Nataša Vasiljević : Con le tue performance e i testi critici degli anni Settanta interroghi in prima persona il valore e l’importanza dell’arte. In seguito, adotti una posizione più silenziosa, ma non meno provocatoria.
Raša Todosijević : Negli anni Settanta, ci riunivamo alla galleria del Centro Culturale dello Studente, aspirando a creare una nuova forma artistica. Ma era difficile capire il nostro lavoro e accettarlo come un gesto artistico ordinario. La scena artistica serba era dominata da valori tradizionali e ogni deviazione incontrava molta resistenza. Il problema non era solo la diversità dei nuovi strumenti che usavamo, ma anche la nostra visione della realtà. In altre Repubbliche dell’ex-Jugoslavia, per esempio Ljubljana o Zagabria, non era il caso perché i precursori dell’avanguardia erano ancora in vita e il pubblico era più disponibile. A Belgrado era molto più difficile affermare il nostro lavoro. Possiamo dire che era un approccio “non funzionale”, in riferimento all’avanguardia storica, allo “Zenit”, al movimento Dada serbo, eccetera. Proprio per questa ragione insistevamo sulla nozione dell’ego e del corpo come ultime zone di libertà e le performance si svolgevano in gallerie dallo spazio delimitato con un contatto fisico ravvicinato con il pubblico. I miei inizi erano molto espressivi, usavo il corpo e diversi materiali effimeri, ma seguivo anche un approccio razionale attraverso la scrittura. Ho scritto testi critici interrogando la logica della vita all’interno del sistema dell’arte: Edinburgh Statement, From the Street: Before the Introduction Into History, For Art and Against Art, eccetera. Il mio scopo era promuovere, attraverso questo strumento, nuove idee sull’arte.
NV: Dopo questo periodo, l’elemento espressivo e il carattere performativo scompaiono lentamente dalla tua opera.
RT: È vero. Con il tempo ho smesso di presentare performance, tranne all’estero, come Was ist Kunst. Sono passato agli oggetti, lavorando con le linee, le sculture, eccetera.
NV: Hai comunque continuato a interrogare l’importanza della libertà e dell’individualità, ma questa volta attraverso la scrittura e le opere d’arte. Oggi come consideri questi soggetti, hanno in qualche modo perso il loro valore?
RT: No. Quando parliamo di libertà, entriamo in una zona patetica. Utilizziamo parole sublimi per descriverla, ma in realtà, non esiste. Ci comportiamo come se parlassimo di un ideale che cerchiamo costantemente di migliorare, ma non riusciamo a ottenerlo in un senso compiuto, perché dipende dai fatti storici e dalle circostanze.
NV: E dell’individualità?
RT: Sono un artista piuttosto all’antica, credo in una sorta di etica, e nell’individualità. Ma non sono un insegnante o uno che fa da contatto fra le culture, perché ciò implicherebbe la promozione di valori condivisi, e non di valori innovativi, eticamente non ancora definiti o soggetti a critica. In realtà, la gente preferisce seguire sentieri già battuti, obbedire ai leader e ai pensieri di autorità immaginarie. Io sono sempre stato contrario a tutto ciò. Ma il prezzo che ho dovuto pagare è stato alto.
NV: Invisible sculpture, eternal music (1981) rappresenta un punto decisivo nel tuo percorso. In seguito la tua opera diventerà più strutturale.
RT: È un lavoro che mi piace molto, perché rappresenta l’intersezione fra emozioni e razionalità strutturale, ponendo al contempo una domanda: cosa è l’arte moderna? Inoltre, contiene l’amalgama di un personaggio mitico, una certa profondità metafisica o epica, una dedizione al sacrificio, la nozione di assenza, vuoto. Possiamo dire che si tratta di un lavoro legato a Yves Klein e Richard Wollheim, anche se il mio spirito slavo concepisce differentemente l’idea di vuoto e assenza. Il titolo è molto importante, perché le radio erano immaginate come oggetti tridimensionali e come figure stilistiche possono rappresentare delle sculture.
NV: Con lo smembramento della Jugoslavia e molti anni di solitudine, hai iniziato a lavorare a una nota serie d’installazioni, Gott liebt die Serben, ma anche ad ampie opere all’acquarello con le quali hai inaugurato una nuova iconografia.
