Nel corso degli ultimi sette anni, periodo breve e intenso, la giovane artista italiana Micol Assaël ha creato un numero notevole di opere. Le sue installazioni, intense e inquietanti, includono modificazioni delle strutture architettoniche esistenti, come effettuare una serie di fori, ciascuno di 70 mm di diametro, in una linea che, con un angolo specifico, penetra attraverso i muri di numerose gallerie (Senza Titolo, 2002) oppure la rimozione del pavimento di un edificio (in collaborazione con Jorge Peris, Senza Titolo, 2003). In altri lavori l’artista ricostruisce nuovi spazi specifici o modifica quelli già esistenti. Nella sua opera corrono paralleli elementi diversi, compreso un intenso lavoro meditativo, e sculture e disegni indirizzati alla trasformazione, spesso con l’utilizzo di materiali rinvenuti o stampe già esistenti, lavori presentati come libri e/o installazioni (18-24/08/2001; Free Fall in the Vortex of Time, 2005).
L’artista ha anche progettato e organizzato numerosi ambienti per esperimenti sul comportamento degli esseri umani. In queste situazioni performative i componenti del pubblico, inconsapevoli della loro condizione di soggetti, sono colpiti e trasformati, fisicamente e mentalmente dagli scenari di Assaël. È difficile essere testimoni passivi dei suoi lavori dato che provocano e allo stesso tempo impongono un’interazione che, a tempo debito, provoca disagio fisico e psicologico. Presentano una serie di soluzioni formali che alludono spesso allo stato di isolamento, volontario o forzato, richiesto per il lavoro di ricerca scientifica, per la meditazione, e per la repressione. Attraverso l’uso controllato di apparecchiature ed equipaggiamenti tecnici, come generatori di potenza o vecchi motori (Mindfall, 2004), circuiti elettrici aperti e potenti convogliatori d’aria (Senza Titolo [dielettrico], 2002) e diversi altri apparecchi, gli spazi cubici di modeste dimensioni costruiti o adattati e messi a punto da Assaël ricordano celle di prigioni abbandonate, camere di esecuzione e celle refrigerate (Vorkuta, 2001; Sleepnessless, 2003). In alcuni casi i lavori richiedono la presenza continua di individui isolati che, sotto la direzione dell’artista, compiono attività come la lettura di brani da libri riguardanti la fine del mondo e la resa dei conti, selezionati da Assaël (The Brightness of the Morning After, 2005), o l’esecuzione ininterrotta del lavoro routinario di manutenzione e riparazione della struttura del mattatoio, nell’arco di tutte le ventiquattro ore (Gabriel, 2003).
Alla fine degli anni Sessanta e durante gli anni Settanta, artisti come Vito Acconci, Chris Burden e Bruce Nauman in America, o Gina Pane e Valie Export in Europa, fecero del proprio corpo l’oggetto di ricerche in performance che erano solitamente registrate attraverso fotografie e video. Il loro esercitarsi nell’autocontrollo assunse varie forme e talvolta si concluse con automutilazioni rappresentate o reali. Si avvicinarono al limite e in alcune occasioni passarono il segno, come nel caso di Bas Jan Ader, che scomparve durante una traversata in solitario dell’Atlantico che era parte di un progetto artistico. Il corpo divenne una membrana sensibile tra il mondo esterno e il mondo interiore, ciascuno influenzando e contagiando l’altro, uno schermo sul quale proiettare problemi di ordine economico, politico, sociale, o legati alle identità sessuali. Il confine che divideva il corpo dall’ambiente architettonico venne messo in discussione nel lavoro di Gordon Matta-Clark attraverso le fenditure, accuratamente eseguite, in edifici in attesa di essere demoliti. In un periodo storico in cui la sfera pubblica era stata in definitiva rappresentata in termini di valore economico della proprietà e la crescente mercificazione dei valori artistici si rispecchiava nel proliferare senza precedenti di immagini omogenee e concetti prodotti dalla spettacolarità dei media, l’uso da parte dell’artista del proprio corpo sembrava offrire una tenue possibilità di resistenza, soddisfacendo la necessità di una comunicazione non mediata. Il dolore fisico o il disagio primario — quest’ultimo anche da parte degli spettatori — connessi alle performance sembravano fornire un minimo grado di realtà all’opera d’arte. Gli artisti, assumendosi un rischio personale di fronte agli spettatori, assorbivano il pubblico nell’azione: gli ex spettatori diventavano complici. L’interesse di Chris Burden per la televisione come media — utilizzata per la distribuzione del suo lavoro (Full Financial Disclosure, 1977), ma anche proprio dirottata (TV Hijack, 1972) — dimostra la consapevolezza, da parte dell’artista, del bisogno di mettere sottosopra l’aura che circondava queste prime imprese con il corpo.
