Nicola Costantino di

di 20 Luglio 2015
NICOLA COSTANTINO, Eva. Los Sueños / Eva. The Dreams, 2013. Veduta dell‘installazione per il Padiglione Argentina, 55ma Biennale di Venezia.
NICOLA COSTANTINO, Eva. Los Sueños / Eva. The Dreams, 2013. Veduta dell‘installazione per il Padiglione Argentina, 55ma Biennale di Venezia.

Sebastiano Mauri: Come si è insinuata Eva Peron nel tuo lavoro?

Nicola Costantino: Negli ultimi anni ho prodotto videoinstallazioni tra il teatrale e il cinematografico, con riferimenti alla storia dell’arte, ma anche alla mia vita. Ho pensato di incarnare un personaggio storico femminile, ed Eva si è imposta per diversi motivi: i miei ricordi d’infanzia, la sua immagine conflittuale, ma soprattutto perché l’arte contemporanea non si è mai occupata di lei. L’hanno fatto la politica, la letteratura, il teatro, il cinema, ma non l’arte. Ho pensato fosse una sfida importante e un’ottima opportunità di lavorare sulle rappresentazioni sempre dogmatiche, parziali di Eva. Ho elaborato quattro momenti che mostrano la difficoltà di formare un’immagine univoca di Eva Peron.

SM: Nell’installazione Eva e i Sogni a un certo punto le cinque diverse Eve si siedono una accanto all’altra. Cosa rappresenta questo incontro per te?

NC: Qui la si vede sdoppiata in cinque momenti della sua vita, estese per tutta la scena. Quando si siedono una accanto all’altra è il momento in cui i diversi strati temporali si sovrappongono, sospesi per alcuni attimi di condivisione, per ripartire subito verso le loro storie individuali, dove ogni Eva compete con l’altra, per accaparrare lo sguardo dello spettatore che ormai non può più seguirle tutte insieme.

SM: Invece di mostrare la Eva pubblica che conosciamo, hai esplorato la sua intimità, i piccoli drammi che segnano i giorni di tutti noi, inclusi quelli di una First Lady. Cosa hai trovato nei retroscena del potere?

NC: Mostrando la sua intimità, metto in risalto il momento della costruzione della sua immagine, l’importanza del suo guardaroba come mascherata, la sua intelligenza nell’optare per un completo o un’acconciatura. Le scelte degli abiti non erano inconsapevoli, ma un mezzo per acquisire potere e arrivare a un obiettivo. Lei non era colta, non era distinta, non era una politica, eppure ottenne di essere desiderata e amata per tutto quello che non era.

SM: È vero che quando Eva era ormai molto malata, per accompagnare Peron alla parata del suo secondo insediamento come Presidente, aveva adottato per sostenersi una struttura metallica nascosta da un lungo visone?

NC: Se era vero o no, poco importa. Quello che è indiscutibile è che solo lei era capace di tale caparbietà. Mi affascina molto questa immagine, è un perfetto dipinto della sua personalità. La mia versione di questa armatura sarebbe l’ultimo vestito di gala che sfoggiò. È Eva che lotta inutilmente contro il suo destino.

SM: L’ultima opera, La Lluvia, si ispira al suo funerale, che rimarrà per sempre impresso nella memoria degli argentini. Ce lo racconti?

NC: La sua vita e la sua opera furono sempre motivo di opinioni contrastanti ma quando morì, l’unica cosa negli animi degli argentini era il sentimento di perdita e desolazione. Ai suoi funerali, per due settimane di seguito, milioni di persone in coda nel gelido inverno per l’ultimo saluto, piansero sotto la pioggia. Quest’opera, in cui non compare né lei né la folla, cerca di cogliere in un’immagine la relazione quasi amorosa che Eva ebbe con il suo popolo: parlava a milioni di persone come se fosse una sola persona.

SM: Adesso che hai partorito Eva, come riempirai il vacuum post partum?

NC: Il titolo, Rapsodia inconclusa, vuole indicare un work in progress, un’opera ancora aperta. Sicuramente da questa esperienza sorgerà un nuovo progetto. È sempre così.

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