Regina Cassolo Bracchi, Modello per scultura mobile, anni ‘60.
Carta e spilli. 26 x 23 cm.
Courtesy Collezione Archivio Gaetano e Zoe Fermani.
Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Studio.
Regina Cassolo Bracchi, Composizione concreta, 1955. Collage di carta velluto colorata. 8,3 x 8,7 cm. Courtesy Collezione Archivio Gaetano e Zoe Fermani.
Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Studio.
Regina Cassolo Bracchi, Danzatrice, 1930.
Alluminio. 43 x 30 x 15.
Courtesy Collezione Archivio Gaetano e Zoe Fermani.
Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Studio.
Regina Cassolo Bracchi, Omaggio a Charles P. Conrad e Alan Bean, 1970. Plexiglas multicolore e carta disegnata. 28 x 27 x 20 cm. Collezione Archivio Gaetano e Zoe Fermani. Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Studio.
Ritratto di Regina contenuto in un taccuino dell’artista, s.d. Inchiostro su carta. Collezione Archivio Gaetano e Zoe Fermani.
Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Studio.
Regina Cassolo Bracchi, Scultura concreta a tre piramidi, 1950. Cemento. 37 x 46 x 18 cm. Courtesy Museo Regina, Mede Lomellina.
Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Studio
Regina Cassolo Bracchi, Suono delle campane, 1963. Tecnica mista su carta. 21 x 17 cm.
Courtesy Collezione Archivio Gaetano e Zoe Fermani.
Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Studio.
Nel catalogo della mostra L’altra metà dell’avanguardia, Regina Cassolo Bracchi (21 maggio 1894 –14 settembre 1974) appare ritratta di fronte al lago di Como, in sella a una motocicletta, vestita di una tuta alla Thayat, con il suo canarino (uno dei tanti che si susseguono e che ricorre come soggetto delle sue opere) trasportato in una gabbia assicurata alla vita da una cinghia. Il sorriso largo che in questa foto le illumina il viso è lo stesso dell’autoritratto a carboncino con cui si apre l’ampia e puntuale retrospettiva curata da Chiara Gatti e Lorenzo Giusti alla GAMeC di Bergamo e che per la prima volta esplora tutto l’arco della sua attività. La mostra restituisce la vicenda artistica di Regina dagli esordi negli anni Venti dopo gli studi a Brera e gli anni torinesi come apprendista di Giovanni Alloati, dove conosce Fillia, al rientro a Milano e all’adesione al movimento Futurista negli anni Trenta – unica scultrice nel gruppo delle futuriste –, alla partecipazione al Movimento Arte Concreta negli anni Cinquanta su invito di Bruno Munari, da cui poi inizierà una riflessione personale sull’arte cinetica e l’astrattismo internazionale, fino agli anni Settanta in cui attraverso la sollecitazione della poesia visiva sembra tornare a riflettere sulle possibilità della parola. Futurista, del resto, Regina lo è rimasta sempre, se non altro per l’adesione al suo tempo – “sono sempre stata all’avanguardia, almeno come pensiero; fin da bambina avevo tanta fiducia nel progresso, da esser convinta di non morire più. Ancora adesso la speranza rimane… il passato poco mi interessa, mi preme il presente e l’avvenire”, scrive di sé nel 1966 –, ma anche per la messa in tensione tra l’osservazione del dato naturale e l’astrazione, che rimangono per lei due registri equivalenti.
“Regina. Della scultura”.
Veduta dell’installazione presso GAMeC, Bergamo, 2021.
Fotografia di Veronica Camera, Studio Francesco Faccin. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.
“Regina. Della scultura”. Veduta dell’installazione presso GAMeC, Bergamo, 2021. Fotografia di Veronica Camera, Studio Francesco Faccin. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.
“Regina. Della scultura”. Veduta dell’installazione presso GAMeC, Bergamo, 2021. Fotografia di Veronica Camera, Studio Francesco Faccin. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.
“Regina. Della scultura”. Veduta dell’installazione presso GAMeC, Bergamo, 2021. Fotografia di Veronica Camera, Studio Francesco Faccin. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.
“Regina. Della scultura”. Veduta dell’installazione presso GAMeC, Bergamo, 2021. Fotografia di Veronica Camera, Studio Francesco Faccin. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.
