Quest’arte esatta nella quale da sempre ed esclusivamente vivo è nata meno di un secolo fa ed è l’espressione positiva del nostro tempo. La sua traiettoria, da intuizione, ha teso a essere scienza e per questo è qualche cosa di difficile, non certo di comune, superfluo, casuale e tanto meno abbondante da potersi trovare ovunque, anzi, proprio l’opposto.
Le individualità che l’hanno iniziata, sviluppata, continuata sono di primissimo piano intellettuale e culturale e quelle esposizioni che, anche se raramente, si tengono in varie parti del mondo sono sempre degli avvenimenti che contribuiscono a formare la storia evolutiva della mente umana e delle cose. Dovrebbe essere quindi necessario sapere che esistono ed essere un impegno per tutti poter cercare di cogliere il senso e il significato che contengono, siano esse di singoli che di gruppo.
Tutte le esposizioni di Richard Paul Lohse sono state esemplari sia quando egli era in vita sia dopo, perché le sue opere predisponevano a questo. Ricordo una mostra alla Fondazione Saner in Svizzera nel 1995 anche perché nel catalogo v’era un testo introduttivo di Rudi Fuchs, personaggio non certo incline alla nostra arte, tutt’altro, ma che seppe cogliere con acume ed esattezza il suo lavoro dicendo: “Forma di produzione e principio d’organizzazione di elementi all’interno di una struttura, il sistema seriale è la negazione essenziale della gerarchia. Il sistema seriale non opta per una forma o un colore particolare, ma per l’uguaglianza fondamentale delle forme e dei colori. Questo conduce a nuovi metodi di costruzione. Il sistema seriale, astratto e chiaro, che Lohse ha sviluppato con cura implica la possibilità di realizzare il suo sogno: l’immagine obiettiva e universale. Questa immagine è semplice, trasparente, evidente. Modi e principi operativi ben definiti la controllano strettamente. Quadro dopo quadro, i colori irradiano la loro luminosa variabilità. Le sue pitture sono dei modelli di intelligenza analitica”. Tutto questo, anche se alle volte poetico, credo sia abbastanza chiaro e verificabile per poter disporsi alla comprensione della problematicità delle opere di Lohse. Le sue opere sono da vedere, da afferrarne la chiave che le genera e poi ci si renderà conto che ognuna non potrebbe che essere così com’è , perché è tutto al suo posto, forma e colore: si potrebbero costruire infiniti test di comprensione intellettiva imperniati su questo.
Quando Richard Paul Lohse ci ha lasciato, quasi 20 anni fa, il 16 settembre 1988, aveva 86 anni. L’anno precedente alla sua morte, Lohse aveva voluto costituire una fondazione che perpetuasse la propria opera. Anche perché, sempre impegnato, sino all’esasperazione, da tutto quanto lo toccava, da tutto e tutti, Lohse era fagocitato dalla brevità del tempo, dagli impegni e dalla difficoltà del fare e forse, verso la fine della sua vita, desiderava in qualche modo passare la mano; e ora è la figlia Johanna a presiedere la Fondazione.
Richard Paul Lohse era nato a Zurigo il 13 settembre 1902 e, assieme a Camille Graeser (1892-1980), a Verena Loewensberg (1912-1986) e a Max Bill (1908-1994), fu rappresentante dell’Arte Concreta svizzera: perno intorno al quale, dopo Mondrian, Van Doesburg, Vantongerloo, ruotò tutto l’astrattismo geometrico più ortodosso del nostro secolo.
“Allianz”, unione degli artisti svizzeri moderni fondata da Leo Leuppi nel 1937, fu infatti il gruppo all’interno del quale si formò, inizialmente anche con Walter Bodmer, il movimento “astrazione costruttivista”, mai per altro stabilmente organizzato.
