Andrea Viliani: Il processo, nella tua pratica artistica, adotta e definisce un protocollo, una metodologia, che ha la stessa rilevanza del risultato finale. Puoi descrivere come hai applicato il tuo processo di campionamento e registrazione durante la ricerca che hai condotto al Parco Archeologico di Pompei, nel contesto di Pompei Commitment. Materie archeologiche in collaborazione con il nostro team partner, la Fondazione Nicoletta Fiorucci?
Sissel Tolaas: Ovunque ci sia aria, c’è vita, ci sono molecole di odori. Nel contesto di un sito archeologico le molecole olfattive sono ovunque, letteralmente incorporate sia a livello macroscopico che microscopico. Il mio processo, solo apparentemente intricato e astratto, inizia con la mia presenza sul campo e la mia interfaccia più avanzata, il naso. Grazie alle notevoli abilità del naso siamo in grado di discernere e identificare un numero impressionante di molecole, fino a un trilione. Oltre al naso ci sono diversi strumenti e tecnologie avanzate che ci aiutano a registrare le molecole principali in un determinato ambiente. Tuttavia l’olfatto resta vitale per determinare cosa e dove concentrare le registrazioni delle molecole, oltre che dare un senso ai dati raccolti. Faccio questo lavoro da venticinque anni e posso affermare che il mio olfatto è uno strumento altamente sofisticato; a volte tendo a pensare che il mio naso sia più avanzato di qualsiasi altro dispositivo tecnologico che potrei mai impiegare nel processo di registrazione delle molecole volatili emesse da una fonte olfattiva. Il processo implica la presenza sul campo individualmente ma anche in dialogo con archeologi, antropologi, biologi, geologi, psicologi, ecc. Il dialogo preliminare prima di qualsiasi scavo è altrettanto importante poiché fa sì che tutti comprendano gli obiettivi che intendo raggiungere. La mia esperienza in chimica organica, neuroscienze e biologia, e altri studi rilevanti, unite all’entusiasmo e all’empatia condivisi, sono elementi essenziali per ottenere un risultato.
Ho usato il mio naso per acquisire una nuova comprensione del mondo più di quanto abbia usato gli occhi. È affascinante esplorare come i sensi operino sia individualmente che in armonia. Nel contesto di Pompei si tratta di cooperazione, coerenza e collaborazione, pur affidandosi alla competenza degli archeologi, alle loro metodologie e protocolli consolidati.
AV: Quindi, potremmo dire che la pratica di Sissel Tolaas – che implica la raccolta e l’analisi di dati e la costruzione di archivi – si basa sia sul processo, individuale e collettivo, che sull’archivio ma, soprattutto, sull’uso dell’olfatto. Come hanno reagito gli archeologi a questo processo?
ST: In archeologia, ma questo vale anche nel regno dell’olfatto, siamo arrivati a un punto in cui il progresso sembra essersi bloccato. Quando ho iniziato a esplorare l’olfatto, la sua comprensione e il relativo apprezzamento era confinato in una scatola ermetica – metaforicamente parlando. Mi sono trovata immersa in una conoscenza inesplorata, che dava un senso di conforto a coloro che volevano nascondere certi aspetti del mondo di cui non erano consapevoli. Il mio approccio, già allora, era guidato dalla domanda: “Posso aiutarti a capire il mondo prima che tu decida di mascherarlo di odori non correlati a ciò che essi celano in sé?”. Questa domanda è tuttora attuale e valida per il mio processo e per il modo in cui utilizzo la conoscenza degli odori nel mondo in cui coesistiamo e a cui contribuiamo attivamente. L’ODORE è ARIA, è di fatto un’opera collettiva e il mio obiettivo è quello di aiutare tutti a riconoscere e, perché no, a promuovere un più profondo apprezzamento di questa realtà condivisa. La possibilità di comprendere altre forme di informazione e comunicazione, come la comunicazione chimica, dipende dalla curiosità e dalla volontà di avventurarsi oltre la propria comfort zone. Nel processo di scavo la ricerca si concentra principalmente su resti tangibili come ossa, pietre, ceramiche, vetro. Ma cosa accadrebbe se si coltivasse anche la consapevolezza dell’esperienza olfattiva (che è intangibile) mentre si scoprono strati di terra e polvere?