Nel suo lavoro Micol Assaël prende atto che l’arte concettuale e la scultura minimalista si interrogano sul momento fondamentale della relazione fra gli artisti, il loro lavoro e gli spettatori. Assaël cerca di abolire le dialettiche del sé e del mondo esterno ancora presenti nell’arte che si era ispirata al corpo in precedenza e cerca di liberare il corpo — il suo e quello degli spettatori — dalle limitazioni dei gesti individuali, essenziali, dall’essere fissati sull’idea della presenza. In questa situazione nuova il corpo non dovrebbe appartenere a nessuno, proprio come in un esperimento condotto nella condizione neutrale e oggettiva di un laboratorio, o in ogni esercizio di meditazione che porta alla deprivazione sensoriale a alla libertà mentale, e anche in situazioni di reclusione. Il corpo diventa un mezzo, una potenzialità che si presenta come assenza di intenzionalità e mancanza di soggettività. Quando veniamo in contatto con gli spazi di Assaël ci confrontiamo con fenomeni naturali insoliti e violenti — elettricità, magnetismo, temperature molto basse o molto alte — che possono essere controllati fino a un certo punto. In seguito lasciamo la scena e l’opera cessa di esistere, se non come ricordo di quanto accaduto tra gli spettatori mentre sperimentavano una condizione alterata. Fotografie e registrazioni video dello spazio che scorrono dal vivo ci parlano di alcune delle condizioni e circostanze ma non ci trasmettono alcuna esperienza individuale e soggettiva dell’opera. Lo scorrere di immagini dal vivo determina una vicinanza illusoria dell’esperienza reale ma la parte più affascinante è il divario distopico tra chi partecipa all’evento e il destinatario dei dati digitali. Assaël insiste nel mettere in corto circuito posizioni e stati mentali di soggetti diversi, con lo scopo di abolire il confine tra essere testimoni e agire, in un disfacimento della soggettività che apre la strada a una nuova società.
La discussione e critica recente delle “estetiche relazionali”, in essere dalla metà degli anni Novanta, in cui gli artisti divennero fornitori di protesi artistiche, surrogati per interazioni sociali — come tribune, podi, soluzioni tipografiche, schemi di colore o pasti gratuiti serviti in gallerie e poi trasformati in sculture — ha portato a una svolta assai poco riflessiva dell’attenzione critica verso inclinazioni e pratiche più dirette, apparentemente interessate meno a oggetti concreti e più a esseri umani reali. I lavori di Artur Zmijewski, Santiago Sierra e Thomas Hirschhorn, per nominare tre degli artisti più conosciuti in questo contesto, sono stati spesso oggetto di discussione per il (mancato) rispetto verso gli “attori” coinvolti nei loro progetti artistici o — come affermano certi critici — sfruttati come materiale in tali opere. Per qualche motivo le artiste e gli artisti più giovani di solito non sono citati del tutto nel contesto della produzione artistica “socialmente rilevante”: è come se il loro lavoro non fosse sufficientemente articolato da permettere un’analisi dettagliata o addirittura un’interpretazione documentata.
