Matthew Shields: Da autodidatta, sei parte del lungo e antico lignaggio che annovera Lev Tolstoj, Edgar Allan Poe, Herman Melville, John Cage, Le Corbusier e Mies Van Der Rohe. Per esempio, l’immagine di te che installi la tua prima camera oscura in un campo adiacente al ranch di tuo zio nell’Abbotsford, in Canada, parla di una linea di ricerca distintamente autoreferenziale. Nonostante tu non abbia completato la classica formazione artistica che annovera l’accademia, hai realizzato diversi lavori in campo istituzionale ottenendo così la legittimazione dell’autorità artistica. Ho sollevato questo argomento, perché ho la sensazione di leggere un qualcosa di amatoriale nella tua opera, la figura di un non professionista e i discorsi che lo sottintendono potrebbero giustificatamente incorporare un forte elemento di critica istituzionale.
Rodney Graham: Non sono particolarmente interessato a criticare queste istituzioni sempre più assediate. Sembra piuttosto il momento di unire gli sforzi per raccogliere fondi per conto loro e proteggerle dai cretini della Destra che vorrebbero chiuderle. Inoltre questo segmento del mondo dell’arte non è un soggetto così interessante, non per la maggior parte della gente. Mi azzarderei a dire che è perfino un po’ noioso. Ritornando alla questione del mio essere amatoriale, ammetto di essere meno interessato a questa idea di quanto lo fossi nel passato, quando probabilmente lo avevo leggermente enfatizzato. Mi identificavo con Duchamp e Roussel, che non hanno mai lavorato un solo giorno nella loro vita. Dei veri e propri dandies del XX secolo. Ora ammiro artisti come Picasso o Paul McCarthy, che sono produttivamente super umani, oltre ad artisti che non sono mai stati realmente non professionisti. Loro vendono qualsiasi cosa! Non è stato Roland Barthes a fare un gioco di parole sullo scrittore in vacanza? Sai, lui ha pubblicato un pezzo sul viaggio. Quando penso a questo aspetto, mi accorgo che effettivamente ho ricevuto una notevole formazione professionale, anche se molta di essa è avvenuta sul posto di lavoro come apprendista, sia con Ian Wallace che con Jeff Wall. Sono stato fortunato da questo punto di vista. Detto ciò, tempo fa ho realizzato un lavoro intitolato Gifted Amateur, su un professionista di mezza età in crisi, che a un certo punto scopre Morris Louis e decide di concedere a questo tipo di pittura una chance perché sembra divertente e facile, almeno paragonabile ad altri tipi di pittura.
MS: Parlando dei cretini di Destra, come sei arrivato a fare un malocchio a George W. Bush? È stato più esplicitamente politico dei lavori precedenti nonostante fosse strettamente didattico e dissimulato dalla retorica di Antonin Artaud; un’opera ermetica, una sorta di scarabocchi simbolisti che all’epoca ti interessavano.
RG: Non ricordo quale fosse la formula esatta, ma ha funzionato perché ora sta scontando l’ergastolo in una prigione di massima sicurezza.
MS: Quando guardo a My Late Early Styles (Part I, The Middle Period), 2007-2009, immediatamente mi ritorna in mente il lavoro del pittore Johan Zoffany, in modo particolare The Academicians of the Royal Academy, 1771 e Tribuna of the Uffizi, 1772-78. Questa associazione è appropriata dato il tuo interesse al contesto fisico, allo studio degli accademici, ai laboratori occidentali, all’osservazione empirica. Potresti riesaminare per noi la tua evoluzione dall’essere stato un artista fortemente concettuale, un artista che potremmo definire post-studio (nel senso che non ha bisogno né desidera lavorare al chiuso di uno studio, ndt) fino al tuo attuale interesse per i miti dello studio?
RG: Io credo che questo accada abbastanza spesso — una mistica epifania a Venezia quando ho visto un’enorme scultura policroma di Jeff Koons che faceva sesso con la sua ex fidanzata, un’attrice porno, e con un membro del Parlamento. Aveva realmente alzato il tiro. Ho pensato che fosse l’ora di provare a scalare la vetta, che lavori come questo danno la sensazione a tanti artisti concettuali di sentirsi inefficaci. Come Pete Townsend ed Eric Clapton quando hanno ascoltato per la prima volta Jimi Hendrix! Se non ricordo male ho fatto Vexation Island dopo questo, un lavoro che riguarda tanta speculazione finanziaria. Ci ho messo dentro ogni cosa e ne è venuto fuori un successo. Era un periodo molto divertente e mi sono trasformato per realizzare lavori con un appeal più popolare. E non so come, ma mi ha condotto alla pratica in studio.