Nel momento in cui i diversi strati vengono esposti, l’aria stessa si libera e cambia. Sì, proprio quell’aria che voi respirate io l’ho registrata! Avendo presente il ruolo significativo svolto da tutti i sensi e la loro capacità di procurare gioia e divertimento nel momento della comprensione, anche nel campo dell’archeologia, improvvisamente si scopre che un intero sito archeologico può trasformarsi in un parco giochi sensoriale. Nella scienza non bisognerebbe lasciare che le proprie emozioni offuschino il giudizio, tuttavia in questo processo dovremmo lasciare che accada. Quando poi scriviamo il protocollo si può senz’altro adottare una metodologia razionale e pragmatica, come richiesto nei nostri sforzi scientifici. È proprio qui che io, come artista e scienziata, entro in gioco. “Anche io mi avvalgo di protocolli scientifici rigorosi”, ma ho la libertà di affermare che “metterò in risalto parti specifiche dei dati per scopi particolari che ritengo rilevanti per la storia”. Il mio processo è, in effetti, anche un omaggio alla memoria, e quindi a come la si racconta. Utilizzo l’odore come catalizzatore per attivarla, sollevando domande sulla natura del passato, del presente e del futuro di essa. In termini di ciò che ricordiamo, la differenziazione tra memoria collettiva e memoria individuale è pertinente. È qui che l’olfatto dimostra una notevole intelligenza e capacità, superando gli aspetti razionali del cervello e stimolando efficacemente sia la memoria che le emozioni. Questo è il titolo del mio protocollo: Esplorare il legame tra reazione e azione: approfondimenti sulla chimica, sulla misurazione della memoria, sul richiamo di dati inconsci. Si tratta di un approccio al problema su più livelli, nonostante l’aspetto scientifico rimanga integrale.
AV: Utilizzando l’olfatto come strumento di ricerca dimostri che il nostro naso non è solo un’appendice fisica del nostro corpo, ma anche uno strumento di comprensione intellettuale. Il tuo processo parte da dati chimici ma prevede l’ulteriore possibilità di raccontare storie legate a questi dati. In questo senso, in un contesto archeologico gli artisti potrebbero essere percepiti come un’interferenza disciplinare estranea, ma allo stesso tempo rivelano qualcosa che gli archeologi già sanno: sono scienziati, ma devono usare anche la loro immaginazione per “riempire i vuoti”, per affrontare ciò che ancora non sanno o non capiscono.
ST: È esattamente quello che è successo a Pompei. “Cosa ci fa qui? Chi è? Qual è lo scopo della sua presenza?”. Ma, invece di essere percepita come un’estranea che voleva invadere o disturbare, sono diventata progressivamente parte integrante di un lavoro collettivo. Era come se condividessimo una curiosità reciproca e la capacità di adattarci a nuovi approcci. Durante il lavoro sul campo, ho avuto conversazioni significative tanto quanto i dati che ho registrato dagli scavi, entrambi divenuti parte integrante dell’archivio che sto costruendo. Come gli scambi con un geologo esperto nella decifrazione dei diversi strati; “Devi venire perché sto scoprendo gli strati del 79 d.C.”, mi disse, e mi sono chiesta come sia possibile interpretare i vari strati quando si va così in profondità. Lavorare sul campo è stata un’esperienza impressionante, ha trasformato il nostro sforzo da semplice scavo a qualcosa di profondamente olistico. Abbiamo iniziato a capire che forse avremmo potuto percepire nuove informazioni attraverso l’olfatto, mentre scavavamo. Come possiamo dare un senso a queste informazioni? Come possiamo influenzare il modo in cui scriviamo un protocollo condiviso? Per generazioni abbiamo condotto ricerche archeologiche con un approccio solido e consolidato. Il mio obiettivo non è cambiare completamente le conoscenze esistenti e radicate, ma piuttosto sfidare lo status quo, auspicando un cambio di prospettiva rispetto a ciò che un tempo era considerato inflessibile. E ho voluto farlo in modo costruttivo: lasciando che le persone sul campo – non solo gli archeologi e i relativi esperti, ma anche le guide e i visitatori che potevano osservarci – raccontino o addirittura modifichino le loro storie vedendo che cosa stava effettivamente accadendo. Penso che la mia presenza abbia fatto emergere un potenziale stimolante e evocativo per il sito. Un archeologo sul campo si concentra principalmente sulla scoperta di artefatti fisici, non scava per registrare le molecole olfattive emesse dal terreno. Impegnarmi in queste attività di registrazione mi ha aperto una nuova prospettiva per comprendere Pompei, non solo come luogo statico, ma come sito che contiene una dimensione sensoriale. Spero che le conversazioni avute a Pompei e su Pompei, che saranno incluse nell’archivio, durino nel tempo. Con la creazione di questo archivio, il processo diventa un risultato significativo e continuativo. Renderemo accessibili i dati raccolti dando nuovamente “vita” alle rovine.
