Ryan McGinley inaugura la sua prima personale in un’istituzione italiana. A partire dal 19 febbraio, negli spazi di GAMeC, il fotografo, conosciuto anche per essere stato il più giovane, all’età di 23 anni, a inaugurare una personale al Whitney Museum of American Art, chiede di dimenticare. Ricordando diversamente. Il suo lavoro che ha sempre orbitato attorno alla cultura della quotidianità, assorbita attraverso amici e familiari nel Lower East Side, per poi transitare sugli effetti estetici della presenza dell’uomo nel paesaggio, a Bergamo si concede enormi squarci sulla natura. Un fondale a sua volta svelato, denudato dall’avvicendamento delle quattro stagioni e dall’incedere, in esse, del corpo umano. “The Four Seasons” curato da Stefano Raimondi si presenta come un percorso in cui paesaggio e sguardo pongono, in persistente dimensione metaforica, ogni tipo di nudità, posta a diretto contatto con la terra. La rappresentazione della natura, nelle fotografie digitali, suddivise per stagioni, si manifesta qui come rivestimento di una funzione più ampia, figurativa e artificiale del linguaggio di McGinley arrivando a centrare l’essere uomo, colto in stato di stasi trascendente.
Ginevra Bria: “The Four Seasons” potrebbe essere considerata una sorta di dichiarazione di poetica che introduce per la prima volta la tua nuova serie in un’istituzione italiana? Quale tipologia di evoluzione, di trasformazione questi lavori rappresentano, rispetto a The Kids Are Alright (1999)?
RMcG: È sempre sussistita una sensibilità poetica nel mio lavoro e ritengo che il pubblico europeo sia, solitamente, molto più familiare a questo tipo di lettura e ad una sua più immediata comprensione. The Kids Are Alright così come la maggior parte dei miei primi lavori erano tutti di stile documentale, realizzati completamente e in ogni loro parte nella città di New York, mentre invece tutti i lavori che mostro in “The Four Seasons” ha implicato un lungo progetto di preproduzione ed è stato realizzato totalmente in immersione nella natura. Ogni stanza rappresenta una differente stagione e in sé interpreta una palette di colori davvero disparata. La primavera risulta pre- valentemente tenue, color pastello; l’estate è ricolma di verdi brillanti e marroni chiari; l’autunno è ricco di rossi e gialli, mentre l’inverno consiste di sfumature fredde di blu, di grigi e bianchi. Ritengo che la mia serie “Inverno” rappresenti la più grande partenza, il più grande distacco dal mio primo lavoro, anche qui, però, questa tipologia di fotografie di nudi, esposti alle più estreme condizioni invernali, non è mai stata realizzata da nessuno prima d’ora.
GB: Che cosa significa per te Romanticismo? Quali tipologie di ispirazioni, di temi, valori, sensibilità, o semplicemente cromie compongono il tuo immaginario romantico?
RMcG: I dipinti del periodo Romantico sono sempre stati di grande interesse per me e hanno avuto un’influenza significativa sul mio personale processo di image-making. I lavori, i paesaggi di Caspar David Friedrich e William Blake sono sempre stati tra i miei preferiti. Sovrapposto alle mie fotografie, il Romanticismo si rivela come modalità di creare immagini che conservano un senso di mistero e di spiritualità; si verifica sempre un qualcosa, un effetto romantico e trascendente, quando si pone un corpo nudo nel mezzo della natura, ma la sfida risiede nel realizzare una fotografia che non sente disagio e che percepisce il registro naturale, permettendo, allo stesso tempo, allo spettatore di ricostruire la propria storia attraverso una sorta di adesione con il modello scelto per la foto.
GB: Secondo quali modalità “The Four Seasons definisce un’idea di istinto umano? Può un corpo rilucente, stagliato contro la natura selvaggia, definirsi come metafora di un ritorno alle origini e messaggero della terra?
RMcG: Sono stato allevato da una madre Cristiano-Cattolica che è andata ogni singolo giorno in chiesa per cinquant’anni. Cresciuto in questo tipo di ambiente familiare, devo riconoscere che è ancora questo, in ultimo, a nutrire ancora, e così tanto, il mio immaginario, sembra impossibile, nonostante tutto, che io ne sia rimasto immune, insensibile alle parabole della Bibbia e ai suoi paesaggi. Per non citare il ricordo rimasto impresso delle meravigliose vetrate delle chiese e dei Gesù quasi nudi ritratti ovunque. Ma il mio lavoro, ovviamente, è meno radicalizzato riguardo alle origini; è meno legato a qualsiasi metafora di questo tipo, essendo più connesso a quel che esiste in tutti i differenti ambienti, una sorta di impressione di come l’uomo attraversando la natura possa tornare ad essere selvaggio, natura.
