“Vedere voci” è un ossimoro che si riferiva in origine (è il titolo di un libro di Oliver Sacks) allo sviluppo straordinario delle capacità visive in soggetti deprivati della possibilità di ascoltare, e che può essere assunto come una possibile chiave di lettura della ricerca “sinestesica” sviluppata da Nark Bkb. Si tratta infatti di un percorso che indaga soprattutto la relazione tra suono e immagine, sondando diversi linguaggi e dissezionandoli attraverso installazioni, video e fotografiche, tutte con un forte aspetto performativo. Quasi un lavoro anatomico, che si avvicina per questo al linguaggio più canonico del concettuale, finendo però per produrre effetti “caldi”, inaspettatamente emotivi. In Giacinto Pannella, detto Marco (2006) — menzione speciale della giuria del Premio internazionale della Performance di Trento — la scena vuota di un teatro è abitata solo da una luce e risuona della voce inciampante di Pannella: è uno dei discorsi politici fatti durante un digiuno, in cui la relazione tra corpo (in scacco) e volontà, dà “corpo” a una performance che si nutre dell’assenza. Da buon sperimentatore, Nark Bkb sembra rielaborare una fondamentale lezione di John Cage, corollario della sua ultima opera One11 e forse sintesi complessiva del suo lavoro di sperimentazione: “nessuno spazio è realmente vuoto e la luce mostra ciò che ci sta dentro” — potremmo aggiungere ciò che immaginiamo ci possa stare dentro, se pensiamo alle luci strobo che pulsano a ritmo di techno in una fabbrica abbandonata durante il rave fantasma di Comon! (2005, CSAV Fondazione Antonio Ratti), a cui non è dato accesso al pubblico. L’assenza, e lo spaesamento che ne deriva, sono gli effetti speciali utilizzati da Nark per analizzare la struttura del linguaggio, sia esso sonoro, visivo, gestuale o scritto. Un procedimento alla base anche di Sound-check (2005), realizzato nel foyer del Teatro Litta di Milano, in cui l’artista crea un cortocircuito spazio-temporale lavorando sulla percezione di ciò che si vive e che accade prima di un concerto: l’accordare gli strumenti (produzione), il controllo dell’amplificazione (e quindi della ri-produzione) e la percezione dello spazio antistante al teatro (ricezione). La privazione e il desiderio stanno al centro di una riflessione che combina un approccio marxiano, o forse benjaminiano alla consunzione della merce, con quello lacaniano sul soggetto desiderante (non privo di qualche scoria di cattolicesimo). Non è forse un caso che, seguendo ancora Cage, Nark attinga a più riprese alla produzione radiofonica, agli archivi sonori che costruiscono il paesaggio sociale di un Paese: è il caso di Radio Maria (Salutare!, 2004-2005), sorta di ritratto collettivo popolare, o di Radio Radicale per la performance trentina, o ancora di Radiotre (Notturno italiano, 2005), progetto da realizzare in un garage dove l’artista intende diffondere solo gli annunci di brani musicali trasmessi dalla radio, senza però farli ascoltare. In una performance itinerante ancora, il pubblico maschile viene fornito di una spilletta con una scrittura quasi infantile che recita Yes, It Works! (2006), dove non è ben chiaro se si voglia alludere alle prestazioni sessuali oppure alla mitologia capitalistica della produttività e della funzionalità a tutti i costi.