A quasi venti anni dalla caduta del muro di Berlino si stenta a ricordare l’ottimismo con cui i paesi dell’ex blocco sovietico entravano in Occidente. Quale catalizzatore di questi umori cambiati, della nuova coscienza delle potenzialità perdute, giunge ora “Progressive Nostalgia”, l’ampia e bella rassegna sull’arte dell’ex Unione Sovietica curata da Viktor Misiano per il Museo Pecci di Prato, rinnovato nella sua direzione. L’area presa in esame è quella estesa regione eurasiatica che va dal Baltico alla Cina e che, dopo il crollo dell’URSS, si è frammentata in tanti paesi indipendenti.
Contrariamente al titolo, la mostra non si concentra tanto sulla memoria, né sulla Storia, quanto sulla delusione verso la nuova situazione post-sovietica e sul fallimento del presente. Di forte impatto, l’immagine scelta per accompagnare la mostra — non a caso — è quella di un lutto o di un commiato. O, meglio, così appare. Sei donne trascinano dei lunghi drappi scarlatti, vanno verso la banchina di un porto in attesa che le vele rosse riprendano a solcare i mari. Ma non avanzano in maniera frontale, voltano le spalle allo spettatore, gli chiedono congedo. Questa immagine, tratta dal video di Factory of Found Clothes (FFC), tradisce lo stesso senso di sconfitta di molti dei lavori in mostra, dall’illusione di libertà del passaporto moldavo in Pavel Braila all’inno della rivoluzione arancione ucraina in Ilya Chichkan, dalla bandiera in bronzo di Anatoly Osmolovsky alle promesse del libero mercato in Egle Rakauskaite e a quelle della pubblicità in Irina Korina. Ogni volta il rimpianto per il passato socialista è solo indirettamente evocato. Ma se di una nostalgia c’è oggi realmente bisogno per contrastare la realtà del presente è la nostalgia per ciò che il socialismo non è stato, per i suoi tentativi mancati, le sue possibilità perdute. In questo senso non sono più tanto effettuali le critiche quanto le pratiche costituenti. Ecco allora che le foto di famiglia improvvisate di Maxim Karakulov, il club degli attivisti di Chto Delat?, l’Istituto Lifshitz di Dimitri Gutov, il Pro-test Lab Archive degli Urbonas sono gli unici tentativi che riescono a contrastare quelle immagini finali della mostra dove delle barche lentamente si perdono nella lontananza di una fede non più razionale nel futuro.