Mi sono corretta e adattata ai problemi più urgenti, ma opero al contempo come un essere umano, parte di una specie animale, con il mio modo unico di interpretare e comunicare le mie scoperte e osservazioni. Niente è più reale di un odore. Che cosa accadrebbe se improvvisamente gli odori autentici venissero reinseriti nelle rovine? Che tipo di storia racconteremo allora? Abitiamo un mondo prevalentemente plasmato da titoli e immagini, che comprende i regni della semiotica, della semantica e delle immagini. Spesso discutiamo del concetto di interconnettività e riconosciamo di essere parte di un quadro interspecifico più ampio.
Tuttavia, sorge la domanda: Come realizziamo questa interconnessione? Come possiamo comprendere e dare senso a diversi tipi di informazioni? Di qui la mia intenzione di esplorare e abbracciare una forma diversa di informazione e comunicazione, il tentativo di aprirmi a un approccio alternativo. Questo obiettivo può essere raggiunto applicando diversi approcci scientifici e artistici all’interno di un contesto. Insieme potremmo creare nuove possibilità di comprensione e interpretazione del sito e fornire a Pompei l’accesso a un contenuto e a una conoscenza che altrimenti non potrebbe ottenere. Ovunque esista o sia esistita vita, sono presenti molecole di odore. Nonostante attraversiamo molteplici realtà in cui vari elementi sono intrecciati, la realtà fondamentale rimane invariata se consideriamo il suo livello microscopico. Con il Covid-19, abbiamo acquisito una nuova consapevolezza dei nostri sensi, abbiamo capito l’importanza delle interfacce e dei sensori, in particolare nel contesto della privazione sensoriale sperimentata durante l’isolamento. Possiamo persino osare nel definire questo lavoro un “archivio del patrimonio olfattivo”, poiché la natura dell’odore è effimera. Nel momento in cui percepiamo un odore, esiste in quell’istante e poi svanisce, mescolandosi con altre molecole dell’ambiente. Non è mai costante…
AV: Hai definito quanto sia importante, in un luogo così solido, respirare. Raccogliere dati attraverso il respiro è una cosa che un archeologo non fa solitamente. Quando ho presentato la tua metodologia all’archeologo Salvatore Settis, mi ha detto che anche lui avrebbe sognato di potere recuperare l’odore dei manufatti antichi, ma che non sapeva come fare. Che è esattamente la ricerca che stai conducendo a Pompei – “Che odore hanno le rovine?”. Alterando la percezione del sito, il tuo processo – che di per sé non è astratto, ma scientifico e al contempo narrativo – ha rivelato un potenziale insieme di dati e una potenziale narrazione che Pompei potrebbe attivare se adottasse e condividesse un processo come questo. All’interno del quale non hai considerato solo i manufatti pompeiani, ma i suoi eco-fatti e bio-fatti, ovvero i corpi, sia quelli morti e polverizzati che quelli vivi, i corpi di coloro che interagiscono nel sito. Quest’ultimo diventa così un attivatore di tutti i sensi, catturando micro-momenti come il respiro, impegnati con molteplici memorie collettive rivelate dall’odore. I siti archeologici sono infatti immense fonti di informazioni che non sono ancora incluse nei loro archivi, e quindi nell’episteme archeologica. Il che è abbastanza paradossale in questo caso, essendo Pompei uno dei pochi siti archeologici che – quando è stato coperto dai materiali piroclastici eruttati dal Vesuvio nel 79 d.C. – ha conservato molto meglio di altri siti i suoi dati invisibili e intangibili, come appunto l’odore. Pompei è un immenso deposito all’aperto di dati quindi molto volatili (letteralmente) e, per non perderli, gli archeologi dovrebbero iniziare a testare diversamente il terreno e a raccoglierli. La conoscenza c’è ma non viene percepita. Anche se gli archeologi non hanno ancora compreso appieno quello che stai facendo, pensi che Pompei potrebbe diventare un centro di ricerca di riferimento per l’archeologia olfattiva?
