Maurizio Cattelan: Stai benissimo.
Paul Chan: Grazie.
MC: Prima di iniziare vorrei darti una cosa.
PC: Cos’è?
MC: Cinque minuti di contatto visivo senza interruzioni.
PC: Non so cosa dire.
MC: Consideralo un regalo.
PC: Ora so cosa dire. Grazie.
(Passano cinque lunghi minuti)
MC: Come ti senti?
PC: Eccitato.
MC: Che strano, anche io!
PC: Non è strano. È solo bello.
MC: Perché credi che sia successo?
PC: Il silenzio e l’attenzione in qualche modo acuiscono tutti i sensi.
MC: È vero. Sembri anche un filo più alto.
PC: Saranno i pantaloni nuovi.
MC: Iniziamo? Recentemente hai tenuto una conferenza alla New School di New York. È stata pubblicizzata come una lezione artistica. Sono intervenute molte persone che credo si aspettassero che tu parlassi del tuo lavoro e che mostrassi foto, video e così via. Ma non hai fatto niente di tutto ciò. Hai fatto un discorso invece. Mi ripeti il titolo?
PC: “The Spirit of Recession” (Lo spirito della recessione).
MC: Giusto. Hai parlato di come l’economia mondiale sia una forma di religione e di come il laicismo non sia laico per niente. E di come l’arte può essere connessa a quello che una recessione è nella religione dell’economia mondiale. Di come l’arte rappresenti una sorta di addio lirico. Ho capito bene?
PC: Hai capito bene.
MC: È stato molto provocatorio. Il pubblico era molto turbato.
PC: Come turbato?
MC: C’è stata una rissa.
PC: No. Dove?
MC: Dopo la conferenza, a due isolati dall’auditorium.
PC: Perché stavano litigando?
MC: Non lo so esattamente. Stavo andando via e all’improvviso mi sono trovato in una folla di persone che stavano guardando qualcosa. Ed è lì che ho visto due ragazzi che si stavano prendendo a pugni sul marciapiede, urlando qualcosa su di te e sull’economia e l’arte e la recessione.
PC: Non ha senso.
MC: Non ha mai senso picchiarsi.
PC: Hai cercato di fermarli?
MC: No. Ho solo guardato.
PC: Qualcuno ha cercato di farli smettere?
MC: Non ce n’è stato bisogno. Si sono stancati dopo un po’ e hanno smesso da soli.
PC: Non è bello quando le cose si fermano da sole? È l’unica forma di giustizia che ci è rimasta oggi: quando qualcosa di sbagliato si ferma perché è troppo stanco per continuare a sbagliare.
MC: Puoi approfondire?
PC: Certo, ma prima dimmi cosa hai fatto dopo che hanno smesso di picchiarsi.
MC: Sono andato a mangiare, morivo di fame.
PC: Strano no?
MC: Sì, ora che ci penso.
PC: Sei sempre affamato dopo le conferenze d’arte?
MC: Di solito sono confuso. Ma credo che sia stata più che altro la rissa.
PC: Avevi molta fame dopo la rissa?
MC: Sì.
PC: Perché?
MC: Non lo so. Forse le risse mi fanno venire voglia di mangiare?
PC: Ma non hai preso parte alla rissa, non hai partecipato fisicamente, vero?
MC: No, infatti.
PC: Quindi il solo guardare la rissa è stato così faticoso da farti sentire famelico.
MC: Sì, direi di sì. Serviva energia per cercare di prestarvi attenzione e trovarvi un senso.
PC: Capisco. Quindi la fame era in realtà la sensazione di dover recuperare le energie spese nel cercare un senso? Ma perché credi che ci sia voluta così tanta energia? Hai detto che stavi morendo di fame, giusto? O fa solo parte del tuo essere drammatico?
MC: Il dramma non mi interessa. Ma non stavo esagerando.
PC: Quindi come mai così tante energie spese solo per guardare una rissa?
MC: Perché t’interessa così tanto?