Il centro dell’Europa con le sue convergenze, sin dagli anni Trenta, vide Lohse protagonista di cultura, dapprima con un’operazione sottile condotta, dopo aver compiuto gli studi alla scuola artigiani di Zurigo, per lungo tempo come grafico e designer (anche per Max Bill era stato lo stesso), poi allargata all’arte pura e alla teorizzazione. In quegli anni si svilupparono e consolidarono tante personalità che Lohse frequentò; tra esse, Paul Klee, László Moholy-Nagy, Hans richter, adriano olivetti, sophie taeuber-arp, hans Arp, le Corbusier, Antoine Pevsner.
La sua traiettoria pittorica nasce negli anni Quaranta ed è subito arte sistematica, seriale con strutture aritmetiche, tutto sempre in chiave cromatica, e di questa diverrà, con gli anni, il massimo esponente, con una durezza e un rigore inscalfibili.
Gli inizi racchiudono, come sempre avviene, concentrate densamente tutte le intuizioni: poi esse troveranno, nel tempo, svolgimenti più diluiti, dilatati, certamente meno complessi, a volte forse più complicati ma sempre realizzati in innumerevoli varianti per un bisogno di analisi continuo.
Le opere Vertikalrhythmus del 1942, Progressive Reduktion (1942-43) e Zwolf Vertikale und Horizzontale Progressionen (1943-44), sono fondamentali, pionieristiche e di un’attitudine non solo plastica, che è ancora futuro e lo sarà per moltissimo tempo. Di quest’ultima opera Friedrich Heckmanns, in un preciso studio del 1972, puntualizza così il valore: “dodici progressioni verticali e orizzontali è il primo dipinto che produce un principio sistematico ottenuto mediante la successione seriale di standard nell’organizzazione del quadro. La disposizione verticale e orizzontale degli elementi cromatici determina sia la delimitazione logica del campo compositivo sia la prosecuzione di questo principio combinatorio immaginabile oltre i limiti dell’opera. Questa ideazione viene definita da Lohse come forma compositiva dialettica”.
Sia in Neun Serielle Farblinien del 1945, dove il colore è topologico, che nella grande e complessa Zehn Gleiche Themen in funf Farben del 1946-47, dove il colore è scansione, quantità ed equazione, Lohse opera con un cromatismo primario elementare da Hard-edge, una bidimensionalità assoluta della superficie e una fisicità totale del fare pittura, dove “il metodo — egli afferma — si rappresenta: è il quadro”.
Gli interessi anche politici e sociali di Lohse, all’interno del fare e del mondo estetico, lo portano a editare e a dirigere, dal 1947 al 1956, la rivista Bauen und Wohnen e, dal 1959, a coeditore di Neue Grafik.
La sua pittura degli anni Sessanta è orchestrata su registri cromatici tonali: azzurro, rosa, ocra, giallo pallido, che contrappuntavano carminio, porpora, viola, indaco, malva, verdi, bruni, grigi, ma negli ultimi tempi egli ha tenuto lontane queste opere dalle esposizioni e dalle numerose pubblicazioni, anche monografiche, da lui sempre minuziosamente curate e dense di suoi testi teorici, per dare spazio e affermare opere di forte impatto cromatico con accesissime gradualità: gamme primarie, colori puri e accattivanti. La sua problematica strutturale, in precedenza condotta sempre con grande razionalità, anche nelle dimensioni, in un certo momento negli ultimi tempi ha ceduto al fascino della spettacolarità, quando ha realizzato opere di immense dimensioni, senz’altro di grande attrattiva, ma non problematicamente accrescitive: forse ancor di più per un bisogno di affermare il coinvolgimento del puro cromatismo che per un’esigenza di logica mentale. Forse una licenza permissiva dopo una vita severa da calvinista, come egli ha sempre amato definirsi.
Lohse era rigoroso, ma caratterialmente contraddittorio, con manifestazioni umorali inimmaginabili per un artista le cui opere sono state inequivocabilmente strutturali. Ma forse certi uomini sfogano nella vita tutto quello che a fatica riescono a togliere nell’arte: lo spurio, il mutabile, l’eccedente. E il meglio resta nell’arte. Oggi l’opera di Richard Paul Lohse è ancora vitale e presente tra di noi e la sua arte rappresenta ancora il futuro.