sopra una vasca, su una sedia o li lasciano sul pavimento. Gli asciugamani sono di diversi colori, non esiste un singolo colore archetipico per identificarli. In questo modo ho trovato il motivo per scegliere i colori e creare una composizione tridimensionali con loro.
MP: Perché hai scelto una stanza da bagno quale soggetto del tuo lavoro?
MM: Da lungo tempo sto lavorando all’idea di costruzione, di edificio (lavoro intitolato Self Portrait as a Building). In un edificio c’è anche il bagno e la cosa certa per me era che dovevo fare un bagno, essendo parte di una casa. Quando lavoro, utilizzo oggetti quotidiani molto comuni come sedie, armadi, pavimenti, cose che non sono invitanti ma che sono nella nostra mente, nei nostri pensieri essendo parte della nostra vita. Ho cercato così di creare nuovi lavori, dei poemi tridimensionali, facendo ricorso a questi oggetti ordinari.
MP: Come hai selezionato i materiali di questo progetto? Sono posti in relazione all’iconografia dell’opera?
MM: Per questo lavoro desideravo usare il tessuto e la tela. Mi si presentava l’occasione per usare delle tele vere e metterle anche in relazione con l’idea degli asciugamani. Una sedia dell’installazione è di alluminio e assomiglia alle sedie da campeggio. Non è logico inserirla in una stanza da bagno, ma mi piaceva perché il bagno è anche uno studio (ho delle sedie da campeggio nel mio studio). Poiché la mia è un’opera sulla creazione di qualcosa, essa si pone tra l’idea di stanza da bagno e di studio. Ho avuto poi la strana idea di inserire l’argilla nella vasca: in qualche modo è molto logico poiché in una vasca ci si mette l’acqua e l’argilla è umida, bagnata, quindi la vasca può essere un buon posto dove depositarla. L’immagine dell’argilla nella vasca ricorda l’acqua e mi piace anche che la figura umana dell’opera sia originata da essa. L’argilla è un materiale molto interessante perché è un elemento fondamentale, di base, puoi prenderla tra le mani e lei imprime le tue azioni. È molto bello costruire delle immagini con una materia così primitiva. Questo è il vero motivo della sua scelta.
MP: Nel tuo lavoro ci vedo sempre molti riferimenti alla storia dell’arte. Come, nel caso di questo progetto, l’idea di un altare e la costruzione di uno spazio mentale.
MM: In qualche modo Isolated Bathroom è un lavoro molto simbolico, è una specie di palcoscenico, come un dipinto. Appare molto modernista, specialmente la vasca, ma si riferisce ai primi altari. È strano e bello che sia ancora possibile creare delle nuove cose con il linguaggio dell’uomo, con gli oggetti dell’uomo. Mi diverte che ci siano così tante aperture nell’arte.
MP: Parlavi prima della presenza di un nuovo elemento nel tuo lavoro, il colore. Che significato ha? Puoi dirmi qualcosa di più sulla scelta di colori così specifici — giallo, rosa, verde, blu.
MM: I colori usati sono in realtà degli “off colors”, sono molto particolari. Il giallo è una specie di oro brillante, il rosa è molto scuro e il blu assomiglia a uno strano azzurro cielo. Non sono colori modernisti, sono molto poetici anche se la composizione dell’opera è tanto modernista. Mi piaceva l’idea che si può riconoscere un rosa anche se non è veramente tale, basta che sia molto vicino alla sua parola. Lo stesso vale per il blu utilizzato. I colori possono essere qualcos’altro.
MP: Anche il tuo libro Mark Manders. Cose in corso (realizzato appositamente per la mostra) è un lavoro e ci hai messo molte fotografie delle tue opere. Tra queste c’è una che non è un’opera, è l’immagine di un libro nel tuo studio che ritrae il capolavoro di Piero della Francesca Storie della Vera Croce. È una scelta che mi ha molto incuriosito. Perché hai inserito questa immagine?