MS: Pensi che la tua epifania Made in Heaven abbia stimolato un latente, se non ambivalente esibizionismo forse represso nei tuoi primi testi e sui libri, in cui il tuo nome era sinonimo di autore e ha segnato il tuo passaggio verso l’autoritratto e la performance di Halcion Sleep (1994)?
RG: Sì. Avevo pensato di realizzare alcuni pezzi anni prima e ho rivisto l’idea perché non ne avevo altre e all’epoca ero un po’ depresso. Devi continuamente andare avanti anche se quello che stai facendo riguarda un vecchio e abbandonato progetto. Alla fine di certo mi ha aiutato e mi ha fatto approdare a Vexation Island che, essendo un successo, mi ha aperto altre strade.
MS: Ritornando all’argomento dello studio, puoi parlarci del tuo interesse per l’idea di un’attività artistica all’interno di uno spazio particolarmente ristretto? Per esempio, il tuo riferimento a Morris Louis che ha prodotto nel soggiorno di 4 mq di casa sua a Washington D.C. degli “unfurled” monumentali (pennellate di colore su enormi tele, ndt). Mi ricordo inoltre di Coruscating Cinnamon Granules del 1996, un film girato nella tua cucina e proiettato in una stanza delle stesse dimensioni della cucina. Forse si crea una lotta per aggiungere una sorta di congruenza alla mescolanza delle aspettative familiari, domestiche nell’atto di fare arte. Questa fusione economica della casa e dello studio serve spesso da radicale interruzione dei comportamenti domestici codificati.
RG: All’inizio ero interessato a Morris Louis a causa di questo aneddoto. Non so perché in realtà. Io personalmente ho lavorato a casa per anni, perché non potevo permettermi uno studio, e perché, realizzando arte concettuale, non ne avevo bisogno. Sinceramente non ho mai pensato alla connessione fra la cucina di Morris Louis e la mia. Ma questo ha senso. Mi fa piacere che la mia cucina possa essere in qualche modo associata alla sua.
MS: I quotidiani storicamente accurati in The Avid Reader 1949, 2011, sono nel formato A4 in una risoluzione talmente così alta che il testo risulta perfettamente leggibile. Di conseguenza, nuove storie del 1949 in questo caso sono diventate piccole narrazioni incorporate nel contesto narrativo più grande dell’immagine. Ci puoi parlare del tuo interesse e dell’uso dei quotidiani di metà secolo scorso in The Avid Reader 1949? Sono affascinato dalla superficie del testo che è essenzialmente non verbale nel suo modo di comunicare.
RG: Volevamo essere sicuri che la maggior parte del testo fosse leggibile perché era così importante per questo lavoro. La composizione di per sé non era poi così entusiasmante. Il lavoro richiedeva che tu venissi assorbito dalla lettura e dalla luce brillante. Avevo utilizzato i giornali nello stesso modo in The Gifted Amateur. Anche qui sono impiegati in qualcosa di diverso della loro normale destinazione d’uso, ma lo spettatore è invitato a leggerli di nuovo, in un altro contesto, come detriti, o qualcosa che serve per coprire il parquet o nascondere cosa c’è dentro un negozio.
MS: Mentre nel passato hai assunto delle posizioni reclinate e di decubito, il movimento viene smontato più espressamente in Dance!!!, 2008, e in The Leaping Hermit, 2011. Puoi raccontarci del tuo recente interesse verso la gestualità e la danza?
RG: Hai ragione sul mio avvicinamento alla danza. Non so perché realmente, ma sto lavorando a una piéce su un vecchio maestro — un soggetto che mi è stato suggerito da Shannon Oksanen. Sto utilizzando alcune immagini di Balanchine della fine degli anni Cinquanta dove riprende la coreografia di Orpheus che concepì con Noguchi. Io sto creando una mia lira in stile anni Cinquanta ispirata all’arpa di Star Trek, alla chitarra di Prince come a quella di Picasso.
