
“Ho sempre considerato il video come il più meraviglioso contenitore per le mie paure, i miei desideri, il mio subconscio, le immagini nella mia testa. Per questo non ho mai capito perché queste immagini devono avere dei confini precisi. Quando chiudo gli occhi la mia immaginazione vaga libera. Allo stesso modo voglio creare spazi per la video arte che ripensino la natura stessa del medium in sé, voglio scoprire nuovi modi di immaginare il mondo, tanto quello esterno che quello interiore”. Questa, come molte altre dichiarazioni espresse da Pipilotti Rist in occasione della sua mostra “Parasimpatico” — promossa dalla Fondazione Trussardi e curata da Massimiliano Gioni — sembrano una precisa e sintetica espressione della sua poetica. È apparso subito chiaro, imbattendosi nelle sue prime opere video nel prestigioso ex Cinema Manzoni, che l’artista ha voluto — forse più liberamente che non in un museo o galleria — dare sfogo a quella che da sempre è la sua forma “buona” di disobbedienza: rovesciare la realtà per mostrarne la parte più dolce e positiva. Il grande salone, la scala che porta al primo piano, il foyer, i bagni, il bar e la spettacolare sala da 1400 posti, sono stati trasformati da Pipilotti in una grande scatola magica dove gli spettatori possono perdersi e abbandonarsi tra dolci onde cromatiche e sonore. Dalle immagini oniriche di Lobe Of The Lung (2009), a quelle acquatiche e surreali di Sip My Ocean (1996), a quelle di Rain Woman (I Am Called A Plant) (1999): tutte le videoinstallazioni sembrano raccontare, a episodi, il mondo fin troppo fatato di un’artista che crede non solo che l’arte sia un servizio, ma che lei stessa sia una persona al sevizio degli altri. Potenti e carichi di una forte empatia, i suoi video si intrufolano “sottopelle” o, come invita il titolo della mostra, agiscono nel sistema nervoso, laddove risiedono le nostre funzioni corporee involontarie. La mostra culmina nella grande sala di proiezione, dove l’artista fa esplodere un corpo immaginario che si espande in tutto lo spazio. L’opera Open My Glade (2000), che mostra il gigantesco volto dell’artista mentre preme, si contorce, spinge il grande schermo della sala principale, fa da pendant a Extremities (smooth, smooth) (1999): proiezione su una volta nel soffitto che mostra seni, piedi, orecchie, occhi, arti che galleggiano come pianeti impazziti.