MM: Quando frequentavo la scuola d’arte, rimasi molto colpito da Piero della Francesca. È un artista fantastico ed è molto importante per il mio lavoro. Nel 1991 volevo realizzare una testa con una linea del collo come quella di una donna del suo affresco. Purtroppo non riuscii ad imitarla, non sapevo come realizzarla tecnicamente… Per lungo tempo ho pensato a come impiegare il suo lavoro nel mio lavoro e finalmente, anni fa, feci una scultura intitolata Composition with yellow vertical in cui il collo della figura aveva la stessa curva del profilo nell’affresco di Piero. Oltre a questa curva, volevo realizzare anche qualcosa che potesse essere stato creato nel 1915. Così feci la testa della donna con i capelli al vento e misi esattamente al centro della figura una barra verticale di legno color giallo. Desideravo fare una testa di donna che fosse concentrata sulla sensazione del vento che soffia sui suoi capelli. Dentro al mio studio non c’è vento, quindi posso solo creare la sua immagine. Molte di queste piccole idee possono essere rintracciate nel mio lavoro anche dopo vent’anni. Oggi il libro su Piero della Francesca è ancora nel mio studio, è parte di esso.
MP: Il tuo lavoro rimanda al concetto di Rosalind Krauss “sculpture in the expanded field” dando così possibilità alla scultura di divenire ancora altro. Ti ci ritrovi?
MM: Vivo un tempo privilegiato che mi dà la libertà di usare il linguaggio dell’arte in modi così diversi rispetto al passato. Per esempio, nel mio lavoro posso decontestualizzare altri artisti come il pavimento di Carl Andre. In Isolated Bathroom ho impiegato il suo pavimento perché è il migliore che ci sia e mi sono sentito libero di farlo. Probabilmente a lui non piacerà, ma è parte del nostro linguaggio. Alcuni artisti lo hanno usato con un’accezione critica, nel mio lavoro diventa funzionale al contesto del progetto e penso funzioni bene.
MP: La figura di un corpo senza braccia e gambe, con il viso reclinato sul petto, è spesso presente nei tuoi lavori. Mi fa ricordare la scultura di artisti quali Michelangelo e i suoi Prigioni oppure Medardo Rosso e le sue teste non finite. Come mai ricorri al non finito?
MM: Nel mio lavoro desidero mostrare l’azione… come appoggiare dei pezzi di stoffa sulla vasca, prendere l’argilla da essa e metterla su un asse di legno. Per me è molto importante che non sia finito, che qualcuno abbia lasciato questa stanza, questo palcoscenico… Mi piace che non sia una figura realistica, che sia un’immagine su cui posso continuare a lavorare. L’intera installazione appare come un momento bloccato. Realizzando una figura senza braccia né gambe, questa non si può muovere, solo l’artista può muoverla. Mi piace che non possa stare in piedi, che sia così fragile ma contemporaneamente serena, calma, anche se è rigida, dura. È come creare e distruggere allo stesso tempo.
MP: In che modo il tempo è presente nel tuo lavoro?
MM: Da una parte questa stanza da bagno è un momento congelato, dall’altra si relaziona alla storia in una maniera molto complessa. È una sorta di palcoscenico da cui l’artista è scomparso. Non riesci a immaginarci qualcuno dentro, è un particolare tipo di stato congelato. È fatta in modo da sembrare anche una “camera dentro una camera”, un dipinto, una finestra da dove guardare verso l’interno.
MP: Autoritratto è una parola chiave del tuo personale linguaggio. In che modo si relaziona a te e al tuo alter ego di artista?
MM: Ho iniziato come scrittore, scrivevo in prima persona e il protagonista all’interno dell’edificio aveva il mio stesso nome. Il mio studio, il mio lavoro e in particolare Self-portrait as a building funzionano come una macchina che crea immagine. Anche se sono colui che prende le decisioni, il mio lavoro non è su di me, deriva invece dalla logica interna al lavoro stesso. Ad esempio, in Isolated Bathroom tutto arriva da una specie di logica, scaturisce dai miei lavori precedenti: le cose sono posizionate al loro posto secondo un maniera molto logica, non avrei mai potuto realizzare questo progetto dal niente.