Tra il 1969 e il 1973 Milano fu considerata, da molti, la capitale dell’arte in Europa. Per la prima volta alcune gallerie europee vennero ad aprire nuove sedi e molti giovani artisti, dal Brasile al Giappone, vennero a stabilirsi a Milano.
Nell’aprile del 1969, dopo l’Accademia di Belle Arti di Firenze e un breve soggiorno a Roma, mi trasferii a Milano. Per me Roma, dopo la grande stagione creativa del gruppo di artisti che ruotava intorno alle gallerie l’Attico di Sargentini, la Salita di Liverani e la Tartaruga di De Marchis con il Teatro delle mostre, e dopo gli Happening degli artisti americani, aveva esaurito la spinta creativa e molti giovani artisti cominciarono a guardare a Milano come possibile nuovo centro dell’arte. Appena arrivai a Milano, nella primavera del 1969, andai a visitare la mostra di Luciano Fabro, alla Galleria De Nieubourg di Franco Toselli. Ancora oggi mi tornano davanti agli occhi il manifesto stradale dell’Italia rovesciata e appesa e la corona di piombo che era all’ingresso della galleria.
In quella occasione conobbi Fernando Tonello, giovane artista che aveva fatto anche lui una mostra nella Galleria Toselli di cui Panorama, un settimanale molto attento in quel periodo anche alle nuove tematiche artistiche, aveva pubblicato un servizio con le foto delle sue opere. Tonello mi offrì subito di poter lavorare nel suo studio e mi presentò Fabro, Nagasawa e Trotta, i suoi amici artisti. Milano, in quel periodo, diventa molto attiva culturalmente, con l’apertura di nuove gallerie. Da Parigi, Françoise Lambert si trasferisce a Milano per aprire una sua galleria. All’inizio fece delle mostre con Warhol, Dine, Jorn, ma subito dopo incomincia a interessarsi agli artisti più innovativi come Gilbert & George, Oppenheim, Buren, Dibbets, ecc. Subito dopo anche un’altra importante galleria di Parigi, Daniel Templon, aprì una nuova galleria a Milano.
Toselli dopo Nieubourg, si trasferì in uno spazio seminterrato della stessa via dove fece mostre di Bochner, De Dominicis, e altri, ma anche una collettiva con Fabro, Pistoletto, De Dominicis, Nagasawa, Tonello, e un mio Paesaggio senza colore (un rettangolo nero, dipinto sul muro, e un registratore con dei rumori della città). Subito dopo aprì un grande spazio vicino Porta Venezia. Da Toselli cominciarono a esporre gli artisti più conosciuti a livello internazionale e a ogni inaugurazione era possibile incontrare moltissimi artisti ma anche galleristi e collezionisti. Quasi in contemporanea apre un nuovo spazio anche Luciano Inga Pin, che in poco tempo diventa una delle prime gallerie, a livello internazionale a interessarsi esclusivamente alla Body Art. In questo spazio, in poco tempo, esposero Urs Lüthi, Gina Pane, Marina Abramovic, e moltissimi altri. Ormai Milano era diventata un punto di riferimento europeo e molti, del mondo dell’arte, venivano spesso per visitare le gallerie che esponevano l’arte più innovativa a livello internazionale.
In quel periodo ero diventato molto amico di Françoise Lambert, passavo molto tempo nella galleria e spesso cenavamo insieme. Un giorno mi fece vedere un giornale inglese con delle foto di Gilbert & George e mi disse: “Alessandro voglio scrivere una lettera per invitarli a fare una mostra da me, che ne pensi?” Anche io, in quel periodo, adoperavo il disegno per raccontare la mia vita ed ero affascinato dai lavori di Gilbert & George. Dopo alcuni giorni arrivò una lettera nella quale gli artisti accettavano di fare una mostra a Milano, e per noi fu una grande sorpresa e un grande piacere.
Ma io credo che il trasferimento di Flash Art da Roma fu il grande segnale della Milano che si internazionalizzava e si apriva al mondo. In quel periodo altre riviste, come Nac, Gala, Domus, ma anche Art Press di Catherine Millet, L’art Vivant di Jean Clair e Artitudes International puntarono i riflettori su Milano come centro dell’arte. Nel 1971 nasce DATA, ma nei primi anni non era per niente interessata alla nuova situazione milanese, solo nel 1975 fece un servizio dal titolo “Miracolo a Milano”, ma ormai molti artisti erano andati via e il clima internazionale di Milano rimaneva legato solo alla moda.