MS: Solo pochi altri artisti contemporanei hanno sfruttato le strutture mise en abyme come hai fatto effettivamente tu. Ci contestualizzi nel tempo il tuo interesse per la mise en abyme? So che fin da giovane eri attratto dalla scrittura di Foucault o da Las Meninas di Velásquez. Dovresti inoltre avere visto la copertina di Ummagumma nello stesso periodo. In che modo le strategie della mise en abyme fanno parte, per esempio, di un’opera quale Paradoxical Western Scene, del 2006?
RG: Mentre seguivo il corso di Antropologia Strutturale ho scritto un saggio sull’analisi che fece Foucault su Las Meninas; pensavo che fosse ben fatto ma in realtà ricevetti semplicemente un voto mediocre. Avrei potuto contrattare sul voto, che in fondo è quello che fanno oggi gli studenti, essendo più svelti. Molti di noi durante gli anni Sessanta erano più rispettosi dell’autorità che esercitavano i professori. Ho sfruttato questa attitudine per ottenere degli effetti comici in lavori quali Paradoxical Western Scene che è un pastiche di due cover, una di Marty Robbins e l’altra di Peter Sellers. Sono stato influenzato da numerose cover di album, ma mai da Ummagumma. Quella di Country Life dei Roxy Music per esempio ha parzialmente influenzato le mie 75 Polaroid: l’originale canadese credo mostrasse la fotografia di una macchia di arbusti. L’originale inglese aveva invece l’immagine di due donne inquadrate con biancheria intima, penso, da Brian Ferry, ma all’epoca venne censurata. Anche Authorization di Michael Snow ha influenzato Paradoxical Western Scene.
MS: Così, invece di aprire un buco nero che inghiotte la certezza epistemologica con una mis en abyme, avresti invece preferito che lo spettatore ridesse di fronte a certe implicazioni comiche? Tutto ciò ha un senso, gran parte del tuo humour sembra derivare da Freud, generando allegria ed esprimendo l’inibizione precedentemente repressa. Ci parli de Il motto di spirito e della sua relazione con l’inconscio di Freud, un libro che, fra gli altri, una volta hai messo sugli scaffali in stile Donald Judd. Forse non tutti sanno che sei un appassionato di Freud e tempo fa ti sei preso una vacanza dall’arte e hai trascorso giorni interi tappato in libreria a studiare i suoi scritti.
RG: In realtà ho studiato uno dei sogni pubblicati da Freud nel suo volume Sogno della monografia botanica. Ora non mi interesso più a queste cose. Il gioco più interessante era quello dell’affaire Sokal e quando ha dimostrato nel suo libro che la teoria lacaniana dei nodi si basava quasi esclusivamente sulla totale ignoranza dei più basici rudimenti di topologia, ed era quasi assolutamente fraudolenta: divertente. I capitoli su Julia Kristeva e Deleuze erano incredibili. Questo libro dovrebbe essere caldamente raccomandato agli studenti. Mi avrebbe aiutato se guardo indietro. Mi piacciono molto queste pubblicazioni che riducono in poltiglia certi intellettuali parigini del tutto fasulli. Su questa linea si attesta in modo impressionante il libro di Tony Judt su Sartre e la filosofia francese post-bellica. Stai semplicemente scuotendo la testa tutto il tempo.
MS: Recentemente hai scritto un testo su Robert Smithson, Brain. Potresti darci maggiori delucidazioni su quello che sembra un lavoro in un certo senso oscuro?
RG: Il testo su Smithson è stato modellato su uno precedente di Barthes, Mitologie. Io non ho il testo ma ricordo di avere utilizzato il cervello del corallo come analogia. Mi sono imbattuto nel cervello del corallo proprio nell’isola in cui ha girato Vexation Island e Shannon mi ha fotografato mentre lo guardavo. In seguito ho trovato una foto identica di Glenn Gould mentre guardava il cervello. Che emozione!
MS: Numerosi critici hanno notato che il pallet turchese-verde e lo scenario notturno della cucina di Lighthouse Keeper with Lighthouse Model, 1955 (2010) parla formalmente di Insomnia (1994) di Wall. Dialogavi consciamente con Wall come in Fantasia for Four Hands (2002) o gli elementi correlati non erano intenzionali?
RG: Mi ricordo che una volta Jeff Wall mi ha paragonato spiritosamente a Elephant Man quando nel film lavorava su un particolare di un modello della chiesa vicino alla sua prigione/ospedale. Quella era una buona battuta e mi è rimasta impressa. Non ho mai pensato alla connessione della luce del pezzo con la casa di Insomnia ma suppongo dovesse essere lì. Come per Fantasia riesco a malapena a negarlo.
