La mappa della creatività a Roma disegna un intricato organismo fra politica, riassetto urbanistico, opere architettoniche e terziario avanzato. La città non è più quella che tanti ricorderanno fino al 2001, quando il senso del nuovo risiedeva in pochi spunti senza fluidità organica. Oggi permangono i problemi di una metropoli controversa, incoerente, talvolta distratta ma anche aperta al confronto, concreta, internazionale. Proprio la sinergia organica dei linguaggi urbani, sulla scia di un fattivo Veltroni, sembra la principale novità che attraversa intrattenimento e cultura. Basti pensare ad alberghi, ristoranti, negozi, centri benessere, concept-store, design-store, club musicali e librerie di recente apertura. E poi ci sono i musei, le nuove gallerie, le fondazioni, un’Ara Pacis multifunzionale, un Auditorium esemplare, la nuova fiera di Roma, la futura area degli ex Mercati Generali. Per non parlare dei festival (Romaeuropa, Dissonanze, Letterature, Enzimi, FotoGrafia, Festa del Cinema, RomaFictionFest, Festival dell’Innovazione, ecc.), di un Eur che sta diventando luogo per la cultura (Palazzo dei Congressi e Dissonanze rappresentano uno dei migliori connubi mondiali tra architettura e musica elettronica). Bisogna ancora fare molto, potenziando le professionalità e il dialogo tra aziende e politica, snellendo le burocrazie, tutelando gli investitori privati e la qualità sostanziale. La città è comunque un propulsore che vede crescere molteplici scenari: editoriale (Castelvecchi, Fazi, Cooper, Einaudi Stile Libero, Minimum Fax, Fanucci, Orecchio Acerbo…), musicale (c’è qui una notevole scena elettronica), didattico (la Domus Academy apre una sede in città), comunicativo, tecnologico. Ci sono riviste che affrontano la creatività in modo aperto: Next Exit, Fefé, Drome, Stirato, Nero, Inside Italia, solo per citarne alcune. Svariati designer sperimentano nuovi approcci con la moda (Soft Core, FQR…), così come il design sta trovando uno spazio meno marginale (il duo Paolucci & Statera e l’evento Romad+ meritano una particolare segnalazione).
Per raccontare il recente scenario artistico bisognava darsi un’origine. E la più naturale non poteva essere che il tempo, segnalando coloro che sono emersi dopo il 2002, con l’entrata in vigore della moneta europea e il conseguente riassetto dei fattori etici, culturali ed economici del vecchio continente. La scena creativa, pur nella disomogeneità di proposte e risultati, risulta uniforme su alcuni punti: la ricerca di un immaginario dai solidi contenuti figurativi, l’applicazione delle nuove tecnologie a una realtà più fisica che virtuale, l’apporto di una buona memoria storica, e si arricchisce della presenza di artisti che, pur provenendo da altri linguaggi, conoscono la struttura iconografica. Pensiamo all’esperienza targata Why Style, uno dei collettivi che meglio ha compreso il passaggio strategico dal muro ai rinnovati approcci comunicativi.
Stand, Nico, Pane, Joe e Scarful dipingono su oggetti ed elementi urbani, ma anche su quadri più canonici, esaltando una figurazione flat che tocca feticci, metropoli, simboli e controculture del meccanismo generazionale. Un approccio che ci introduce al lavoro di Drago Arts & Communications, casa editrice e laboratorio creativo sintonizzata sulla nuova Street culture e sui sistemi culturali indipendenti. Molte proposte romane attraversano illustrazione, musica, cinema e altri linguaggi dominanti, a conferma di traiettorie “sporche” in cui le creatività rispecchiano una città contaminata per natura. Dal fumetto hard giunge Thomas Bires, autore di un extreme pop, con personaggi tra Robert Crumb e Salvador Dalì. Cesko, scoperto con la mostra del 2005 da Mondo Bizzarro, disegna digitalmente i suoi bad boy tra fumettismo californiano e illustrazione giapponese. Tommaso Medugno, già autore di copertine per Minimum Fax, disegna ragazzini dagli occhi pallati in situazioni più o meno conflittuali. Da segnalare Jonathan Pannacciò, diviso fra una pittura di ambigue forme flat, l’apertura di una librogalleria e i progetti audiovisuali sotto il nome Mag-nesia. Dalla musica elettronica ecco Tiziano Lucci, artista digitale che elabora immagini dalla stratificazione esasperata, un modo quasi antico nel decostruire una fotografia iniziale e renderla lo specchio estremo dei processi cerebrali. Dal cinema segnaliamo Philippe Antonello, principale fotografo di set cinematografici italiani ma anche artista con un’identità fotografica da approfondire. Sempre dal cinema si sta affermando Carola Spadoni, già ben posizionata con una videoarte installativa dalle narrazioni stranianti ed essenziali. Attore, regista, autore e artista, Antonino Iuorio realizza lavori su carta o in chiave digitale, inventando personaggi assurdi tra la fiaba perversa e la fantasy più contaminata. Tra moda e arte si muove il progetto “Fatima Blanche” con la sua protagonista Gina, femmina dalle labbra ipersiliconate che incarna molteplici gender e diventa disegno, pittura, ma anche magliette, borse, slip. Il tutto in vendita nello spazio FB Project, shop-galleria dove arte e moda parlano la lingua del progetto. Da segnalare un altro recente project-store tra arte e vestire: è Temporary Love, con pezzi unici di giovani artisti che espongono i loro quadri assieme al progetto nato per l’occasione. Dal design arriva invece Stefano Canto, sperimentatore di materiali riciclati che costruisce sculture e installazioni di forte impatto e lucido messaggio morale. Già impegnati nel mondo delle campagne pubblicitarie, ecco due fotografi dall’intrigante personalità figurativa: Stefano Cerio, che affronta temi anomali in maniera spiazzante. Tre esempi? Machine Man e i robot giocattolo nei contesti urbani, Codice Multiplo e i doppi gemellari nella città e nei laboratori di ricerca, Sintetico Urbano e il kitsch post-urbano fra cimiteri per animali, negozi di lampade e altri luoghi assurdi. Arash Radpour si muove tra i due principali temi fotografici, corpo e paesaggio, con densa energia iconografica. Le sue immagini si caricano di tensione e agiscono come catalizzatori emotivi, in una sorta di apparizione chiaroscurale dalla metafisica teatrale. Scorrendo i nomi che meglio rappresentano la recente proposta, vediamo la solita costellazione di pianeti autonomi senza orchestrazione tra le parti. La pittura è comunque uno dei principali canali propositivi, talvolta con esiti poco scontati per approccio e stile. Manfredi Beninati si conferma una delle presenze più mature sul territorio romano.
La sua pittura, completata da installazioni, sculture e collage, mescola vecchie memorie familiari con irruzioni estetiche nel fantastico, nella magia cromatica, nel baluginio di luci e vertigini visive. In generale si gira attorno ai temi aperti della figurazione, talvolta con piccole ottusità rispetto alle riflessioni internazionali, ma con modi “isolati” che in alcuni casi pagano. Mauro Di Silvestre, ad esempio, usa le matrici di una tipica figurazione realistica con un’aggiunta determinante: lascia sfumare le immagini in una dissolvenza incrociata, giocando con eleganza tra un passato neorealista e un presente di ombre vive. Alessandro Scarabello si focalizza su uno stile espressivo per affrontare il mondo extracomunitario, la povertà sociale e altre storie dalle dure connotazioni etiche. Per Pietro Ruffo il quadro significa affrontare alcuni grandi temi (le disuguaglianze sociali, il disagio psichico, la trasformazione dei territori) attraverso un minuzioso disegno a grafite, ma anche attraverso ulteriori linguaggi che completano la sua visione panoramica. Talvolta la pittura si formula con materiali alternativi, come nel caso di Luca Guatelli, che compone parole e immagini con l’ossessivo utilizzo degli spilli su tavola o tela. O come nel caso di Pierluigi Febbraio, coi suoi disegni tra l’infantile e l’iperrealismo, realizzati usando olio, malta micacea e pennarello. Per Nicolantonio Mucciaccia, invece, il disegno e la pittura si mescolano con luci al neon e telai di forte presenza fisica, dando alla visionarietà interiore un contenuto estetico di giusta attualità. Non mancano gli artisti che mescolano svariati media in un’indagine d’impegno analitico e coscienza morale. Rocco Dubbini scruta le anormalità apparenti e le trasformazioni del corpo, spiazzandoci per il modo con cui elabora le molteplici versioni dell’alterità. Silvia Iorio guarda ai rapporti tra arte e scienza, cercando nell’opera il paradosso e l’errore, il caso e il caos. Daniele Jost si focalizza sulla memoria contenuta nel paesaggio, muovendosi tra il realismo della fotografia e l’invenzione di elementi talvolta sovrimpressi sulla foto, talvolta installativi. Franco Losvizzero ricicla vari materiali per le sue sculture semoventi e parlanti, sorta di robot poetici in cera e plastica che agiscono come inconscio visibile (e ascoltabile). Davide Sebastian fotografa e rielabora digitalmente la natura per notare i cambiamenti del paesaggio nel suo intreccio esasperato con la tecnologia. Luana Perilli cerca nella forma spuria il senso della memoria familiare, dell’intimità femminile, del diario, tra cultura popolare ed esperienza soggettiva.
Una Roma, insomma, che cresce in modo instabile ma continuo. Una città dove oggi accadono molte cose: alcune dispersive, altre sottovalutate, altre ancora di adeguato peso culturale. I veri risultati di tanto dinamismo li vedremo però tra qualche anno, quando la rete museale e il lavoro dei privati si saranno stabilizzati attraverso l’esperienza internazionale, la crescita politica (speriamo) e la consapevolezza dei nuovi meccanismi comunicativi. Per adesso, tra una novità e l’altra, godiamoci la spinta di questa piacevole maturazione.