Daniel Lopatin, ipnagogica pop star trentottenne, che si esibisce col nome di Oneohtrix Point Never, ha appena pubblicato il suo ultimo disco omonimo Magic Oneohtrix Point Never. È il suo nono album – dodicesimo o quattordicesimo, a seconda di come li contiamo – e fa il punto della sua carriera. Un inno a chi è cresciuto cavalcando le onde radio e creando musicassette, “Magic Oneohtrix Point Never” è stato prodotto quest’estate a Long Island, nel grattacielo post-ballardiano che lui chiama casa, durante le vaghe fasi di lockdown newyorkese. Il suo primo video realizzato per il suo duetto di vocoder con Caroline Polachek, Long Road Home, è stato diretto dallo scrittore Charlie Fox con la burattinaia Emily Schubert. I protagonisti sono un diavolo che copula con un pipistrello in un interno buio e cupo: una perfetta sintesi del 2020. Questo disco mi fa dissociare. Se lo ascoltate a lungo rischiate di cadere in trance, ciononostante, Lopatin vuole che lo si ascolti fino in fondo.
L’artista ha recentemente firmato la colonna sonora per l’ansiogena-euforica dark comedy Uncut Gems (2019) di Josh e Benny Safdie, e ha scritto alcune canzoni per l’album di The Weeknd, con cui si è esibito al Saturday Night Live. Lopatin ha messo in scena il suo ultimo album, Age Of (2018) come opera sperimentale vapor-barocca al Park Avenue Armory, storica ex armeria a New York. Questo nuovo disco però, è fatto per lanciare incantesimi su se stessi, camminando lungo strade sporche, magari guardando le ombre pixelate dei lampioni a LED.
Dean Kissick: A cosa pensavi quando hai realizzato questo disco?
Oneohtrix Point Never: Da molto tempo mi frullava in testa l’idea di fare un disco omonimo e ho sempre pensato che fosse inopportuno perché, per me, fare un disco significa creare qualcosa che racchiuda le varie tensioni musicali a cui mi sono interessato, e sono davvero moltissime. Posso dire di essermi preparato a questo momento più o meno da dieci anni. Gli artisti tendono a pensare a un disco omonimo come alla loro creazione migliore. Anch’io lo penso di questo disco, ma in realtà quello che volevo fare era catturare tutte le tensioni e concentrarmi sul nome: Oneohtrix Point Never. La prima cassetta che ho pubblicato nel 2007 per Deception Island (etichetta di un mio amico) prendeva il nome da una stazione radio soft rock di Boston, Magic 106.7. Così ho iniziato a concentrarmi molto su questo aspetto durante la quarantena; ascoltavo molta musica, ma in particolare ascoltavo radio Elara e ne sono rimasto davvero impressionato.
Mi ha ricordato le radici del progetto OPN: un interesse latente per l’esperienza aleatoria dell’ascolto, che è comunque attiva. Per me, crescere suonando vinili e creando mixtapes radio era un modo per stare nel mondo ed esserne contemporaneamente isolati. Per me è stata una modalità bella e funzionale di essere introverso. Per questa ragione amavo la radio.
DK: Parliamo brevemente di Elara.
OPN: Elara è una società di produzione fondata dai fratelli Josh e Benny Safdie. Ricordo la prima trasmissione streaming di Elara proprio quando è iniziato il lockdown qui a New York.
Mi è sembrato un momento totalmente “newyorkese”, vedevo quello che pubblicavano e pensavo: “Oh, quello è Mike Billz! [lo scrittore e regista Michael M. Bilandic]”. I mix di Mike sono stati quelli che mi sono rimasti più impressi, e per certi versi mi hanno ispirato di più; non per lo stile, ma perché mi hanno ricordato che potevo fare quello che volevo. Billz tirava fuori questi felici mix tra sonorità hardcore e jingles da cartone animato “Looney Tunes”, assolutamente pazzeschi.
A parte questo, ricordo che quando mi sono esibito all’Armory con Anohni (Anthony Egarty, voce del gruppo “Anthony and the Johnsons”, ndr) durante il suo tour per l’album Hopelessness, Usher era nel pubblico. L’ho incontrato dopo perché voleva farmi alcune domande, e mi chiede: “Sai, la gente pensa che io sia un tipo da R&B, cosa che sono, un tipo pop, ma mi piace questa roba!” – e io: “Beh, ti immagino come un atleta musicale per eccellenza; a un certo punto hai bisogno di una dose maggiore, di una botta più forte”. Questo per dirti che quando sono attratto da una musica molto estrema, è semplicemente perché ho bisogno di una dose più forte.
Quindi sì, ascolto costantemente Elara, avverto una piacevole connessione con la comunità che ne emerge, a tal punto che ho fatto anche io un mix (pubblicato sul canale Soundcloud di Elara, ndr), “Depressive Danny’s”, o come l’ho chiamato io, “Witches Borscht”. Quella è stata una sorta di prova generale per l’album; poi appena ho iniziato a prendere confidenza tutti gli elementi sono entrati in sinergia. Pensavo alla radio, e pensavo a Magic Oneohtrix Point Never. Lo riascoltavo profondamente, sentivo la gente scatenarsi e fare “quello che voleva”.
