Se il termine “new wave”, che indica il sorgere di una nuova tendenza, è la semplice trasposizione — in senso figurativo — del movimento di un’onda che s’innalza sull’oceano, il boom dell’arte contemporanea indiana sta letteralmente cavalcando l’onda del suo successo.
La mostra “New Delhi – New Wave”, curata da Jérôme Neutres e in parte ospitata per la prima volta nel nuovo spazio della galleria milanese di Primo Marella (progettato dallo studio di Claudio Silvestrin e nei pressi del nuovo polo milanese della moda e dell’arte Garibaldi-Farini), segue a pieno ritmo questa tendenza, presentando una rassegna di 14 artisti indiani, tra cui vere e proprie star delle aste di arte contemporanea indiana come Ravinder Reddy e Subodh Gupta.
Quest’ultimo (il suo Very Hungry God, un teschio gigante in acciaio, accoglieva i visitatori all’ingresso di Palazzo Grassi a Venezia durante la mostra “Where Are We Going? Selections from The François Pinault Collection” fino a qualche mese fa) ci sorprende per la disinvolta ironia di Untitled #3 (Scooter) del 2006, una scultura legata allo stereotipo più ricorrente sugli indiani dopo il curry e il loro inconfondibile accento inglese: una vera Bajaj Chetak (la versione indiana dell’italiana Vespa) con in sella un’intera famiglia di passeggeri.
L’installazione del giovane duo Thukral&Tagra — presente quest’anno all’edizione di “Art Statement” a Basilea — propone toni ugualmente vivaci nelle tinte neo-pop delle due tele in mostra, nei preziosi gioielli racchiusi in una teca (spille e orecchini disegnati dagli artisti) e nelle t-shirt che addobbano la prima sala della galleria, ricoperta da un wallpaper in pendant con le tele e parte dell’intera installazione.
Dopo la partecipazione alla 9a Biennale di Lione, dove aveva presentato un’installazione multimediale (Untitled, 2006), Shilpa Gupta ripropone un’opera che si avvale dell’utilizzo dei media, Untitled (2002-2004), mentre There Is No Explosive In This (2007) è una tavola imbandita di utensili rivestiti di stoffa bianca. Più lontane da un’inclinazione alla composizione formale di tradizione occidentale che invece si riscontra nelle sue fotografie — che rappresentano la parte più convincente del suo lavoro — queste due opere riducono a uno stesso piano ideali contemporanei e la produzione di massa, in un rapporto fra medesimi beni di consumo.
Il lavoro di Sonia Khurana si concentra su pratiche legate al corpo, protagonista invadente dei video e delle performance, in cui l’artista appare nuda o mascherata, con indosso ingombranti cappelli, realizzando un prodotto puramente formale, senza approfondire nello specifico le pratiche della Body Art.
L’orientamento neo-pop nelle opere di parte degli artisti in mostra in altri trovano più direttamente ispirazione dai valori tradizionali dell’India, dagli usi e dai costumi: Ravinder Reddy riproduce divinità indiane in colori sgargianti e in formato extra large, Baba Anand prende spunto dall’industria di Bollywood e infine Bharti Kher gioca con icone che trasfigurano in simboli della tradizione e del rinnovamento del paese.
Nel titolo della mostra, il riferimento al celebre show “New York – New Wave” appare un omaggio beneaugurante. Nel 1981 la mostra newyorkese lanciava dei miti indiscussi dell’arte, simboli degli anni Ottanta. Resta da chiedersi che ruolo ricopriranno fenomeni in ascesa come l’arte indiana e quella cinese, espressione di un nuovo interesse che si affaccia sull’Asia, ma fenomeno di mercato o “new wave”?