“Forse non esiste, per un adulto, un ‘modo naturale’ di camminare.”
Marcel Mauss, “Les techniques du corps”, Journal de psychologie, 1935.
Berlino, Alexanderplatz
Sul tetto di un ampio edificio, una delle tante costruzioni in pietra del periodo della DDR, è installato un enorme schermo elettronico che funge da spazio pubblicitario di un grande supermercato tedesco. Ma, durante la prima edizione della Biennale di Berlino nel 1998, invece del solito messaggio promozionale, sullo schermo che sovrasta la storica piazza apparivano i messaggi commerciali, seducenti ma concisi, di un giovane artista austriaco: Markus Schinwald.
L’artista, che all’epoca viveva a Berlino, mise in mostra delle scarpe che aveva ideato utilizzando, intenzionalmente, un’estetica metropolitana; per esempio i suoi Mono Heels del 1998, scarpe da donna eleganti ma senza suola, solo con un tacco allacciato. Dallo spot di Schinwald era chiaro che scarpe di quel genere rendevano la deambulazione molto difficile, anche se la giovane donna sullo schermo riusciva, coraggiosamente, a rimanere eretta. Si vedeva anche una donna che, indossando le Cabrio Shoes del 1998, saltellava su e giù. I messaggi pubblicitari di Alexanderplatz erano accompagnati da pubblicità di riviste che mostravano alcuni fermo immagine delle scarpe. Queste, assolutamente non funzionali ma di impatto, si potevano ammirare alla Kunst-Werke di Berlino, collocate su piccoli piedistalli a mo’ di sculture.
Tutte le tematiche ancora oggi fondamentali per Schinwald erano presenti in questo progetto iniziale. Tra le due estremità, che si tratti di arte e moda, di performance e film, l’artista indaga un universo molto intenso, composto dal corpo umano, abiti formali, codici linguistici e spazio sociale. Bisogna anche citare un altro esempio del suo lavoro iniziale, Jubelhemd (camicia per cerimonie, ndt), del 1996. Schinwald confezionò una camicia bianca che metteva in difficoltà chiunque la mettesse, dato che doveva essere indossata tenendo le braccia continuamente alzate. Una camicia elegante si trasformava in una camicia di forza e, al contempo, in una “camicia da cerimonia”. Quest’opera potrebbe essere una metafora adatta a descrivere l’ottimismo euforico di una nuova era, misto a un edonismo modaiolo e a un’incessante brama di successo economico tipico degli anni Novanta; la non funzionalità dell’opera acquista istantaneamente una qualità semantica.
Ritorno al Presente
Ho incontrato Markus Schinwald nel suo studio, un ex negozio del terzo distretto di Vienna (Landstraße). Come al solito regnava il caos: un cappio pendeva dal soffitto, sulle pareti erano esposte delle incisioni dell’artista, vari manichini nudi erano sparsi qua e là, tazze di caffè vuote erano in attesa di essere lavate e un assistente stava segando delle assi di legno.
Lo studio, dalla mia ultima visita sei mesi prima, era stato ampliato grazie all’aggiunta di un ampio spazio adibito a ufficio. Subito Schinwald ha iniziato a parlarmi della sua personale alla Kunsthaus Bregenz (aprile 2009), facendomi vedere il modellino della mostra posizionato su un lungo tavolo di fronte a noi. La mostra coinvolgeva tre piani dell’edificio creato da Peter Zumthor; ogni piano era dotato di un palcoscenico, a sua volta diviso in due parti. Su ognuno di questi palchi, e in giorni diversi della mostra, si svolgeva una performance teatrale. Le pièce erano filmate e proiettate lungo le scenografie. Produzione, riproduzione e presentazione viaggiavano di pari passo, trasformando la mostra in una sorta di ibrido che racchiudeva teatro, film e mostra d’arte. Il fatto che molti lavori dell’artista fossero inseriti nei set, e fungessero da commento agli eventi messi in scena, rendeva quest’opera una vera e propria mostra. Schinwald, vestito come di consueto con un elegante e leggero abito scuro, mi indicò una delle incisioni sulla parete e mi disse che quest’opera sarebbe stata esposta alla mostra del Bregenz. Si trattava di una stampa ai pigmenti ricavata da un’incisione del XIX secolo che ritrae un signore benestante in abito scuro; il suo nome era Johann, ed è anche il titolo di un’opera del 2005. Schinwald ha scannerizzato il ritratto dell’uomo, inserendolo nel computer, deformando e moltiplicando gli elementi dell’immagine per poi riorganizzarli, fino a creare un’immagine disturbante e dalle forme discordanti. Gli occhiali dell’uomo sono stati infatti plasmati fino a diventare uno strano anello da naso. Non solo il ritratto perde, in un colpo solo, convenzionalità e naturalezza, ma questo spostamento polimorfo e perverso delle forme fa emergere la dimensione storica della moda e dei diversi dress code.
L’immanente destrutturazione dell’universo della moda maschile non fa che sottolineare quanto essa sia un sistema chiuso. Dopotutto, anche la deviazione dalla moda è fortemente definita dal passato e quindi resta intrappolata nel suo contesto.
La scultura come corpo
Diverse sculture di Markus Schinwald hanno un ruolo importante nella mostra di Bregenz.
Untitled (2007) è composta dalle gambe di quattro sedie di legno ed è una sorta di incrocio tra arti smembrati e un enorme insetto. Le gambe della sedia, pur non avendo nessun tipo di relazione con il corpo umano, ne richiamano e mimano l’aspetto. Accompagnano queste sculture astratte (in maniera più o meno frequente) montanti geometrici orizzontali e verticali, grate costruite negli spazi dei tre palcoscenici, come nella mostra che Schinwald presentò al museo Migros di Zurigo all’inizio del 2008: queste ultime limitano il campo visivo e intralciano l’immediatezza del movimento. Ciò fa sì che il l’artista esamini il corpo umano e la sua capacità di muoversi in situazioni che vedono la mobilità strettamente collegata allo spazio tridimensionale. Per questa ragione Schinwald trasferisce le sue invenzioni pittorico-scultoree nelle performance, nel teatro e nel cinema, tutti linguaggi che hanno una durata temporale definita: in questo modo l’artista inserisce la dimensione temporale in un gioco estetico.
Quando è stato intervistato a proposito delle tre performance a Bregenz, l’artista ha risposto: “Sto pensando a concetti quali: ‘biografia intesa come foglio bianco’, e ‘trionfo masochista’. Per certi versi le scene presentano similitudini con la serie televisiva Seinfeld. L’atmosfera è simile al mio film Dictio Pii (2001)”. In questo lavoro sette attori recitano sette episodi sconnessi, in un misterioso hotel deserto. C’è un facchino che continua a togliersi la polvere dall’uniforme; una donna bionda, non giovanissima, con una strana protesi attorno al collo, che fuma una sigaretta dopo l’altra; infine, un uomo legato che sta in piedi, immobile davanti a una donna, osservandola con sguardo severo. Si odono anche frammenti di testo che recitano “siamo il profumo dei corridoi… i traditori della privacy”, ripresi da filosofi come Nietzsche, personaggi del mondo della moda come Calvin Klein, e lo scrittore J.G. Ballard. In collaborazione con il disegnatore di moda René Lezard, Schinwald ha concepito un tour de force mozzafiato che racchiude in sé la profondità del desiderio, del feticismo e dell’alienazione.