RT: Volevo azzerare la mia immaginazione, dimenticare le esperienze precedenti e favorire la nascita di qualcosa di nuovo e irrazionale. Ho iniziato, con uno spirito di automatismo surrealista, a dipingere scene fantastiche. Ho prodotto un’ampia serie di opere e ancora oggi proseguo in questa direzione. Questi acquarelli hanno una sorta di dimensione caricaturale, trasmettono una pungente critica sociale, come l’avanguardia tedesca espressionista. Eppure il mondo dell’arte è stato molto scettico verso queste opere, si pensava che io fossi ritornato a lavorare con media convenzionali.
NV: Infatti, hai iniziato la tua pratica artistica con strumenti non tradizionali e con il tempo sei ritornato a un linguaggio più tradizionale.
RT: È vero. Volevo dimostrare che era possibile compiere un nuovo lavoro e avere una nuova idea utilizzando un linguaggio tradizionali. Il medium non è l’elemento principale. Per esempio, Elementary Paintings (1974) è un’opera composta di materiali tradizionali. Spesso si giudica banalmente il carattere innovativo di un lavoro solo sulla base del mezzo. Oggi ci sono migliaia di video, ma in realtà sono molto banali e non sono certo meno conservatori delle imitazioni di Modigliani che si trovano per le strade!
NV: La scena è ancora diffidente nei confronti di queste opere?
RT: Oggi non più, ma ci sono voluti oltre dieci anni per capire che non erano parte di un pensiero convenzionale, ma piuttosto di un nuovo approccio all’arte. Questa lenta assimilazione delle cose è una caratteristica molto negativa di quest’ambiente.
NV: My Name is Pablo Picasso (1980) e Josephine Beuys (1973), trattano di valori tradizionali, confrontandoti con il bisogno di demistificare gli idoli.
RT: È un soggetto complesso, ma non direi che si tratta di demistificazione. L’idea di base è abbastanza vecchia ed è una critica del modernismo socialista. Non voglio denigrare Picasso, ma critico la manipolazione e la percezione dell’arte moderna. C’è stata una forma di modernismo accettabile all’interno delle nazioni socialiste che non comportava nessuna forma di critica. Artisti come Picasso, nelle sue ultime fasi, Chagall, Moore o Hepworth si prestavano molto bene a ciò. Per contro, Picasso nella fase cubista, Duchamp, Malevich, Mondrian, il Futurismo, il Surrealismo, eccetera, non erano accettati o apprezzati nelle nazioni socialiste. Era una questione ideologica, una protezione del socialismo dalla critica. L’opera Josephine Beuys, ha un doppio significato: Josephine Baker era una grande star della cultura pop, mentre Joseph Beuys rappresentava la cultura tedesca profonda ed esigente, parte di una generazione che portava il fardello del rimorso storico. Quest’unione di uomini e donne, di cultura di alto livello e spettacolo, ricorda l’ambivalenza di Duchamp.
NV: With time the prices increase (1973-2007) è un’opera nella quale ironicamente accentui la credenza che il tempo influenzi il valore di un’opera d’arte. Le tue opere seguono lo stesso destino perché, in genere, il primo periodo è il più richiesto.
RT: Tranne alcune eccezioni, si dà valore a qualcosa sulla base dell’età. Si pensa che un’opera vecchia o antica, abbia maggior valore come artefatto di un lavoro attuale. Ma è falso, è una percezione distorta, nella quale l’uomo agisce come un’istituzione museale o un antiquario. Sono cinico verso le persone che scelgono automaticamente opere più vecchie.
NV: Nel tuo lavoro, c’è sempre un interesse per una natura duale e contradditoria.
