Nell’ottobre del 1972 Andrea Branzi firma la prima delle ventisette Radical Notes sulle pagine di Casabella. Il testo è stato scritto a poche settimane dalla conclusione della celebre mostra al MoMA di New York curata da Emilio Ambasz, “Italy: The New Domestic Landscape. Achievements and Problems of Italian Design”, che aveva posto sotto i riflettori internazionali le esperienze dell’architettura radicale italiana, decretandone al contempo anche la fine. “Le dichiarazioni programmatiche dei gruppi e anche le offese più sanguinose”, scriveva Branzi, “sono passate sotto un sorridente silenzio (erroneamente valutabile come tolleranza). Le posizioni professionali restano al sicuro da questa ondata di foto-montaggi e, si sa, gli eccessi giovanili prima o poi passano per tutti…”1. Le forze dell’avanguardia, sosteneva Branzi, avrebbero dovuto adottare una strategia a lungo termine che prendesse in considerazione temi e ipotesi generali, utili alla costruzione di un’eredità condivisa, con un’idea di ruolo e destino ben precisi.
A cinquant’anni da “Italy: The New Domestic Landscape”, il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato ha deciso di riprendere e approfondire il lavoro di documentazione dell’attività dei radicals italiani avviato già qualche anno fa con le mostre “Superstudio/ backstage” (2011), “UFO STORY. Dall’architettura radicale al design globale” (2012), e ripreso con la recente “TRILOGIA URBANA. Gianni Pettena, Superstudio e UFO” (2021). Intitolata “SPAZIO RADICALE / RADICAL SPACE” e curata da Stefano Pezzato – responsabile delle collezioni e degli archivi del Centro Pecci – la mostra riunisce opere della raccolta museale pratese insieme a materiali del Centro di Informazione e Documentazione / Arti Visive e dell’Archivio Lara-Vinca Masini. Il percorso espositivo segue una logica arcana e combina progetti, documenti e video di alcuni protagonisti della stagione radicale dell’architettura e del design italiani con opere d’arte contemporanea, dando vita a un epidermico discorso per immagini.
“SPAZIO RADICALE / RADICAL SPACE” accoglie i visitatori con i manifesti, le foto e una maquette di “Superarchitettura” – la doppia mostra organizzata prima a Pistoia nel dicembre del ‘66 e qualche mese più tardi a Modena, da cui nacquero i primi due gruppi dell’avanguardia italiana, Archizoom e Superstudio, e che diede inizio al movimento “radical” – e il divano in poliuretano Superonda (1967) degli Archizoom, che in dialogo con l’opera Esse (1964) del poeta visivo Luigi Tola lasciano intuire una riflessione condivisa sulla metodologia e sul linguaggio utilizzati come strumenti di critica e sovversione della disciplina.
Il percorso continua con i progetti degli Archizoom e di Branzi – che del gruppo è stato uno dei fondatori – tra cui l’ironica lampada Sanremo (1968) a forma di palma stilizzata, e tutta la documentazione di Dressing Design (1972–1973), progetto per lo studio di una nuova tipologia d’abito che nasce da una riflessione teorica contro la moda. Da qui, in lontananza, lo spazio è saturato da un groviglio di brandelli di tessuto color carne appesi come indumenti ad asciugare. Si tratta di Bed Satin Tangle (2005) l’installazione di Karin Arink, che riapre il discorso sul tessile aperto dagli Archizoom.
Proseguendo entriamo in un gioco di riverberi. Il fotomontaggio Niagara o l’architettura riflessa (1970) e la riproduzione di Supersuperficie (1971–2011) del Superstudio sono qui accostate a Multi Bed #1 (1996) di Vito Acconci, un letto cruciforme in ferro e lamiera zincata rivestito da superfici in plexiglass specchiante e luci al neon. Ancora attraverso una superficie riflettente intravediamo, deformati, gli Istogrammi d’architettura (1969) del Superstudio, tramite il quadro specchiante Uomo nudo di schiena (1962–1987) di Michelangelo Pistoletto. Oltre al lavoro dei due principali gruppi fiorentini, le visioni di Gianni Pettena, Remo Buti, e gli UFO, un angolo è completamente dedicato ai documenti originali della scuola non- scuola Global Tools, un esperimento di educazione alternativa che coinvolgeva le figure principali di quella generazione esagerata.
Riosservando la produzione appartenente a quella stagione architettonica, l’impressione che se ne ricava è che, nonostante le sempre più numerose attività pubblicistiche ed espositive retromaniacali, quella “strategia dei tempi lunghi”, invocata da Branzi, sia ancora da riformulare: l’eredità comune delle avanguardie da cui occorre ripartire dovrebbe essere costituita da una nuova coscienza sociale. Il Radical è morto, evviva il Radical!