Nelle Ricerche filosofiche, Wittgenstein analizza l’azione ludica ricorrendo all’esempio di due bambini che giocano a palla, e individua nell’invenzione continua delle regole da parte dei giocatori una relazione tra normatività e negoziazione dal basso. È una metafora dell’“improvvisazione sociale” e quindi delle relazioni che si costruiscono tra le persone, tanto sovradeterminate dal sistema quanto continuamente agite e “giocate”.
La ricerca di Stefano Romano sembra assumere questa analisi come sfondo, in un percorso che vede proprio nel gioco uno dei suoi punti di partenza. In alcuni lavori del 2001, come Vuoi giocare? o Linee, l’artista progetta degli happening da tavolo in cui due giocatori si affrontano creando strategie personali che attivano una relazione binaria seguendo dei percorsi interiori: da un lato la costruzione di una torre di mattoncini di legno in equilibrio (ready made del gioco da tavolo Jenga) e dall’altro una sorta di battaglia navale cromatica, il cui risultato sono dei pannelli modulari costruiti durante la partita che ricordano in lontananza i celebri cadavre exquis surrealisti. M l no (2004) è invece una raccolta di definizioni sulla città di Milano condotta seguendo le regole del gioco dell’impiccato, in cui la città si svela secondo una serie di aggettivi da indovinare, suggeriti da abitanti, pendolari o studenti. L’opera, secondo Stefano Romano, non è una creazione individuale, ma il risultato di dinamiche relazionali che coinvolgono più persone, co-autori partecipi dei progetti, come in Bandiere (2003), installazione site specific per Viafarini di Milano, in cui l’artista chiede agli abitanti dello stabile di realizzare una bandiera che li rappresenti da appendere fuori dalla propria finestra. L’artista diventa quindi un catalizzatore di energie collettive che si propagano oltre l’opera, come in Bookshop (2003), progetto realizzato alla GAMeC di Bergamo, in cui migliaia di libri donati da altrettante persone, prima e durante la mostra, ed esposti nel luogo che ospitava la libreria del museo, sono poi stati offerti a un’associazione che lavora nella biblioteca del carcere di Rebibbia. O come la serie di interviste raccolte in Noi amiamo l’Albania (2005), che racconta i sogni, i dubbi e le speranze di un gruppo di cittadini albanesi chiamati a esprimersi circa l’ipotesi di un ponte che colleghi il proprio paese con l’Italia. È proprio in Albania che Romano ha deciso di “emigrare”, grazie a un programma di scambio promosso dall’Accademia di Carrara di Bergamo; ed è a Tirana che ha dato vita nel 2004 a “1.60insurgent space”, uno dei tanti progetti curatoriali da lui promossi (come il “TICA”, co-fondato nel 2006, o “CUNS”, nato nel 2007).
La condizione dell’“esule culturale” è al centro di Movements. 4 N2 The Sitting Room (2007), parte di una serie intitolata “Spostamenti”. Invitato a partecipare da Nosadella.due, residenza per artisti e curatori, a una mostra insieme ad altri artisti italiani che risiedono all’estero, l’artista organizza un trasloco comune del salotto della residenza che li ha ospitati: il luogo fisico diventa simbolo delle relazioni intercorse e, come in Movements. 1 Start-ing With Chairs — che ha visto invece il coinvolgimento dei galleristi milanesi — rivela il dietro le quinte del sistema dell’arte. Un lavoro di institutional critique affine alle ricerche di Hans Haacke o di Michael Asher (o anche ad alcuni celebri lavori di Maurizio Cattelan), che nel più recente Segmenti 1-220 (Galleria Placentia Arte, 2008) svela i rapporti di forza e di complicità insiti nella relazione gallerista-artista e vede i due attori performare l’opera: una trave di ferro corredata di videocamere a circuito chiuso. L’artista si mette ora in gioco in prima persona e diventa misura dell’opera.
Nella mostra “One Day Works….” realizzata a Neon>fdv di Milano nel 2007, e omaggio di tanti lavori degli anni Sessanta-Settanta e di Felix Gonzalez-Torres, le monete di resto delle spese fatte in giornate e paesi diversi partendo da uno stesso budget diventano le basi per altrettante sculture, laddove le relazioni intercorse in una giornata diventano il paesaggio di nomi trasferiti sul muro della galleria.