Entrando nel foyer del Fridericianum, la prima cosa che si sente è un rumore crescente profondamente inquietante. LAŠ (2018) di Roberto Cuoghi riverbera attraverso l’intero edificio come il suono di una cascata, simile a una sirena antiaerea o a un terremoto. L’opera è parte di una mostra che raccoglie solo alcuni lavori dell’artista: non è propriamente una retrospettiva, quanto una panoramica essenziale su alcune delle ossessioni di Cuoghi.
La mostra non include infatti le prime esperienze degli anni Novanta della sua pratica artistica, che oggi sopravvivono solo come indiscrezioni. Per sette anni Cuoghi ha vissuto come un uomo di mezza età, mangiando a dismisura per aumentare la propria massa corporea, vestendosi come suo padre e tingendosi i capelli di grigio; nel tentativo paradossale di liberare il suo io più vecchio, voleva scomparire crescendo. In un’altra occasione, durante gli anni di formazione presso l’Accademia di Brera a Milano, l’artista si fece crescere le unghie al punto da rendere la sua vita quotidiana quasi impossibile. Per un altro lavoro ancora indossò per giorni interi un paio di occhiali prismatici che capovolgevano verticalmente e orizzontalmente la sua visione. Cuoghi, che si tiene ben lontano dai riflettori del mondo dell’arte, si è guadagnato così la reputazione di autore di opere difficili, suscitando la curiosità di colleghi e curatori affascinati dagli estremi a cui si spingeva.
La mostra a Kassel si concentra sugli ultimi dieci anni della sua produzione, mettendo in primo piano opere che sono state presentate per lo più al di fuori dei confini tedeschi. Il lavoro di Cuoghi è stato esposto tre volte alla Biennale di Venezia, dove nel 2017 ha rappresentato l’Italia e alcuni sostengono che fosse tra i favoriti per il Leone d’Oro – tra le altre istituzioni in cui l’artista ha esposto figurano anche il MADRE di Napoli, il New Museum di New York e il Castello di Rivoli di Torino.
Il suo padiglione alla Biennale è un punto di partenza come un altro, con il vantaggio forse che il suo simbolismo appare più leggibile, quanto meno a prima vista. Per l’occasione l’artista ha creato una catena di montaggio all’interno di una tenda gonfiabile trasparente. La struttura ricorda la tenda da quarantena del film E.T. l’extra- terrestre (1982), ma potrebbe anche essere letta come un richiamo all’architettura di una chiesa. L’installazione intitolata Imitatio Christi (2017) – in riferimento alla devota identificazione con il Salvatore sofferente – era concepita per frammenti del corpo di Cristo realizzati in una materia organica e gelatinosa ricavata dalle alghe e lasciata poi all’azione dei germi. Muffe, batteri e funghi hanno trasformato quei pezzi in residui corporei spaventosamente realistici, la cui pelle tende a squamarsi ricordando le mummie di palude o le sculture tardo-gotiche in tutta la loro morbosa dedizione ai dettagli.
La costante ricerca dell’artista di nuove avventure è caratterizzata da una certa meticolosità. Pensiamo all’opera sonora Šuillakku, presentata per la prima volta nel 2008 e ora adattata per il Fridericianum. Cuoghi ha studiato la caduta di Ninive, saccheggiata nel VII secolo a.C., e ha ricreato strumenti dell’epoca, consultando un archeologo per capire come poter riprodurre i suoni dell’antica musica assira. Ha poi imparato a suonare gli strumenti e li ha registrati creando un paesaggio sonoro che viene riprodotto a un volume ansiogeno attraverso la disposizione circolare di altoparlanti, con rintocchi, urla, scoppi e frammenti di canzoni che si susseguono in un crescendo assordante.
Questo lavoro può essere considerato un parente stretto di LAŠ, che risuona fragorosa e catartica nell’edificio. L’opera è installata in due ampie sale speculari al piano superiore, realizzate in collaborazione con la designer francese Matali Crasset, che ha creato delle strutture a forma di rastrelli gialli e arancioni e delle riproduzioni di macchinari pesanti simili a carri armati che contengono pezzi di Imitatio Christi. Qui sono ospitati anche i granchi in ceramica, Putiferio (2016), che Cuoghi ha realizzato in occasione del soggiorno alla DESTE Foundation a Hydra. L’artista ha costruito sull’isola i propri forni e ha realizzato i granchi utilizzando degli stampi. Ha infine raffreddato il materiale con una salamoia fermentata di lievito, proteine e semi di uccelli.
Per SS(XCVP)c (2019), Cuoghi ha realizzato similmente un enorme granchio in ceramica e un maglione grottescamente oversize, la cui etichetta recita: “MISMATCH / FREE TO GROW”. L’ermetismo ossessivo dei suoi lavori e la sua riservatezza ricordano le mitologie che circolavano intorno agli artisti considerati outsider o il rifiuto di giocare secondo le regole del mondo dell’arte tipico degli anni Novanta. Ciò che viene però facilmente trascurato, è il suo senso dell’umorismo.