“Regina. Della scultura”. Veduta dell’installazione presso GAMeC, Bergamo, 2021. Fotografia di Veronica Camera, Studio Francesco Faccin. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.
“Regina. Della scultura”. Veduta dell’installazione presso GAMeC, Bergamo, 2021. Fotografia di Veronica Camera, Studio Francesco Faccin. Courtesy GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.
Dai gessi zoomorfi dei primi anni Trenta, alle sculture in alluminio (quasi dei bassorilievi, ottenuti sovrapponendo forme ritagliate e appena sbalzate), ai disegni (stupendi) di fiori disegnati a grafite e colorati con il succo di foglie e frutti degli anni della guerra e le sculture che successivamente ne traducono in forma astratta le geometrie (e che sorprendentemente evocano Georgia O’Keeffe e Louise Bourgeois), agli occhi (che sono altrove figure cosmiche), ai riflessi di luce sull’acqua che riprendono suggestioni già esplorate nei mobiles in plastica e nylon, ai piccoli collages di forme-luce, tutto parla di un’artista in continua evoluzione, aggiornata e che nella sua casa è capace di far arrivare il mondo. Perché se il suo curriculum di mostre ne documenta riconoscimento e presenza nel sistema dell’arte del suo tempo, è anche vero che Regina, come molte altre artiste coetanee, non ha mai avuto uno studio: per questo le sue sculture e i suoi disegni hanno dimensioni contenute. Eppure, come la mostra mette in luce, la vocazione monumentale delle sue opere è evidente se si pone attenzione al modo in cui lavora: a partire dalla squadratura del foglio, l’artista pensa in scala e pensa come una designer attraverso il progetto. Anche in questo è moderna, al punto che i suoi bozzetti di carta puntati con gli spilli hanno autonomia di opera e se la suggestione è quella del cartamodello, l’approdo è modulabile ad infininitum. Così il domestico – che è una condizione data e che significa dover adottare una dimensione e non un’altra, un materiale e non un altro (una forma di economia, il cui etimo è oikos, la casa) – non è più un limite, ma la possibilità di sperimentare per trovare, citando Cristina Campo, l’immenso nel piccolo.
Regina Cassolo Bracchi, Aerosensibilità, 1935. Alluminio. 69,5 x 36 x 30 cm. Courtesy Museo Regina, Mede Lomellina. Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Studio.
Regina Cassolo Bracchi, Piccola italiana, 1935. Alluminio. 74 x 31 x 15,5 cm. Courtesy Museo Regina, Mede Lomellina.
Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Studio.
Regina Cassolo Bracchi, Fiore, 1946. Gesso. 39 x 30 x 27 cm. Courtesy Museo Regina, Mede Lomellina. Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Studio.
Regina Cassolo Bracchi, L’amante dell’aviatore, 1935-36. Alluminio. 60 x 48,8 x 9,5 cm. Courtesy Museo Regina, Mede Lomellina. Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Studio.
Regina Cassolo Bracchi, Maschera (La donna e il fiore), 1930-34. Alluminio. 45 x 33 x 7 cm. Courtesy Collezione Archivio Gaetano e Zoe Fermani. Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Stud.
Regina Cassolo Bracchi, Struttura, 1953. Ferro. 40 x 29 x 28,5 cm. Courtesy Collezione Archivio Gaetano e Zoe Fermani. Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Stud.
Regina Cassolo Bracchi, Struttura, 1965-67. Plexiglas multicolore. 28,2 x 14 x 10,5 cm. Courtesy Collezione Archivio Gaetano e Zoe Fermani. Fotografia di Alessandro Saletta e Piercarlo Quecchia – DSL Stud.
È da questa prospettiva eccentrica che la mostra restituisce la figura di un’artista libera, defilata, ma consapevole della propria ricerca, le cui vicende contribuiscono a raccontare la mappa complessa dell’arte italiana dello scorso secolo tra sperimentazione e linee di continuità che la attraversano. Fa anche qualcosa di più: un nucleo importante di opere di Regina sono state acquisite dalle collezioni della GAMeC e del Centre Pompidou di Parigi che hanno collaborato alla pubblicazione del catalogo e al lavoro di indagine sul suo lavoro. Questioni di metodo.