Si può interpretare il lavoro di Micol Assaël come un avvicinamento alla comunicazione diretta. È chiaramente interessata a creare situazioni che mettano a rischio, quasi in pericolo, i partecipanti, lei stessa inclusa. L’occasione di essere vicini al pericolo è, in alcuni casi, ottenuta mediante l’interpretazione retorica di una minaccia, come un ambiente claustrofobico, e anche attraverso l’uso di tecnologie specifiche per produrre peculiari sensazioni fisiche oltre il visivo. In Chizhevsky Lessons (2007) alla Kunsthalle di Basilea, l’artista fa riferimento allo scienziato russo Alexander Chizhevsky (1897-1964), le cui ricerche erano incentrate sulla correlazione tra l’attività solare e alcuni eventi storici significativi, come guerre e rivoluzioni. Chizhevsky sperimentava testando l’influenza dell’aria ionizzata sugli esseri viventi e divenne noto come uno dei pionieri della biologia spaziale. L’interesse di Assaël per la scienza e per l’applicazione di teorie scientifiche obsolete (come nell’opera The Theory of Homogeneous Turbulence, 2002) l’ha portata a esplorare aree ormai dimenticate della produzione e del sapere scientifico ed è culminato nella collaborazione attuale con un istituto fisico di ricerca di Mosca dove è stato sviluppato il progetto della Kunsthalle. L’installazione — che consiste in un generatore di potenza personalizzato, un impianto elettrico materiale per l’isolamento del pavimento e pannelli in rame sospesi nello spazio sopra i visitatori — trasforma una sala di 200 metri quadrati della Kunsthalle in un gigantesco condensatore e come risultato i visitatori ricevono una scarica elettrostatica entrando nello spazio. Si ha la scarica, che è accompagnata da una scintilla, toccando un oggetto o una persona con carica opposta. L’artista ha parlato dell’esperienza di migliaia di volt che scorrono attraverso il corpo a una velocità di ampère molto bassa. Tale visione fornisce all’immaginazione forti stimoli; l’esperienza si svolge comunque seguendo le leggi fisiche note e le condizioni sperimentali stabilite. Waiting for the Unknown e Free Fall in the Vortex of Time (entrambi del 2005) sono forse i due lavori di Micol Assaël che dimostrano meglio il desiderio di toccare l’ignoto e di rinunciare al controllo, compensato dall’interesse dell’artista negli stessi meccanismi di controllo che mette in discussione e nel padroneggiare le forze della natura. La realizzazione di Waiting for the Unknown avrebbe comportato la collocazione di una notevole quantità di esplosivo all’interno delle falde del vulcano Eldfell sull’isola di Heimaey in Islanda, per causare una grande esplosione durante la prossima eruzione del vulcano (l’ultima ebbe luogo nel 1973). Il progetto è rimasto irrealizzato proprio come quello dell’artista polacca Alina Szapocznikow che, all’inizio degli anni Settanta, propose di realizzare una pista di pattinaggio nel cratere del Vesuvio, incisiva affermazione riguardante la contiguità di bellezza e pericolo estremi. Free Fall in the Vortex of Time è formato da centinaia di frammenti di carta, come ricevute, biglietti e cartoline — alcuni annotati con numeri di telefono e nomi — collezionati dall’artista nel corso di viaggi in paesi lontani e pieni di ricordi personali. Sopra ogni pezzo è stato scritto un numero in sequenza; i numeri formano un triangolo seguendo una formula matematica stabilita ma, a prima vista, sembrano assolutamente arbitrari. Ciò che rimane della vita quotidiana, frantumato in mille pezzi, è contrassegnato da numeri che sostituiscono un certo tipo di ordine effimero come se il lavoro controllato di scrivere a mano ci lasciasse cadere liberamente ed esattamente al centro del tempo.