RT: Alla 54esima edizione della Biennale di Venezia, ho presentato delle teiere, The Sculpture. Erano delle teiere molto pesanti, riempite con cemento. Si vedevano una moltitudine di teiere, e null’altro. Era una critica velata all’idea della forma e del contenuto nell’arte. Che cosa significa la forma e il contenuto per la torre Eiffel? Qual è il senso della scultura? Lo stesso vale per l’uso della svastica. Sono opere che interrogano il significato dei simboli nell’arte. Un simbolo non alterato nella sua forma, come può cambiare ricevere un’interpretazione differente nel tempo? I simboli non hanno un significato permanente, non hanno valore, dipende dall’interpretazione che cambia secondo le circostanze e gli eventi storici. La svastica era un simbolo benigno nel XIX secolo. Con il nazismo e l’Olocausto, la sua interpretazione è cambiata; diventa il simbolo del male, connesso con l’ideologia che ne abusva il simbolo.
NV: Hai affermato che l’arte in mostra negli alberghi sarebbe diventata la corrente principale nell’Europa dell’Est. Lo pensi ancora oggi?
RT: L’avevo detto in maniera leggera, ma è parzialmente vero. Dopo la caduta del Muro di Berlino, è giunto un periodo di transizione per tutta l’Europa dell’Est. Si pensava potesse essere un periodo di libertà, senza censura. Eppure, era chiaro che anche in questa nuova situazione, i vecchi esponenti del socialismo sarebbero tornati. L’arte nuova che era agli avamposti, pronta a creare una società liberale, era possibile solo a livello di musei o gallerie. Il mercato era riservato ai bravi e vecchi artisti socialisti.
NV: Con il cambiamento delle ideologie, cambia anche la tua espressione formale. Utilizzi un linguaggio più legato al marketing, con slogan che trattano il problema delle illusioni.
RT: Ho creato i primi cartelloni pubblicitari nel 1997. Promuovevo l’azienda di arance serbe Serborange, il mio film The Murder e la produzione del profumo europeo The Fleur de Cloaque (il fiore delle fogne). Si trattava dei primi poster presentati come opere d’arte in Serbia. Erano per lo più mostrati nei musei e nelle gallerie, meno negli spazi pubblici. Mi ero inspirato alle idee della critica minimalista. Immagina un critico d’arte che ha 20 secondi in tv per dire qualcosa di serio e convincente sull’arte o un artista. Esiste un riconoscimento istantaneo fra l’occhio dello spettatore e il lavoro medesimo, anche se il minimalismo contraddice la natura barocca di questi poster. Mi chiedevo come fosse possibile percepire un lavoro secondo gli stessi principi di un’opera minimale.
NV: Potresti dire che questa recente affinità con una comunicazione più diretta con lo spettatore (al contrario di opere meno recenti), sia una conseguenza di una coscienza sociale differente?
RT: No, mi sono solo divertito a giocare con la banalità. Il nucleo di questo progetto è il mio nome che è costantemente ripetuto, come regista, produttore, eccetera. I cartelloni mi permettono di promuovere il mio nome. Ma sono differenti dai poster presentati 2 o 3 anni fa: Mother on Sale e Tomorrow is Monday.
NV: Con queste opere recenti, assumi la posizione di un artista-profeta. Abbiamo bisogno di un artista-profeta, di un artista o di un profeta?
RT: Si tratta di una derisione della società patriarcale che riconosce una capacità di prevedere l’avvenire a certi artisti, soprattutto poeti e romanzieri. Non voglio sottovalutare la personalità di un artista e la sua capacità di creare, ma non voglio neppure la continuazione, soprattutto nella cultura serba, di una conoscenza dogmatica che favorisce alcuni artisti investendoli con un potere visionario. Questa politica sciamana segue la corrente del kitsch, del nazionalismo, spogliando una società molto ingenua. Occorre invece parlare di artisti percettivi, che hanno la capacità di capire meglio la situazione attuale.
NV: Ma questa società vuole un artista razionale?
RT: No, non lo vuole.
NV: Che cosa ti rimane dopo avere venduto anche tua madre?
RT: Mother for Sale (2009) è una figura di stile. Si tratta di un lavoro che interroga l’etica della società. Questa società non ha un fondamento etico forte, quasi tutto è possibile, è permesso. Le persone svendono altre persone. Non ci sono limiti etici, tutto è messo in vendita, anche le nostre madri. Un artista deve interrogare il carattere etico della società nella quale si trova. Ma in un bordello, è difficile discutere di morale.