GB: Potresti cortesemente descrivere se sussistano connessioni multidisciplinari che da sempre tu sembri aver stabilito con la musica (da Vivaldi, all’Indie Rock, all’Underground)? Quale tipo di musica solitamente ascolti mentre lavori?
RMcG: Il mio fidanzato è un violinista specializzato in musica barocca, per questo motivo ascoltiamo moltissimi brani classici da Vivaldi a Bach. Vivendo in centro a New York, inoltre, vado spesso a molti spettacoli, a molti concerti e tanto le band quanto i musicisti rappresentano una grande parte della comunità che frequento, facendo parte della cultura del centro città, in generale. Io, inoltre, molto spesso fotografo musicisti — anche se spesso sono ragazzi, quelli che seleziono, per i miei servizi in studio, oppure personaggi come Beyonce, Lady Gaga, Katy Perry o Sigur Ros che richiedono specificatamente di lavorare con me. Sul set faccio pesantemente, costantemente affidamento sulla musica per stabilire una sorta di umore collettivo e pe fornire una colonna sonora alla serie di scatti.
GB: Come descrivere, invece, il tuo sguardo nei confronti dell’ambiente, sfondo necessario a caratterizzare le tue foto, come Red Beetle (2015), Big Leaf Maple, Sugar (2015), I-Beam (Bolt)? In quale misura le strade violente e la natura più incontaminata influenzano i soggetti umani da te immortalati?
RMcG: Trovare il luogo ideale per lo shooting è sempre stato fondamentale per tutte le mie fotografie. Viene sempre dedicato molto tempo all’organizzazione e alla ricerca del set. A nord di New York guiderei, perdendomi, per ore alla ricerca di punti ideali che possono sembrare mai scoperti e mai visti, oppure mai fotografati prima. La cromia, inoltre, è sempre molto importante, così come la luce perfetta, che molto spesso significa attendere l’ora magica. Con Red Beetle e Big Leaf Maple, ho trovato location piene di vita e poi ho deciso che sarebbero state inserite al loro interno quelle persone, immerse in magnifici paesaggi. D’altro lato, alle volte, mentre stavo cercando il luogo più giusto sono accidentalmente incorso in qualcosa di inatteso e speciale — amo chiamare questi momenti piccoli doni. Nel caso di I-Beam (Bolt) il mio rapporto con l’ambiente ha significato trovare trasporti speciali che reggessero il peso di enormi travi in cemento armato, elementi che si giustapponessero all’oggetto industriale in sé con un corpo nudo che correndo lo avrebbe attraversato. Ma questo è solo un esempio di uno delle nostre più spontanee serie guerrilla-style, dove tutto necessita di essere svolto ed eseguito molto rapidamente.
GB: Se plausibile, all’interno dei capitoli di “The Four Seasons”, quale ti risulta più affine, più vicino alle tue attuali visioni e riflessioni sulla vita? Ti è mai capitato un episodio, un aneddoto, durante i tuoi shooting, nel quale, come umano, sei stato costretto a forzare i tuoi limiti fino all’Assurdo?
RMcG: Primavera e estate sono sempre le più semplici da fotografare, perché il clima è tipicamente più caldo ed è molto più confortevole rimanere all’aperto. Qui la sfida consiste nel provare a lavorare contro il verde, che ramifica ovunque, e nel cercare di fare emergere altri colori. L’autunno implica sempre l’essere alla ricerca di colori brillanti e spinge a voler abbracciare pienamente quella natura che sta morendo, che sta decadendo attorno a te. L’inverno realmente, veramente significa spingere ed immergere sé stessi fino all’Assurdo, arrivando a nuovi limiti, dato che il tuo corpo fisicamente, percettivamente si attiva contro di me quando attraverso e provo condizioni così estreme. Ma ultimamente, questo si verifica quando vantaggio e risultato devono essere i migliori. Personalmente non ho mai visto fotografie come quelle realizzate l’inverno scorso e ritengo che realmente noi si sia riusciti a fissare uno standard elevato, creando un punto di riferimento rispetto a quel che si può comporre in un ambiente tanto avverso.
GB: Potresti cortesemente esprimere un desiderio o formulare un pensiero che accompagni il visitatore attraverso gli scorci di “The Four Seasons”?
RMcG: Il Romanticismo riguarda una precisa ricerca di significato, di Dio, di me stesso, GOD inoltre per me rappresenta anche l’acronimo di Great Out Doors.