MS: Ci puoi parlare della tua relazione con il grande Dan Graham? Una volta hai detto che gli devi molto, come la“Scuola di Vancouver” in generale.
RG: Sia Ian che Jeff hanno invitato Dan tantissime volte a scuola e alla Simon Fraser University. Rappresentava il nostro punto di contatto con New York ed era sempre una grande fonte di ispirazione per i giovani artisti. Ultime notizie: si è appena sposato!
MS: Da un po’ di tempo si è riaperto il dibattito sulla supposta “morte dell’underground”, un esempio più recente è la conversazione fra Ian Wallace e Nicolas Bourriaud al Western Front. Bourriaud sosteneva che l’undergound degli anni Sessanta e Settanta funzionava in senso verticale, che è emerso dalle profondità verso l’alto, mentre oggi assistiamo a un overground con un andamento particolarmente orizzontale. Parlava, per esempio, della differenza fra l’eminente accessibilità della musica oggi rispetto a quella che ascoltava quando aveva quattordici anni e viveva in Francia, dove i dischi delle band inglesi che adorava, Joy Division, Throbbing Gristle e Cabaret Voltaire, erano abbastanza “inaffidabili”. Il punto era che doveva uscire da questa linea, rintracciare le connessioni e ordinare i dischi via posta. Certamente l’arte contemporanea ha acquisito molta più professionalità rispetto a quando tu incontravi i compagni bohémien durante i salon improvvisati per discutere di Eustache, Rohmer, Buñuel, Fassbinder, Antonioni ecc.
RG: Sì, e i Beatles dovevano comprare i dischi R&B dai marinai di Liverpool. Ora li abbiamo tutti su YouTube, il che è un bene. Ma si possono ancora affascinare gli amici con qualcosa di originale: “Ce l’ho in vinile”. Non ci si dovrebbe lamentare veramente della professionalizzazione dell’arte. Gli artisti devono sopravvivere. Ai miei tempi era molto più semplice rispetto a oggi. E ancora ci lamentavamo
MS: Il cinema di quegli autori mi ricorda quanto al contrario siano attualmente limitate le condizioni del cinema. L’arte contemporanea certamente offre una visuale alternativa ai film sperimentali, ma mi chiedo se precluda l’utilizzo di alcuni medium possibili. È difficile immaginare un altro Fassbinder che dirige un film come Martha per la televisione di oggi come fece nel 1974. Ho posto l’accento su questo argomento perché hai espresso alcune riserve sull’abitudine di oscurare la galleria per simulare l’ambiente teatrale nelle tue conversazioni con Dan Graham. Hai lavorato meno con i film di recente, eccetto il notevole The Green Cinematograph (Programme 1: Pipe smoker and overflowing sink), 2010, in cui fai ricorso all’effetto Kulešov.
RG: I lavori basati sul tempo sono un problema — chi ha pazienza al giorno d’oggi. E le colonne sonore dei film sono intrusive rispetto allo spazio meditativo della gente che vuole guardare un quadro astratto su cavalletto (sto scherzando… più o meno) e, oh no, un’altra stanza scura. Dov’è la panca? Ho lavorato meno con i film per questa ragione e perché in realtà non ho alcuna idea a riguardo. Ho realizzato il film verde pensando di poter continuare, ma non sono riuscito a venirne a capo con uno blu o uno rosso. Ne avrei fatto felicemente un altro se fossi riuscito a realizzarne uno veramente buono, nonostante le mie riserve sull’oscurare gallerie e spazi museali meravigliosamente luminosi.
MS: È abbastanza noto che ti piace frequentare negozi di antiquariato e di dischi sia a Vancouver che quando viaggi. Una schiera di oggetti scoperti in questo modo è apparsa in alcuni lavori (Rheinmetall/Victoria 8, 2003; Torqued Chandelier Release, 2005), mentre altri ti sono stati utili come riferimento. Per esempio il pamphlet francese del XIX secolo, Epinal, The Pleasure of Being Called Messier, che hai trovato in un mercatino delle pulci a Parigi ha influenzato in seguito Country Self/City Self, 2001; in Freud’s Clinamen un saggio che hai scritto insieme con il progetto “Münster Sculpture” hai dichiarato: “Questo clinamen è in rapporto con il minimo fisico del flâneur. Se quest’ultimo trae ispirazione dalle città enormi, dal ‘coarcervo delle loro interrelazioni’ (Baudelaire), dove si trova la vera possibilità delle corrispondenze, se non in un’imprevedibile sterzata dell’attenzione, dello sguardo che vira, nell’improvvisa declinazione dello sguardo”?