Certamente anche un grande collezionista, come Panza di Biumo, contribuì a fare di Milano un centro ambito e conosciuto nel mondo. Ricordo che a ogni mostra di Toselli, di artisti statunitensi, lui arrivava con una borsa nera in mano, e dopo aver osservato bene le opere della mostra, si chiudeva nell’ufficio della galleria, con Toselli, certamente per parlare dell’acquisto di alcune opere. In un primo momento le gallerie di Lambert, Inga Pin e Toselli si trovavano in via Borgonuovo che era la via della borghesia. Ricordo che nella via si incontravano spesso Gianni Agnelli e Leopoldo Pirelli. In un secondo tempo, Lambert si trasferì a Porta Nuova e Inga Pin rimase vicino Brera, mentre Toselli prese un grande spazio vicino Porta Venezia, di fronte alla casa dove vivevamo io e Tonello. In quel periodo aprì una galleria anche Maddalena Carioni, una signora della nobiltà milanese. Una galleria che in poco tempo divenne il punto di aggregazione e frequentazione di molti giovani artisti, ma anche di intellettuali e persone del mondo della moda e del design.
In questa nuova situazione, Milano incomincia ad attrarre molti giovani artisti italiani e stranieri: Nagasawa era venuto alcuni anni prima dal Giappone, e Trotta dopo un periodo di tempo in Argentina era tornato in Italia dopo la sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1968. Ma in quel periodo arrivarono molti altri artisti internazionali tra cui, Dias e De Freitas dal Brasile, Zvi Goldstein da Israele, Coleman dall’Irlanda, Dorothee Von Windheim dalla Germania. Per la prima volta una città italiana era diventata culturalmente interessante da attrarre a livello internazionale i giovani artisti. In questo clima, dove si cercava di ridisegnare una nuova tappa dell’arte, molte gallerie aprirono ai giovani artisti.
Una conferma di questa vitalità è la Galleria Borgogna che apre un nuovo spazio in via Serbelloni con la collaborazione di Luigi Ardemagni e organizza mostre di Fabro, Nagasawa e Trotta. Anche Luciano Inga Pin espone Zaza, Ontani, Arcelli & Comini, De Freitas e molti altri e nel 1975 fece la mostra “Campo Dieci. Una generazione e il mezzo fotografico”, con Clemente, Zaza, Paladino, Ontani, De Freitas, Faggiano, Jasci e altri. Toselli, impegnato a proporre gli artisti più propositivi a livello internazionale, organizzò anche una mostra di Remo Salvadori. In questo clima anche una galleria come Marconi sentì il bisogno di presentare nuovi artisti con mostre di Di Bello, Coleman e Dias. Ma la situazione più nuova e interessante fu l’apertura dello Studio Maddalena Carioni. Sin dall’inizio si incominciò con un clima di grande apertura e dibattiti sulla nuova possibilità espressiva dopo l’arte Minimal e l’Arte Povera. Certamente Fabro era il punto di riferimento e di aggregazione. Il 25 maggio 1972, lo Studio Carioni, apre con una mostra di artisti che vivono a Milano: Luciano Fabro, Hidetoshi Nagasawa, Mario Nigro, Remo Salvadori, Alessandro Jasci, Fernando Tonello, Mario Fusco, Antonio Trotta e Zvi Goldstein. Il catalogo della mostra fu pensato e impaginato da Fabro come primo bilancio di riflessione e rinnovamento estetico.
Io avevo fatto amicizia con un fotografo che lavorava, principalmente, per la moda e la pubblicità: Carlo Stella. Lui aveva fatto le prime foto dei miei “Libri” e “Sogni” su tela emulsionata, ma anche molte foto-ritratto tra cui Jasci Vampiro, nel 1971. Divenne il fotografo della Galleria Carioni e cominciò a portarci anche molte modelle per le inaugurazioni. Così allargammo il nostro giro di frequentazione e l’ambiente della galleria divenne molto frequentato non solo dai personaggi dell’arte ma anche da molte altre persone. Certamente per il tempo, la frequentazione della galleria Carioni era molto diversa dalle altre gallerie, anticipando di molto l’atmosfera che si respira ora, dove a ogni vernissage un grande pubblico variopinto si accalca solo per essere presente. Per molti di noi la fotografia era diventata molto importante per raccontare il nostro lavoro che includeva anche il “comportamento”. Dopo la scomparsa prematura di Ugo Mulas, un suo collaboratore, Giorgio Colombo, divenne il fotografo più desiderato da noi giovani artisti. Lui ed Enrico Cattaneo sono stati quelli che hanno vissuto e documentato, con la macchina fotografica, il momento storico di una Milano dell’arte, europea e internazionale.
