Federica Tattoli: A fine ottobre da Monitor a Roma c’è stata la tua ultima personale “Codalunga”. Mi racconti in cosa consisteva?
Nico Vascellari: A voler proprio essere sinceri non sentivo la necessità di fare una mostra personale in Italia in questo momento, ho pensato potesse essere dunque l’occasione per fare il punto su Codalunga, un progetto ormai cominciato quasi dieci anni fa. Codalunga è una sezione del mio studio, che ho aperto al pubblico nel 2005, dove mensilmente invito altri artisti a presentare il proprio lavoro. Si trova a Vittorio Veneto, un luogo decisamente decentrato. La mia iniziale proposta alla galleria è stata quella di trasferire Codalunga all’interno di Monitor, e Monitor all’interno di Codalunga. Per ragioni che puoi immaginare, non è stato possibile…
FT: Sarebbe stata una bella cosa fare lo scambio…
NV: Lo credo anch’io. Il progetto però, in corso d’opera, è stato modificato. Da una parte c’era la mostra in galleria composta da cinque lavori legati esclusivamente a Codalunga e a Vittorio Veneto; una sorta di mappatura geografica, territoriale ed esistenziale. Dall’altra c’era la ricostruzione in scala 1:1 di Codalunga all’interno della Sala Delle Armi al Foro Italico.
FT: La programmazione alla Sala Delle Armi era serratissima…
NV: È stata estenuante. Ventidue eventi in venticinque giorni, praticamente ogni giorno qualcosa di diverso da fare. È stata un’esasperazione dell’attività di Codalunga e anche un’opportunità per espanderla con proposte che a Vittorio Veneto ha, purtroppo, poco senso presentare.
FT: Codalunga ormai è un luogo con un’identità forte e ben riconoscibile per cui può funzionare anche da distante…
NV: Sento una responsabilità nel momento in cui invito qualcuno a Codalunga e mi affliggo se il pubblico non risponde come immagino o vorrei. Attualmente, oltre alla programmazione performativa, sto commissionando delle opere sotto forma di adesivi, che vengono applicati sulle tre vetrine dello spazio. In qualche modo la vetrina è sempre stata fondamentale, è stato il motivo per cui ho pensato che non fosse un buono studio ma poteva essere un interessante spazio espositivo, forzando questo dialogo attraverso il vetro, tra interno ed esterno e viceversa. Poi ho pensato di chiuderle, per cui le vetrine sono state tappate con dei fogli di legno e ora, aldilà del foglio di legno, ci sono questi adesivi creati dagli artisti.
FT: Dopo questa sorta di celebrazione istituzionale dei primi dieci anni, la tua galleria ha portato a conoscenza delle — a mio avviso poche — persone che non lo conoscevano, l’essenza di ciò che è Codalunga; cosa succederà nel futuro?
NV: Cambierà. È un’esigenza che sentivo da tempo ma, come spesso avviene, è il mio lavoro ad anticipare questo cambiamento. Ciò è accaduto in passato con A Great Circle oppure Lago Morto, opere che esasperano la condizione esistente e, portandola all’estremo, solitamente la frantumano. Lo stesso è successo a Codalunga che continuerà la propria programmazione ma con novità che stiamo attualmente sviluppando.
FT: Consideri Codalunga come se fosse un tuo lavoro?
NV: Ne è sicuramente un’estensione.
FT: In occasione dell’ultima edizione di Artissima hai presentato, dopo tempo, una nuova performance, me ne parli?
NV: Coperta D’Ombra è in qualche modo riconducibile a un’altra performance che avevo presentato, sempre ad Artissima, qualche anno fa. Ho sempre provato una certa avversità verso le citazioni dotte. Quell’idea secondo la quale, se hai letto un buon libro e ne sei ispirato, tu possa giustificare qualsiasi tipo d’immondizia. Allora ero partito da monologhi diversi legati, per ragioni differenti, alla figura di Gesù. La performance venne interrotta da una rissa dopo circa cinque minuti. In quel caso non era stato assolutamente comunicato da dove nascesse la performance, cosa che avrebbe dovuto avvenire anche in questa occasione. Uso il condizionale perché in realtà, contrariamente al mio volere, era stato svelato che nasceva dal monologo che si trova nel film Nostalghia di Tarkovsky. Era qualcosa a cui fantasticavo da tempo e mi sembrava adatta in un contesto fieristico.
FT: Come mai?
