L’inaugurazione del nuovo New Museum of Contemporary Art si è protratta lo scorso primo dicembre per trenta ore di apertura gratuita. Attorno all’edificio progettato dallo studio di architettura SANAA (Kazuyo Sejima + Ryue Nishizawa), lungo la Bowery, ha inaugurato qualcosa come una dozzina di gallerie, alcune delle quali di recente apertura.
È questo un momento positivo per un’area di New York che ha vissuto la sua dose di tempi difficili e l’entusiasmo è palpabile. Qualcuno però si mostra scettico: “Here comes the art, there goes the neighborhood” (arriva l’arte, se ne va il quartiere).
In effetti questa è stata la situazione dai tempi del boom artistico dell’East Village negli anni Ottanta, l’ultima volta che Manhattan ebbe un universo artistico alternativo, un quartiere dove artisti e galleristi — spesso anch’essi artisti — di giorno vivevano, esponevano, compravano arte e di notte festeggiavano. Ma una volta che proprio quest’arte ha trasformato il quartiere in una zona chic con limousine in sosta davanti all’entrata delle gallerie, gli immobili hanno subito una forte impennata e gli artisti hanno iniziato a emigrare.
Il Lower East Side, appena a sud dell’East Village — pressappoco tra Houston e Canal Street, a est della Bowery — è rimasta una zona economica per un certo periodo, mantenendo il suo mix latino-cinese-punk, con gallerie che aprivano e chiudevano. Alcune sono rimaste — ABC No Rio, Gallery 128, Asian American Arts Center, Henry Street Settlement, Educational Alliance — ma non è mai stato un quartiere particolarmente frequentato dal mondo dell’arte.
Ma le cose cambiano velocemente e negli ultimi anni un certo numero di gallerie ha messo radici a downtown, con Canada, Cuchifritos, Fusion Arts, Participant Inc., Reena Spaulings e Rivington Arms che hanno fatto da apripista, seguite da Miguel Abreu e Orchard, dirette da artisti. Di più recente apertura: James Fuentes, Fruit and Flower Deli, Smith-Stewart, Sunday, Eleven Rivington e Thierry Goldberg.
Si sono invece “trapiantate” a downtown Janos Gat e Luxe dall’Upper East Side, 31 Grand da Williamsburg e Envoy da Chelsea, mentre Feature arriva a gennaio. Si stanno inoltre moltiplicando gli spazi satellite: Lehmann Maupin (Chelsea), Greenberg Van Doren (57th Street), Salon 94 (Upper East Side) e Museum 52 (London) hanno tutti aperto una sede nel Lower East Side.
Di questa nuova ondata i più interessanti sono indubbiamente gli ultimi arrivi come James Fuentes LLC, che ha aperto appena sotto Canal Street a Chinatown, in una parte della città sufficientemente appartata da aver conservato tracce del passato. Proprio qui si trova uno dei cimiteri ebrei più antichi degli Stati Uniti, così come lo è la chiesa cattolica che dà il nome alla strada, St. James Place. Il giovane Fuentes, che lavora nella galleria dalla facciata a forma di cuneo, è cresciuto in quest’area, e l’arte che predilige guarda alla strada e alla scena musicale post-punk da sempre identificata col Lower East Side. Nella personale in corso, l’artista Lizzi Bougatsos, componente della band Gang Gang Dance, espone una scultura che nasce dall’incontro con un senzatetto che fabbrica case per uccelli. E l’opera, realizzata con pezzi di vestiti usati e cartone, è stata concepita come una versione di queste casette a dimensione umana. Gli ambiziosi progetti di Fuentes si estenderanno fino al cuore del Lower East Side e si ispireranno alla sua storia e al suo ruolo. Per iniziare ha creato una mappa artistica dell’area, disponibile presso la sua galleria e perfetta per un tour approfondito, con indicate le gallerie esistenti come quelle scomparse. Lo spirito punk del lavoro di Lizzi Bougatsos è condiviso, anche se affinato, dall’artista Peter Gallo. Autore di collage e disegnatore dotato di una notevole creatività, Gallo è anche critico d’arte e storico, un operatore sociale psichiatrico, un lettore dall’ampio spettro e un amante della musica. Tutti elementi che emergono da un lavoro che abbraccia Freud, Roland Barthes, Dusty Springfield, pornografia gay e ornitologia.
L’arte di Gallo ha uno sguardo da insider-outsider che, facilmente può risultare affettato e generico, ma che nelle sue mani riesce a funzionare. Ho indugiato a lungo su ogni sua opera e se dovessi fare una selezione tra gli artisti del mio tour, sicuramente Gallo rientrerebbe nella rosa dei candidati. Se dovessi invece designare la mia galleria preferita, non avrei dubbi: Fruit and Flower Deli, una galleria ma allo stesso tempo un’opera d’arte in sé, grazie alla sua immagine attentamente studiata dalla direzione artistica. Nei comunicati stampa viene definita “un’emanazione di una dea-musa chiamata Snofrid”, altrimenti nota come The Oracle, raffigurata in un dipinto di uno specchio di Ylva Ogland, artista svedese rappresentata dalla galleria Smith-Stewart, alla porta accanto.
