Il lavoro di Oli Bonzanigo (Milano, 1989; vive e lavora tra Palermo e Marrakech) concerne la storia del bacino del Mediterraneo: il tessuto che simultaneamente collega e divide l’Europa, l’Africa, e i paesi di aree geografiche denominate come Asia Minore o Medio Oriente. Il confine è il territorio di ricerca dell’artista che estrae episodi emblematici dal passato per osservare come il concetto di valore sia cambiato nel tempo, rivelandone il carattere contestuale. Inoltre, prende in esame strumenti funzionali all’orientamento, al fine di svelare come anch’esso sia influenzato dal contesto in cui operiamo. Queste considerazioni ci portano a riflettere sulle condizioni storiche che hanno contribuito a definire la concezione odierna di temi quali la migrazione, il nazionalismo e l’identità soggettiva – ciascuno indissolubilmente legato ai concetti, appunto, di valore e orientamento.
Un primo lavoro che permette di inquadrare la pratica di Bonzanigo è Marble-Sugar Project, istallazione esposta a Marrakech in occasione della Biennale del 2016. L’opera è composta da un metro cubo di marmo bianco di Carrara e da un cumulo di zucchero dal peso equivalente (2.700 Kg) esposto a fianco del cubo. Secondo alcuni documenti d’archivio rintracciati dall’artista, nel XVI secolo i due materiali venivano scambiati per lo stesso prezzo al chilo, tra il Marocco e l’Italia, tracciando delle linee di commercio indicative del grado di sviluppo e delle necessità dei rispettivi paesi.
Tra i diversi livelli di significato che affiorano in quest’opera di Bonzanigo spiccano le implicazioni ambientali e storiche sia dell’estrazione del marmo, sia della raffinazione dello zucchero. Secondo il CAI (Club Alpino Italiano) e a un rapporto della Legambiente del 2017, le escavazioni di marmo in Toscana hanno apportato modifiche alla morfologia del paesaggio assimilabili al trascorso di un’era geologica. Si stima che per estrarre una tonnellata di marmo, altre dieci tonnellate di terreno montuoso si danneggino irrevocabilmente, mettendo a rischio grotte e bacini acquiferi.[1] Inoltre, il marmo è materia prima assoluta del patrimonio artistico e architettonico italiano. Allo stesso modo, lo zucchero richiama indelebilmente i processi di colonizzazione che lo hanno portato in Europa dall’Asia, attraverso canali di scambio che hanno trasformato radicalmente l’alimentazione occidentale. Le connotazioni colonialiste del commercio dello zucchero acquistano ulteriori sfumature quando lette, ad esempio, nel contesto di opere iconiche tra cui A Subtelty (or the Marvellous Sugar Baby) di Kara Walker, creata in occasione della demolizione della fabbrica di raffinazione di zucchero Domino a New York nel 2014. Nel sottotitolo dell’opera Walker rende omaggio agli “artigiani oberati di lavoro che hanno affinato il nostro gusto per il dolce dai campi di canna alle cucine del nuovo mondo.” I percorsi commerciali e la storia della diffusione dello zucchero in occidente, soprattutto successivamente al periodo delle crociate, lo posizionano in relazione a guerre, conquiste e sforzi di dominazione di alcuni popoli su altri. Quando Bonzanigo equipara due materie così diverse nell’odierna concezione, evidenzia le connessioni tra prodotti manifatturati ed eventi storici, per notare quanto arbitrario e mobile sia il concetto di valore nel tempo.
Da questo complesso insieme di preoccupazioni, il lavoro dell’artista ha continuato a interrogarsi sul mutamento delle unità di misura, dei valori e delle linee guida che orientano il pensiero e lo sviluppo di una società. Dopo le prime esperienze maghrebine, Bonzanigo ha continuato a sperimentare con molteplici media. A illustrare la camaleontica flessibilità con cui l’artista approccia i materiali e la collaborazione con artigiani e designer, è la sua prima mostra personale a Milano presso la galleria Viasaterna, intitolata “في النص صور / Pioggia secca”. L’ambiente creato dall’artista include sculture di bronzo ottenute con la tecnica della fusione a cera persa, tele di lino ricamate e lampade al neon. Nella disparità di materiali e linguaggi impiegati in questa mostra, il tessuto connettivo si trova in un interesse spiccato nella materialità degli oggetti e nel desiderio di mappare in modo concreto ciò che è effimero: il guscio di un’anguria svuotata della sua polpa, lasciato a decomporsi e successivamente immortalato da un calco di gesso usato per creare un suo facsimile in bronzo. Il titolo dell’opera, Pioggia secca (2017), sottolinea l’ossimoro tra la materia prima e l’oggetto d’arte. A complementare questa scultura, Bonzanigo introduce tele di pregiato lino grezzo provenienti dall’azienda tessile palermitana Salvatore Parlato e ricamate con vaghe tracce cartografiche di luoghi in Marocco di cui sono annotate le coordinate. Gli elementi della mostra sono a loro volta illuminati da lampade UV, prodotte in collaborazione con l’azienda Neonlauro, che costellano lo spazio offrendone una prospettiva alterata.