NV: Perché, questo monologo, che è anche un dialogo con il pubblico che guarda in maniera passiva ciò che avviene, racconta della relazione tra i sani di mente e i malati, del rapporto tra uomo e natura. Mi piaceva l’idea che avvenisse in un contesto di passaggio come quello di una fiera, un luogo in cui l’arte viene fruita diversamente da come accade in un museo, in una galleria. Le fiere sono un nuovo contesto e questo mi sembra interessante, sebbene il rischio sia quello che possano diventare puro intrattenimento. Per questa ragione la mia azione avveniva esternamente. Se posso, cerco sempre di creare i presupposti affinché il pubblico non sia solamente composto da addetti ai lavori. In Nostalghia quello che viene declamato dalla statua equestre non viene ascoltato o compreso. Nel momento in cui il monologo finisce, con un suicidio premeditato, a reagire è solamente un cane. In questo senso quello che io faccio è rischiare la vita davanti a un pubblico che può solo guardare. Intrattenimento o anche il tentativo di creare empatia da distante. C’è un filtro tra me e il pubblico, un filtro spaziale, ero a diversi metri da dove stavano gli spettatori, c’era una rete, c’era una scala. Oltre al fattore fisico c’è un’idea di finzione nella performance, che è una cosa sulla quale ho sempre cercato di lavorare, a volte inserendo del pericolo, a volte del disagio, altre portando elementi della mia vita reale, la mia famiglia, i musicisti con cui ho suonato da sempre, gli amici. Da sempre nel mio lavoro c’è una necessità di fondere aspetti fittizi a cose reali, non si tratta, come più volte è stato detto, di costruire una mitologia personale, quello che viene creato viene allo stesso tempo distrutto, modificato.
FT: Credo che nessuno sia in grado di afferrare sé stesso nel momento, se vogliamo può trattarsi di una riproposizione di questa imprendibilità?
NV: Indubbiamente, e questo si ricollega all’aspetto del performer, visto come persona fisica piuttosto che come attore.
FT: Sono due modi, molto diversi di mettersi in gioco, non credi? C’è comunque un filtro che viene esasperato quando la tua idea viene messa in scena da qualcun altro…
NV: Per questo, per esempio, penso che un lavoro come quello che c’era da Monitor — mi riferisco alle pagine strappate dalle riviste scarabocchiate dalla gente, raccolte nel bar sotto casa mia — sia pertinente per parlare non solo del mio rapporto con un territorio ma anche dell’aspetto della riconoscibilità. Se ci pensi, molto spesso, gli artisti che sono fisicamente riconoscibili sono anche quelli più odiati.
FT: Si espongono di più, quindi sono un bersaglio più facile da colpire di altri, che pongono molti filtri tra loro e il pubblico. Ma tu, come vivi la cosa di avere così tante persone contro di te?
NV: Non ha particolare rilevanza per me. Non riesco a trovarne un senso profondo.
FT: Non credo ci sia un senso, guardando al panorama degli artisti italiani penso tu sia l’unico a portarti dietro questo sentimento contrario. Ma è sempre stato così, sin dall’inizio, quindi non è legato al raggiungimento di una certa visibilità…
NV: A me parlano sempre malissimo di altri artisti (ride). Non ne ho idea o meglio, la ho, ma cercando delle spiegazioni mi pare di venire meno a ciò che è realmente rilevante per me. Passo molto tempo in studio e sono piuttosto isolato.Vengo da un luogo in cui la noia è la vera ispirazione.
FT: Ma lo è, perché ti aiuta a cambiare continuamente prospettiva, a farti delle domande differenti, a cercare… cercare cose diverse e quindi a progredire…
NV: Certamente. Ti dirò, avere persone contro è qualcosa che ha smesso di avere peso molto tempo fa. In questo senso, ancora una volta, l’esperienza musicale è stata la mia Accademia. With Love è sempre stato un gruppo tanto amato quanto odiato. Abbiamo sempre abbracciato qualsiasi possibilità avessimo per far aumentare critiche, odio e dicerie. Scegliemmo With Love come nome, non solo perché era in antitesi con i nomi classici, ma perché potesse essere abbastanza accomodante per suonare in ambienti che potevano pensare fossimo un gruppo rock-romantico. Esattamente l’inverso di un progetto site-specific.
FT: Ultima domanda, se si può raccontare: c’è qualcosa che stai preparando per il prossimo futuro? Su cosa stai lavorando?
NV: Sto lavorando alla personale che devo fare alla Whitworth Gallery di Manchester, una mostra che è stata posticipata almeno due volte. Il Museo si sta espandendo e la mostra è diventata più grande di come era stata concepita. Comprenderà una nuova performance e opere bidimensionali legate a una serie di sculture in bronzo che il Museo ha acquisito per la propria collezione permanente.