Christine Macel: Navid, la tua opera è fortemente rappresentata e radicata nel corpo.
Navid Nuur: Sì, lavoro in maniera molto fisica con il mio corpo, e non faccio distinzione tra le mie installazioni e le mie pubblicazioni. Entrambe sono parti del mio lavoro e sono porte aperte sul futuro, piuttosto che sintesi del passato. Il mio lavoro non è site specific, ovvero non creo qualcosa per un luogo, ma vedo il luogo come la parte mancante che può completare un lavoro che ho in mente, forse addirittura da anni. Sono in cerca di una reale equazione tra i due elementi. I miei lavori non sono sculture, si pongono sempre “tra” diversi media, come moduli che io posso assemblare. Sono molto legato a questo concetto di “intermodularità”. Infatti, sviluppo le mie idee attraverso piccoli schizzi, parole e appunti che annoto sul mio quaderno. Poi, il lavoro stesso dissolve le parole, e talvolta le parole restano nel lavoro. Solitamente uso adesivi per fare correzioni sul mio quaderno, ma riesco ancora a leggervi le parole scritte in precedenza e tutte le idee attraverso gli adesivi. Conservo il passato e il presente come strati. A partire da questi appunti, poi, sperimento le opere nel mio studio. Lo spazio, per me, è come un organismo vivente, per questo cerco di far interagire questi moduli con lo spazio. Ogni mostra è concepita come un insieme: non sto solo mostrando dei lavori in uno spazio espositivo, ma sto provando anche a coinvolgere la città, le persone, il pubblico.
CM: Puoi provare a ridefinire i ruoli, predeterminati, di artista e curatore?
NN: Curatore, istituzione, visitatore, critico o collezionista: sono solo delle etichette. Alla fine, tutto riguarda il mio lavoro e il suo ruolo all’interno di questo dialogo. Mi pongo sempre delle domande su queste definizioni, e sulle gerarchie in generale. Per questo motivo, il Van Abbemuseum di Eindhoven per la mostra “Glow (Re-)discovering Eindhoven”, nel 2010 mi ha chiesto di intervenire sulla loro collezione. Ho selezionato due loro opere e le ho fatte dialogare con due miei nuovi lavori. Ho scelto un video di Bruce Nauman, Manipulating a Fluorescent Tube (1969), sedici frame che rappresentano le diverse fasi dei lenti movimenti del suo corpo e un tubo fluorescente. Poi ho usato questi frame per creare, con i tubi fluorescenti, un modello 3-D a grandezza naturale che ricostruiva la sua performance di 60 minuti come un solido ed energico oggetto. L’ho chiamato After Bruce (2010) e ho installato questo lavoro vicino al suo video. Per l’opera al neon di Dan Flavin, invece, volevo riattivare uno dei suoi tubi fluorescenti rotti. Ho scritto una lettera a David Zwirner, che gestisce il patrimonio di Flavin, per avere alcuni vecchi tubi al neon, ma alla fine non ho spedito la lettera. È diventato parte di un progetto ancora in corso, che ho pubblicato come un testo che parla del concetto di luce all’interno del mio lavoro, dal titolo The After Glow. Per la mia ultima mostra alla Kunsthalle di St. Gallen, ho chiesto se potevo utilizzare il punto del comunicato stampa come una mia opera. Gli ho dato il titolo When you End and I Begin (2007). Nella mostra, questo comunicato stampa è stato messo sotto un microscopio, e il punto è stato ingrandito per mille volte.
CM: Credo che la tua sia una pratica che rifiuta il dualismo e ogni sorta di limiti.
NN: Infatti. L’arte comincia nel momento in cui senti che essa ha un senso: per esempio, ho tagliato l’immagine nera ovale nel manifesto della mia mostra, del 2009, alla Kunsthalle Fridericianum a Kassel, “The Value of Void”. È il mio modo di mescolare il visibile e l’invisibile, la finzione e la realtà, in una visione non dualista del mondo.
CM: Ti interroghi anche sulla percezione e sulla rappresentazione del mondo.
NN: Sono affascinato dal fatto che quasi nessuno al mondo ha mai visto il proprio vero volto: questo è possibile solo guardandosi in uno specchio. Finalmente ho trovato uno specchio speciale che non ti dà un’immagine riflessa della tua faccia quando ti ci specchi dentro. Ciò significa che, per la prima volta nella tua vita, puoi vedere veramente te stesso. E significa anche che gli autoritratti che i maestri dipingevano servendosi di uno specchio sono falsi. Il solo modo per vedere, per esempio, il vero volto di Rembrandt è guardare il suo autoritratto attraverso uno specchio. Allora potrai vederlo come un uomo pieno di dubbi, che sfoggia il suo profilo. Materia, struttura, colore e contesto definiscono l’atmosfera personale di ognuno di questi monocromi, non il modo in cui utilizzi i tuoi occhi per guardare a essi. E questa è una cosa importante. Così, ora sto provando a isolare questo movimento dell’occhio comune alla natura e alla storia dell’arte, e a usarlo come un elemento per alcuni dei miei nuovi lavori, i quali si avvicinano alla mia esperienza e percezione personali.
CM: Sei interessato alla neuroscienza e in particolare agli studi sulla vista — un settore, oggi, molto studiato?
NN: Mi interessa di più l’atteggiamento all’interno del settore scientifico, di come ci si interroghi su ogni cosa e si sviluppino metodologie. Nel campo dell’arte questo avviene molto più lentamente e siamo troppo dipendenti dai risultati. Io utilizzo la scienza in relazione alla mia intuizione per misurare tutti i miei sensi facendone esperienza in maniera più “rallentata”: questo rallentamento ti consente di fare esperienza di altre cose mentre guardi la stessa cosa.
CM: Lavori mescolando il suono con la scultura in maniera molto originale.
NN: Se tu registri un suono, puoi ascoltare il passato mentre guardi il presente. In questo momento sto lavorando a un progetto che vede protagonisti due ballerini, due amplificatori e due sensori luminosi. Nella semi-oscurità, entrambi i ballerini, distanti l’uno dall’altro, hanno un microfono attaccato ai loro piedi, che trascinano lentamente lungo il pavimento, mentre tu ascolti ciò che accade nello stereo. Il ritmo dei loro movimenti dipende dal sensore luminoso, che si accenderà quando uno dei due andrà più veloce, facendoti così vedere la posizione del ballerino, quasi come se si trattasse di una foto. Quando il danzatore si ferma, la luce sparisce e il movimento lento può riprendere.
CM: Hai ballato in prima persona in maniera involontariamente divertente nel lavoro che hai fatto in collaborazione con il Van Abbanmuseum e la città di Eindhoven.
NN: La cosa interessante di questi sensori luminosi è che sono fatti per tenere le persone a distanza durante la notte e, se tu cammini veramente lentamente, non riescono a individuarti. È come se potessi diventare più veloce della luce. È una straordinaria contraddizione che si fonde con un’atmosfera cinematografica e una coreografia improvvisata.
CM: Puoi approfondire il rapporto che hai con la politica nel tuo lavoro?
NN: Facevo un sacco di graffiti quando ero giovane. Penso di aver perso quel mix di creatività illegale, sconfinamento e ansioso silenzio dopo la mezzanotte. Sono felice che sia ritornato nella mia vita e agisca da un diverso punto di vita.
CM: Qual è il tuo sogno ora?
NN: ΔS = ΔH / T