ST: Immagino la creazione di un laboratorio sul campo, simile a quelli che si trovano in altri contesti, dove i singoli individui possono portare le proprie unità mobili. L’olfatto è tangibile, è reale. Esiste nel presente ed è profondamente legato all’ambiente circostante. È un’esperienza in situ. Una volta che il suolo viene trasportato da un luogo all’altro, si contamina, compromettendo il suo stato originale. Allo stesso modo, se un oggetto o un campione viene raccolto e messo in un sacchetto di plastica per essere trasportato, è già troppo tardi per pretendere che rimanga incontaminato. Pertanto, è meglio evitare azioni che non sono in grado di produrre risultati accurati o utili.
Immagino una piccola bolla odorosa sul campo, allestita per indagare solo le molecole olfattive, per acquisire dati olfattivi immediati e sostanziali, in aggiunta alle principali attività di scavo. Gli scavi continuano in vari luoghi, con aree di scavo che vengono aperte e chiuse ripetutamente. Dunque perché non esplorare parallelamente approcci o metodologie alternative? Pompei, nella sua essenza, può essere vista come un corpo conservato, un’entità vivente congelata nel tempo dalla cenere. All’interno dei suoi strati, innumerevoli bolle d’aria racchiudono momenti del passato. Rompendo e registrando con cura queste bolle, abbiamo l’opportunità di rivelare e risvegliare la vita che un tempo prosperava al loro interno.
Inoltre, potremmo collaborare con le guide per migliorare le loro narrazioni. Conosco nove lingue e ho avuto il privilegio di ascoltare nove diverse varianti della stessa storia, raccontate da guide diverse. È affascinante osservare come ogni lingua e stile di narrazione porti una prospettiva e un’interpretazione unica al racconto, aggiungendo profondità e ricchezza all’esperienza complessiva. Se introducessimo narrazioni su Pompei legate al significato di un odore reale, allora le guide potrebbero raccontarne nuove e ulteriori dimensioni.
Con il suo ricco portato storico, Pompei ha tutto il potenziale per cadere nella trappola della semplice attrazione turistica. Pertanto, è fondamentale avvicinarsi a questo sito con cautela e assicurarsi che non perda la sua essenza, diventando una rappresentazione superficiale delle rovine.
AV: Ogni artista, scienziato o scrittore nella storia del Grand Tour occidentale ha riconosciuto che Pompei ha permesso loro di avvicinarsi così tanto al passato da farli sentire suoi contemporanei. Se pensiamo al potere psicologico e sensoriale dell’odore, questo è ancora più vero nel tuo caso e potrebbe essere un ulteriore contributo alla letteratura del Grand Tour che ha modellato Pompei come una piattaforma plurale e contemporanea, costantemente ricreata e reinventata.
ST: Il mondo è ormai dominato dall’Intelligenza Artificiale e dalla realtà virtuale, è fondamentale quindi saper riconoscere l’importanza del coinvolgimento di tutti i nostri sensi per comprendere le questioni più urgenti. Altrimenti, i nostri sensi potrebbero diventare obsoleti molto prima che le rovine stesse svaniscano. Inoltre, senza una risposta emotiva, non ci può essere un’azione significativa. Questo principio vale anche per l’evoluzione della biologia stessa, dove le reazioni emotive giocano un ruolo fondamentale nel guidare il progresso e l’adattamento.