Il concetto è stato palesemente ripreso da un’altra galleria della zona, Reena Spaulings, che prende il nome da un artista-gallerista-scrittore fittizio, con l’aggiunta di un’aura new age. Il Direttore di Fruit and Flower, Rodrigo Mallea Lira, marito della Ogland, si definisce “The Keeper”, ruolo a lui conferitogli da Snofrid, della quale parla con studiata riverenza. Quando ho visitato lo spazio, restavano ancora delle tracce di una performance da poco conclusa, che probabilmente sono già sparite (prese al volo da un collezionista belga), mentre il primo dicembre ha inaugurato una nuova mostra, “Son of Man”, del collettivo europeo Friends International, che pagherà l’affitto della galleria per un anno come parte di un progetto artistico. Per quanto concerne la vernice vi riporto quello che The Oracle mi ha detto tramite un e-mail di The Keeper: “Alle 15 ci sarà un sermone” durante il quale “qualcuno alla fine dirà qualcosa” e come conseguenza “l’amore si estenderà al di là del tempo, costruendo ponti.”
Uno dei pregi maggiori della Fruit and Flower Deli è il suo non apparire come galleria “confezionata” da un’altra parte e qui trasferita, impressione che invece si ha nei confronti di altre gallerie appena arrivate.
Museum 52, ad esempio, non ha approffitato del suo spostamento nel Lower East Side per sperimentare qualcosa di diverso dal formato standard del white cube, ma almeno il group show inaugurale presenta uno stimolante “display” (dal titolo della mostra) di artisti, per riflettere sulle attuali modalità espositive: Sara Greenberger Rafferty si confronta col tema della mostra in modo letterale, con elaborate fotografie di piatti-souvenir; George Henry Longly lo fa attraverso dipinti subliminali che sfumano nel muro; una scultura di specchi rotti di Philip Hausmeier impedisce ogni tentativo di riflessione, mentre Sean Raspet, promettente giovane artista newyorkese, trasforma del gel per capelli trasparente in materiale da esposizione.
Il nuovo spazio di Lehman Maupin è il posto ideale dove ammirare una pregevole installazione di Do-Ho Suh: una scultura in tessuto translucido, di un ponte ad archi che ricorda la casa dei suoi genitori in Corea. Con i colori blu-verde della “celadon porcelain”, la scultura si riflette su se stessa, ergendosi su un foglio di tessuto chiaro, lievitando sul muro della galleria, con un’immagine identica appesa capovolta. La balconata all’interno dello spazio espositivo permette di osservare l’opera da entrambi i punti di vista.
Lulu, il breve video di Aïda Ruilova al Salon 94 Freemans, trasforma la storia della femme fatale di Wedekind in un breve psicodramma tutto al maschile che appare come la risoluzione di un un film molto più lungo che però non vediamo. La sensibilità gotica della Ruilova si sente a casa e in sintonia con questa parte della città una volta conosciuta come l’ultima frontiera della cultura underground di Manhattan. Non va però dimenticata Silo, la galleria che è stata rimpiazzata e che offriva regolarmente proposte alternative rispetto al mercato.
Lo stesso vale per Janos Gat, specializzata nel presentare artisti europei non emergenti, mai o raramente visti a New York. Eccellente la scelta di esporre i dipinti di Judit Reigl — artista nata a Budapest nel 1923 e fuggita dall’Ungheria nel 1950 per trasferirsi a Parigi — il cui lavoro figurativo-fantastico catturò l’attenzione di André Breton. In realtà Reigl, poco interessata al Surrealismo, iniziò ben presto a creare una serie di dipinti astratti, mutando il suo stile per evitare di cadere in scelte di routine. Le opere in mostra arrivano fino agli anni Settanta, documentando una carriera proficua che prese sentieri alternativi a ogni tappa del percorso.C’è da dire che quello di “alternativo” è forse solo un concetto sentimentale, che è stato a lungo utile per vendere arte, ma è ormai decaduto in seguito al boom del mercato. Nonostante questo qualcuno in una certa misura ci crede ancora, preferendolo all’idea di prodotto massificato e confezionato per i musei. Qui risiede la geniale assurdità di Fruit and Flower: Fuentes ha un istinto per ciò che è estremamente originale che spero coltiverà.
Participant Inc. sembra sia stata costruita sulle fondamenta della cultura underground, scelta che ha sempre reso la sua esistenza un po’ rischiosa. Nel 2007 questa galleria non profit ha infatti perso i suoi spazi espositivi a causa dell’aumento degli affitti, e Museum 52 ha preso il suo posto. La sua nuova sede, un ex sex club poi trasformato in una lavanderia a gettoni, è ancora “grezzo”, per usare un eufemismo: pavimento sporco, muri dai mattoni rotti, niente riscaldamento. Lo spazio, rinnovato prima dell’apertura ufficiale a gennaio, era il luogo ideale per una performance dal tono piuttosto dark come Erase di Tom Cole e del duo Lovett/Codagnone (John Lovett e Alessandro Codagnone).
La direttrice Lia Gangitano è ormai una habitué del Lower East Side e un’esperta in shoestring operation. Conosce le storie nascoste del quartiere e fino a oggi è rimasta a galla in un crescendo di gentrification che quasi sicuramente non recederà mai.
L’arrivo del New Museum nel Lower East Side si presenta come una grande opportunità per il mondo artistico, mentre Chelsea sta rivendicando pretese coloniali. Ma ancora più importante per l’arte, inclusa quella a New York, è che Lia Gangitano sia rimasta.