Ho fatto un mix che sembrava la voce del mio stato d’animo. E questo è tutto. È bastato quello per mettermi a lavoro. Così ho iniziato a fare una demo proprio lì, in quella stanza, accanto al mio letto.
DK: Prima hai detto di essere influenzato da molti generi diversi.
OPN: Questo album per me è davvero l’indice definitivo dei miei interessi musicali come fan. [Daniel descrive le diverse canzoni del disco e le loro numerose influenze in modo molto dettagliato, arrivando infine a “Long Road Home”]. Per me è come se stessi fondendo Scritti Politti e Enya. Lì c’è un legame alchemico. Questo rappresenta appieno i miei gusti, il mio amore per le tastiere e gli strani arrangiamenti MIDI-driven che si possono fare solo al computer, e che non è mai stato possibile “suonare” …
DK: Ho notato Enya quando sono entrato [c’è una foto di Enya sopra uno degli armadietti della cucina di Lopatin].
OPN: Sì, la amo. È un qualcosa di sedimentato. C’è una citazione di Philip K. Dick che adoro e a cui ho pensato costantemente nell’ultimo anno, che dice, parafrasando: “Gli elementi del divino possono trovarsi sulla soglia della spazzatura” [“The symbols of the divine initially show up at the trash stratum”]. Credo che quello che intendesse dire è che se rimani incantato dal mondo, sia che ti trovi nei bassifondi o ovunque tu sia, per quanto sia cattivo l’odore, sarà davvero interessante perché sei vivo, perché li per testimoniarlo.
DK: Beh, sono d’accordo con Philip K. Dick.
OPN: Davvero. Penso che ci siano tutte le ragioni per credere che il disincanto è la storia del Ventesimo secolo. Il re-incanto è il progetto di molti artisti, di molte persone che stanno cercando di trasformarsi o di avere un qualche modesto senso di appagamento nella loro vita. Vuol dire trovare un modo per incantarsi. E ci sono così tante virate, così tante distrazioni, c’è anche tanta spazzatura nel disco. Ci sono anche macerie, detriti radio e materiale disorganico, elementi musicali di sottofondo e “beautiful music” [un vecchio genere di musica di sottofondo che veniva suonata in radio]. Come dicevo, ho campionato molto i sottofondi musicali dei canali che passavano le previsioni meteorologiche. Ho scovato un sito web che fondamentalmente era un archivio di ogni singolo brano riprodotto sui The Weather Channel, quindi è stato interessante. Ci sono tante stratificazioni. Si possono trovare molti strati nella spazzatura.
DK: Magic Oneohtrix Point Never è un progetto di re-incanto.
OPN: È quello che spero. Se è vero che la magia ha un potere, come uno scherzo divertente da fare a qualcuno, è quello di farci sentire improvvisamente insicuri su ciò che crediamo vero. Penso che sia questo l’incanto.
È qualcosa di cui avevo bisogno, questa è stata la mia preoccupazione musicale fin dall’inizio. È l’unico vero motivo per cui lo faccio.
C’è una cosa divertente che mi ha fatto notare il mio strizzacervelli. Sono entrato in analisi per la prima volta nella mia vita a trentotto anni, con un terapeuta junghiano. La cosa divertente dell’analisi è stata la sua lettura del nome della mia band. Mi ha detto che ci sono dei “trucchi” – “Sì, ci sono dei trucchi”, disse. Perché si tratta di uno e zero, è un computer binario e sono giochetti che faccio sui computer per fare musica impossibile da fare altrimenti. Lui allora mi dice: “Beh, credo che ci sia un trickster che agisce. C’è un archetipo di trickster in gioco nella tua musica. E il trickster è un punto di vista molto efficace da incarnare quando si è giovani. Ma diventa sempre più difficile rimanere un trickster, o capire come questa dimensione può integrarsi nella fase di mezza età”.
DK: Ho trascritto una tua citazione da un’intervista del 2015. Dicevi: “Credo che tutto ciò che faccio siano queste cose “cool”. Ma per la celebrità media sono al massimo un mago o un clown”.
OPN: Sì. Credo che la parte dell’imbroglione sia molto importante. La figura del clown subentra quando sto per cadere a pezzi, quando ho una visione negativa di me stesso. Ma sono parte integrante della stessa cosa, mi piace davvero intrattenere. Mi sento come se fallissi quando quello che produco non è “intossicante” nell’immediato. È la sensazione che avevo della musica quando non sapevo come si faceva, e mi limitavo ad ascoltarla. Per me deve avere quel tipo di ebbrezza, e questo fa di me un intrattenitore.
(Traduzione dall’Inglese di Marta Zanoni)