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29 Luglio 2015, 2:42 pm CET

Simon Starling di Olga Gambari

di Olga Gambari 29 Luglio 2015
Simon Starling, Video
Simon Starling, Video
Simon Starling, Video

A leggere l’elenco dei materiali impiegati nelle installazioni di Simon Starling sembra che convivano giochi e laboratori di ragazzi, scienziati e artigiani. Fionde, corde e rami di tiglio, montacarichi e motoseghe, pannelli solari e trasformatori, compressori e marmo. Tecnologia elementare e tecnologia elaborata. Mezzi che si trasformano in opere d’arte, fatte di tecnologia, ma che allo stesso tempo la destrutturano neutralizzandola. Sono esperimenti di un artista che esplora “la scienza” come una dimensione un po’ immaginifica e visionaria, razionale quanto irriducibile completamente in formule e teorie. Nel 1987 Mario Merz diceva: “Se si lascia fare alla tecnologia il mondo piomba nel problema tecnologico assoluto. L’arte è critica verso la tecnologia e questo, cosa assai importante, è uno dei problemi dell’arte di oggi”. Merz centrava il problematico rapporto tra tecnologia e cultura, tra scienza e Umanesimo, che piace a Starling così come alla filosofa statunitense Martha Nussbaum, che ne fa la base del sapere ideale. Starling ricerca il respiro e la libertà comuni a Umanesimo e arte nelle situazioni scientifiche, così come le brecce inaspettate, le aperture di poesia incontrollata. Per esempio, presenta il dipinto degli artisti argentini Faivovich & Goldberg, che riproduce la fotografia di un disegno realizzato a fine Settecento, che ha per soggetto un meteorite caduto nel nord dell’Argentina. Oggi sia il meteorite sia il disegno sono scomparsi. Starling si allinea direttamente a Merz con la sua recente opera 1,1,2, enormi blocchi marmorei sospesi nello spazio della Fondazione Merz, vicino ai tre igloo che costituiscono l’opera Spostamenti della terra e della luna su un asse del 2003. Incombono e allo stesso tempo sembrano informati del medesimo ragionamento, fatti di materiali poveri e tensioni fisiche nello spazio che visualizzano vettori, l’energia che imbriglia la vita, la stessa della più elementare forma abitativa e architettonica umana, l’igloo appunto. Poi l’artista inglese, vincitore nel 2005 del Turner Prize, presenta le fotografie di Nasmyth e Carpenter, studiosi che a fine Ottocento osservarono la superficie della luna, ne fecero modellini che quindi fotografarono traducendoli in “illustrazioni scientifiche”. Oppure il video Project for a Masquerade, dove si assiste alla costruzione di maschere dei protagonisti della scena politica internazionale che ruotarono attorno alla bomba atomica lanciata su Hiroshima, nella Seconda guerra mondiale, come icone del teatro giapponese Nō. È una mostra “scritta” come un romanzo, dal titolo “The Inaccessible Poem”.

Fondazione Merz, Torino.

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