RG: Sì, mi sto dirigendo nella regolare stradina del flâneur, traendo inspirazione dalle strade principali intorno a me. È doloroso leggere il “testo clinamen”. Per questo motivo odio scrivere: la merda così viene a galla! E ciò avviene quando sono sotto l’influenza di certi scrittori francesi ora senza credito.
MS: Hai descritto il protagonista di Leaping Hermit, 2011, come “un vecchio hippie che ha rinunciato al mondo e si è ritirato nel suo, un giardino decadente”. Questo lavoro è parzialmente un’allegoria di chi è in esilio o di coloro che si sono autoreclusi dopo l’implosione del progetto utopistico degli anni Sessanta?
RG: Penso di sì.Comunque vengo influenzato anche dai blog di moda come The Sartorialist. Della serie: “Wow questo vecchio ragazzo ha un certo stile. Dove ha trovato questi pantaloni?” In realtà li avevo fatti fare con una stoffa particolare. Come per l’eremita di Quidnet, ho beccato una sua foto mentre facevo delle ricerche per il mio pezzo sul guardiano del faro. E ancora ora puoi vedere il suo tugurio all’interno di una rivista di design pubblicato come esempio di casa chic decadente. Penso di avere avuto l’idea della mia scultura di cucchiai pendenti da qualcosa che ho visto in casa sua.
MS: Molte delle tue scatole luminose sono così monumentali che Lynne Cooke ha notato che posseggono una certa connessione con i diorami o i panorami della metà del XIX secolo. Allo stesso tempo però i tuoi dipinti fino a ora sono stati di dimensioni ridotte. Perché hai scelto di lavorare in primo luogo dentro i dettami del cavalletto?
RG: Li ho realizzati perché sono molto più facili e ci vuole molto meno tempo. Ne avrei realizzati di più grandi se avessi potuto — be’ uno l’ho fatto (Inverted Drips), alcuni sono 2 x 3 metri circa — ma le astrazioni più piccole sono state pesantemente impastate prima di prendere forma (attraverso il fallimento, dopo il fallimento).
MS: Potresti analizzare la dialettica che si è sviluppata fra Duchamp e Picasso durante il XX secolo? Hai detto che l’introduzione alla pittura nella tua pratica è un’investigazione del cubismo analitico di Picasso che ti ha portato a un ulteriore passaggio metodologico lontano da Duchamp in direzione di Picasso.
RG: Sono appena arrivato da Madrid dove ho visto la mostra su Raymond Roussel in cui ho alcuni lavori e mi ha fatto pensare ancora all’intera tradizione fuori da Roussel di cui Duchamp è stato il primo rappresentante, e mi ci ritrovo di nuovo. C’è un buon saggio di Annie Le Brun molto anti-Foucault, diciamo che l’interpretazione di Roussel di Foucault. Roussel è stato fondamentale per me, quando ero studente, essendo stato introdotto a Impressioni d’Africa da Ian Wallace. Abbiamo iniziato questa intervista sei mesi fa e da allora penso di avere cambiato idea. Mi piace ritornare alla tradizione ermetico-aristocratica di Duchamp e Rousssel, che veramente gli ha insegnato tutto, e a chi in parte devo la mia decisione di diventare un artista invece di uno scrittore o altro.
MS: Come sai, qualche anno fa a John Baldessari è stato chiesto chi pensava fosse il più importante o influente artista contemporaneo a cui si ispirava, e lui ha risposto “Rodney Graham”. Se ti fosse stata rivolta la stessa domanda, cosa avresti risposto?
RG: Cosa posso dire se non Mike Kelly, l’allievo di Baldessari. La sua morte è stato un vero schock. L’ho incontrato solo una volta o due nel passato, ma ammiro veramente il suo lavoro. Come artista non puoi non essere un po’ geloso della sua intelligenza così brillante. Mi sento onorato che abbia messo in scena la mia performance Lobbing Potatoes at a Gong, durante un festival del rumore che organizzava. Ma non si è limitato a lanciare le patate, le ha letteralmente scagliate.