Allo stesso modo del marmo e dello zucchero, anche la scelta di usare lino, neon e bronzo porta con sé alcune eredità. Nel contesto di una galleria commerciale l’uso del neon, ad esempio, spicca come una riflessione sulla tradizione dell’Arte concettuale, ormai un medium che da Joseph Kosuth in poi, richiede un cambio di prospettiva rispetto alla definizione e all’uso degli oggetti che chiamiamo d’arte (Neonlauro, inoltre, è l’iconico laboratorio nel quale molti degli artisti che utilizzano il neon hanno prodotto le loro opere). Il bronzo sembra essere una diretta conseguenza del coinvolgimento di Bonzanigo come apprendista presso la Fonderia Artistica Battaglia di Milano – azienda che ha prodotto sculture in metallo per la più celebre avanguardia. Infine, il lino dimostra l’attenzione al passato, al proprio contesto sociale, all’eccellenza e alla tradizione espressa nelle meticolose scelte di materiali. Che cosa sono la cultura e il nostro vissuto se non modi di orientare il nostro pensiero?
È importante soffermarsi su come la materialità delle opere espliciti la direzione artistica di Bonzanigo. Coltivando un perenne scambio con il contesto (dal 2017 l’artista vive a Palermo), Bonzanigo utilizza tessuti per comporre immagini che ci riportano ai codici dei sistemi di orientamento: planimetrie immaginarie o di siti archeologici vengono dipinte in acrilico e smalto su sete, damaschi, tessuti militari con il titolo SACRO (2017 – in corso). La serie è infatti una riflessione sui luoghi di culto – si può intendere la religione come un’altra forma di orientamento, in questo caso morale – che attraverso i secoli si sono scambiati e intrecciati nel tessuto urbano di Palermo in particolare, allo stesso modo in cui alcune vie del centro sono designate in italiano, arabo e yiddish. In questi lavori, le tracce delle architetture sono anonime, ma gli ampi spazi e le colonne che ne punteggiano i perimetri rivelano una morfologia che richiama le piante di templi greco-romani, basiliche e moschee. (Una continuazione della meditazione sulle mappature e confini come riflesso di cartografie personali e soggettive è offerta dall’istallazione site-specific di Bonzanigo, intitolata O·RIEN·TA·MÈN·TO, 2018, nella palestra del Liceo Classico Statale Umberto I di Palermo in occasione dell’evento collaterale di Manifesta “Talpe: Well said, Old mole.” L’opera è accompagnata da una composizione acustica di Wiltsch Barberio).
Vista la tendenza del lavoro di Bonzanigo a invocare momenti storici critici, è fondamentale domandarsi quale sia la rilevanza contemporanea della sua arte. Qual è la posta in gioco nell’accostare materiali così densi di connotazioni storiche, coloniali, imperialiste, religiose, belliche e raziali come il marmo o lo zucchero? Hannah Arendt tornava all’antichità per spiegare la fondamentale contraddizione con cui convive l’essere umano, ovvero il contrasto tra la supremazia della ragione e l’ineluttabilità del destino. Arendt si sofferma sul mito di Edipo, che racchiude specialmente queste tematiche, per analizzare i concetti di tirannia, libertà e soprattutto di rivoluzione determinino le dannose strutture politiche del XX secolo che hanno reso possibile la diffusione del fascismo.[2] Anche Jacques Derrida, durante i moti studenteschi del 1968, pubblicò La Farmacia di Platone: se molti lo intesero come un rifiuto della modernità, altri vi lessero un richiamo al senso critico e all’importanza di rivisitare il passato per comprendere le idiosincrasie del presente. In questo modo i temi racchiusi nelle opere di Bonzanigo e il suo eclettico utilizzo di media diversi suggeriscono come la materia possa contenere la storia e il movimento continuo dei popoli e la mescita delle tradizioni. Il prezzo di accostare materiali così specifici equivale alla scelta di un punto di riferimento che sappiamo determinerà solo temporaneamente il nostro senso di orientamento e la nostra scala di valori.