Se osserviamo la vita di un essere umano dall’infanzia alla pubertà, ci è chiaro come il nostro apprendimento avvenga principalmente attraverso la lente delle emozioni. Durante questo periodo, il centro emozionale del nostro cervello è molto attivo e assorbiamo la conoscenza del mondo e delle sue problematiche utilizzando tutti i sensi e le interfacce naturali a nostra disposizione. Tuttavia, quando entriamo nell’adolescenza e la superiamo, la parte razionale del cervello inizia a dominare spostandoci verso il pragmatismo, la competizione e, spesso, verso uno strabordare di informazioni difficili da gestire. Questa transizione si traduce spesso in una disconnessione dall’approccio olistico, evidenziando una fatica a dare un senso al mondo che ci circonda. Reintegrando i nostri sensi e le nostre emozioni nell’approccio all’apprendimento e alla comprensione, possiamo riacquistare una prospettiva più completa verso le complessità dell’era dell’informazione. E anche il confronto con il passato attraverso la lente delle nostre esperienze emotive e delle interazioni sensoriali può essere un potente catalizzatore per l’azione. Quando si instaura un legame emotivo con un odore particolare, esso ha la capacità di evocare ricordi, gioia, giocosità e un profondo senso di coinvolgimento e impegno. L’olfatto ha la capacità unica di trasportarci indietro nel tempo e di metterci in contatto con la nostra infanzia, i nostri affetti, l’ambiente e le esperienze vissute. Sfruttando quindi il potere dell’olfatto, possiamo sviluppare una comprensione completamente diversa anche di siti come Pompei, attingere alle esperienze sensoriali delle civiltà antiche e acquisire una visione della loro vita e dei loro modi di affrontare diverse problematiche. Questa comprensione può informare le nostre azioni attuali e aiutarci a riorientare i nostri sforzi futuri. Inoltre, costruendo archivi che catturano gli aspetti olfattivi dei siti e delle esperienze storiche, possiamo creare nuovi processi transtemporali e archivi che ci permettono di colmare il divario tra epoche e civiltà diverse, favorendo una connessione più profonda e facilitando un dialogo che trascende i confini temporali.
AV: È un’ottima prospettiva. Altrimenti Pompei userà semplicemente il DNA degli antichi grappoli d’uva per produrre un nuovo vino geneticamente modificato! Collegare le parti emotive e razionali del nostro cervello, così come il nostro passato, presente e futuro interspecie, potrebbe permetterci di andare oltre gli output standardizzati della ricerca. Ed è per questo che artisti come te sono più che mai necessari, anche in un parco archeologico come Pompei.
ST: Il tema dell’olfatto è stato tradizionalmente associato a esperienze personali, emozioni e ricordi. Tuttavia, è importante riconoscere che lo studio dell’olfatto va oltre i suoi aspetti emotivi e soggettivi. L’olfatto può essere esplorato e compreso attraverso molteplici discipline, tra cui la chimica, la linguistica, la matematica e la fisica. Da un punto di vista chimico, la composizione e le proprietà delle molecole degli odori possono essere analizzate, classificate e studiate. Ciò comporta l’esame delle strutture chimiche, delle reazioni e delle interazioni che contribuiscono alla percezione dei diversi odori. La linguistica, d’altro canto, svolge un ruolo importante nella comprensione di come gli odori vengono descritti e comunicati. Proprio come le parole vengono utilizzate per trasmettere il significato e le informazioni, il linguaggio può essere impiegato per articolare e comunicare le esperienze olfattive. La matematica e la fisica entrano in gioco quando si studia la dinamica delle molecole degli odori, i processi di diffusione e i meccanismi con cui gli odori viaggiano e vengono rilevati dal nostro sistema olfattivo. Queste discipline forniscono un quadro quantitativo e analitico per comprendere gli aspetti fisici dell’olfatto.
Il mio obiettivo è rendere accessibile questa conoscenza nel suo insieme multidisciplinare, combinandone e sfidandone la comprensione. Adesso ho tutti i dati necessari per farlo e non vedo l’ora di condividerli con i più scettici, che ancora non capiscono cosa sto facendo.
Dovremmo sfruttare le nostre capacità umane e progettare le nostre forze. Non dovremmo farci sopraffare dall’intelligenza artificiale, perché l’intelligenza umana è superiore. Soprattutto in questo momento, coinvolgere i nostri sensi è quanto di più urgente per comprendere il mondo al di là della semplice osservazione e del discorso. Intraprendiamo questo percorso di comprensione a partire dalle rovine stesse!