PC: È una buona domanda. Forse ti potrò rispondere quando avremo finito.
MC: Questa è proprio una risposta delfica.
PC: Non so cosa significhi delfico. C’entrano i delfini?
MC: No. Significa qualcosa di gratuitamente oscuro e un po’ mistico.
PC: In questo caso non sono d’accordo.
MC: Forse abbiamo bisogno di altri 5 minuti di contatto visivo senza interruzioni.
PC: Grazie, ma no grazie. Sono ancora eccitato dai cinque minuti di prima.
MC: Vuoi ancora che ti risponda?
PC: Certo.
MC: Quando guardo qualcosa che mi interessa o che mi incuriosisce, mi accorgo di seguirne i movimenti o il modo in cui si comporta. È così che qualcosa diventa espressivo, quando mi invita al suo interno in modo tale che possa seguirne il corso, senza dirmi dove andrò a finire. E quando decido di farlo mi porta via molte energie.
PC: È come se una volta che il guardare la rissa inizia a interessarti, ne rimanessi preso attraverso l’interiorizzazione del movimento e della forma della rissa, per capirla, o almeno per trarne piacere.
MC: Qualcosa del genere, sì. Ma non c’è stato nessun piacere.
PC: Perché hai continuato a guardare allora?
MC: Non vedo tutti i giorni gente che si picchia per l’arte. Ha carpito la mia attenzione. Ero curioso.
PC: Qualcuno una volta scrisse: “La curiosità è il principio del piacere del pensiero”.
MC: Chi lo ha scritto?
PC: Hillary credo.
MC: Stai scherzando.
PC: Forse era Napoleone, non mi ricordo. In ogni caso, tu hai seguito la rissa dall’interno, per così dire, traendo dalla tua esperienza sensoriale un modello espressivo interiore di quello che stava succedendo di fronte a te. E tutta quell’energia che avevi bisogno di recuperare mangiando era stata usata perché la rissa era entrata dentro di te.
MC: Questa è la natura del pensiero.
PC: È molto fisica vero? La mente è un muscolo.
MC: Stai dicendo che pur non essendo fisicamente nella rissa, la rissa era fisicamente dentro di me?
PC: Immaginare il dispiegarsi del corso dell’esperienza al di fuori di noi stessi come se fosse il corso della nostra vita interiore senza soccombere alle facili tentazioni dei concetti predeterminati è il momento in cui il pensiero diventa più temerario e vivo.
MC: Stai dicendo che pensare è come una forma di scimmiottamento del mondo?
PC: Sì. Certa gente la chiama mimesis.
MC: Questa gente è laureata?
PC: Quelli che ne fanno cattivo uso sì.
MC: Come tutto ciò si collega al tuo lavoro?
PC: Non sono sicuro che si colleghi. Ma traendo delle conclusioni da tutto ciò in modo più generale, forse possiamo dire che l’arte è la forma enfatica dell’esperienza del pensiero fatta senza il corpo.
MC: Puoi dirmi qualcosa di più?
PC: Certo.
(Maurizio annota: a questo punto della conversazione, Paul dice di dover uscire per fare una telefonata dal telefono a pagamento e scusandosi si allontana dal tavolo della zona ESPN del bar/ristorante sportivo dove stiamo parlando. Non fa più ritorno. Ricevo una sua e-mail due giorni dopo, mi ringrazia per la conversazione e il piacevole pranzo. Gli rispondo che la conversazione era appena iniziata e che sarebbe stato fantastico poterla continuare in un bar sportivo di sua scelta. L’e-mail torna indietro, come le altre spedite in seguito. E non ho il suo numero di telefono. L’intervista è stampata com’è. Mi piacerebbe continuare questa conversazione con te, Paul, se ti fa piacere. Possiamo parlare di qualsiasi cosa che non abbia a che fare con il pensiero o con le risse. So che ti piacciono anche gli animali e il basket. Il mio indirizzo e-mail è maurizioisatwork@aol.com. Scrivimi, parliamo ancora!).