Intorno a Luciano Fabro si formò un’aggregazione con Nagasawa, Tonello, Trotta e io; ma anche Nigro e Agnetti ci erano molto vicini, mentre molti giovani artisti che arrivavano a Milano incominciarono ad avvicinarsi a noi: Remo Salvadori, Marco Bagnoli, Michele Zaza, Athos Ongaro, Arcelli & Comini, Franco Ravedone, Vito Bucciarelli, e molti altri. Ogni giorno ci riunivamo o nei nostri studi o al bar Jamaica per parlare della nuova stagione dell’arte. Molte volte si andava a prendere un tè che ci faceva Betty, la moglie di Trotta, o a cena da Nagasawa dove era possibile mangiare nidi di rondine e alghe marine, dato che ogni mese i suoi genitori spedivano a Milano un pacco contenente cose della cucina tipica giapponese. Era veramente molto stimolante il clima che si era creato in quel periodo. La grande casa-studio che io e Tonello avevamo di fronte alla galleria Toselli era diventata un punto d’incontro. Molti venivano a trovarci non solo per farci visita ma anche per bere. Maddalena Carioni, a ogni visita, ci portava casse di bottiglie di champagne e whiskey. Ogni volta che Mario Merz andava da Toselli ci faceva visita. Molti artisti del gruppo milanese erano del segno zodiacale dello scorpione e decidemmo di dare una festa, e fu scelta la nostra casa perché era molto grande. In poco tempo la casa divenne molto piccola per il grande numero di persone che arrivarono. Oltre agli artisti, arrivarono anche molte persone dell’ambiente della moda. Per tutti noi fu un grande piacere vedere che era presente anche Giancarlo Politi. Flash Art in quel periodo incominciava a interessarsi al nostro lavoro insieme a Gala diretto da Inga Pin e NAC di Vincitorio, ma anche Artitudes International, e altre riviste recensivano le nostre mostre.
Per noi era veramente stimolante poter vedere le mostre di moltissimi artisti internazionali a Milano. Luciano Fabro era molto attivo per creare una nuova situazione culturale perché, in quel periodo, si sentiva molto distante dall’Arte Povera. Non a caso il suo lavoro intraprendeva una nuova strada fatta di materiali preziosi come bronzo, marmo, seta, vetro, ricami. All’inizio avevamo deciso di aprire noi una galleria autogestita, poi con l’entrata di Luigi Ardemagni nella Galleria Borgogna e di Maddalena Carioni tutto diventò più facile e coinvolgente fino alla fine del 1973. Alla fine dell’anno avevamo deciso di pubblicare un libro con tutte le nuove esperienze fatte fino a quel periodo, con cui volevamo far conoscere i nuovi orizzonti collettivi, ma anche le ricerche dei singoli artisti. Il libro sarebbe stato presentato da Luca M. Venturi, un giovane critico che ci era molto vicino, e che lavorava per Artitudes International, ma alcune incomprensioni tra i diversi artisti e la situazione politica che peggiorava sempre di più, insieme alla crisi economica, ci fecero interrompere la pubblicazione del libro. In seguito alla morte prematura di Fernando Tonello, anche la nostra aggregazione si sciolse e io mi trasferii a Roma, mentre molti altri artisti andarono via da Milano. Ogni volta che io tornavo a Milano, Luciano Fabro mi invitava sempre a cena, e mi ricordava che la stagione internazionale di Milano era finita e che tutto era ritornato come prima.
Dopo 40 anni scopro che Milano ha dedicato una mostra dal titolo: “Addio anni 70. Arte a Milano 1969 – 1980”. Con grande sorpresa, nel visitare la mostra, mi sono trovato a respirare un’atmosfera di una Milano dell’arte piena di centri sociali e raggruppamenti artistici periferici, ma anche di artisti italiani che non hanno niente a che fare con la Milano internazionale dell’arte di quegli anni. Poi, per giustificare questa inclinazione internazionale sono stati inseriti artisti che avevano fatto una mostra in quel periodo a Milano in gallerie che non avevano niente a che vedere con la nuova stagione dell’arte milanese degli anni Settanta.
Leggo sul catalogo della mostra un articolo di Altamira, del 1974, che parla delle Gallerie di tendenza: “… partendo dal solito calcolo delle 230 e passa gallerie milanesi, si finisce per restringere il discorso a una ventina scarsa, di cui solo quattro o cinque possono tuttavia considerarsi come vere e proprie gallerie specializzate in un settore di ricerca, ovvero: Diagramma, Lambert, Studio Carioni, Templon, Toselli; Borgogna, Studio Marconi, Vinciana; Blu, Dell’Ariete, Naviglio, Bertesca, Milione, Salone Annunciata, Studio Sant’Andrea; Levante, L’uomo e l’arte, Milano, Schwarz.” Io ora mi chiedo: dove sono gli artisti delle prime cinque gallerie della lista?
Come è possibile presentare l’Arte della Milano degli anni Settanta attraverso artisti che lavoravano negli anni Sessanta con tematiche pop-artistiche e cinetiche? Certo, se noi pensiamo che prima degli anni Settanta l’ultima situazione già storicizzata era quella romana di Pascali, Kounellis ecc. e l’Arte Povera torinese di Celant, questa mostra ci fa vedere un’arte lontana dalle nuove tematiche internazionali e ci riporta negli anni dell’isolamento artistico italiano. Purtroppo ancora una volta è stata persa un’occasione per far capire e vedere cosa è stata Milano in quegli anni.