È con la recente uscita di Sicario 2: Soldado che il regista italiano Stefano Sollima debutta negli Stati Uniti. Sicario 2 è il seguito del film del 2015 di Dennis Villeneuve, Sicario, e offre un’ulteriore, sfaccettata rappresentazione della lotta tra i cartelli della droga messicana nei desolati ambienti urbani di Ciudad Juárez. Sollima è noto per le sue rappresentazioni del crimine organizzato e della corruzione negli ambienti della politica e della polizia in Italia. In film quali ACAB – All Cops are Bastards (2012) e Suburra (2015) e nelle serie tv Romanzo criminale: la serie (2008–10) e Gomorra: la serie (2014 – in corso), di cui il regista ha diretto ad oggi dieci episodi, Sollima tesse la prospettiva degli antieroi – malviventi, mafiosi e ufficiali giudiziari o legali corrotti – nei confronti dei quali, ricorrendo a peculiari dispositivi linguistici, induce un sentimento di empatia negli spettatori.
Le produzioni più recenti di Sollima sono tutte adattamenti di romanzi di successo che prendono spunto da avvenimenti e fenomeni della vita reale del presente o passato recente. Ambientati principalmente a Roma e nelle roccaforti della Camorra – Scampia e Secondigliano – i film e le serie di Sollima narrano la violenza che fa da sottotesto alla vita quotidiana degli ambienti mafiosi, delle forze di polizia e a volte persino della politica. Sebbene in queste produzioni i contenuti siano spesso cupi e la violenza gratuita, Sollima si è distinto nel panorama cinematografico e televisivo per la sua abilità di rappresentare la tragedia italiana in un formato accattivante e d’intrattenimento e, nel caso delle serie, avvincente quasi al punto da provocare assuefazione.
Frequentemente, gli antieroi hanno legami amorosi, anche se le loro donne godono di un’autonomia e di scelte di vita limitate, e sono ritratti all’interno di locali notturni o di angusti ambienti domestici (come infatti accade in Suburra e ACAB). Questo, però, non è il caso degli antieroi di Sollima, spesso rappresentati mentre attraversano la città in auto o in motorino. Nel caso di Suburra e Romanzo criminale, i personaggi si spostano costantemente tra le aree periferiche che chiamano “casa” (il porto di Ostia o il quartiere Magliana di Roma) e il centro di Roma, dove consumano i propri crimini nei pressi di luoghi iconici come Piazza di Spagna o Piazza San Pietro. Se, tuttavia, tutti i protagonisti di Sollima interagiscono tra loro sempre e solo in ambientazioni urbane, sembrano svelare realmente loro stessi e la loro vulnerabilità quando si trovano sul mare. È qui che manifestano dolore, senso di perdita e si stringono in legami omosociali. Il sodalizio tra uomini è infatti un elemento fondamentale in questi film e serie, dove a tenere saldi questi gruppi di individui maschili sono la lealtà (in ACAB sentiamo l’espressione “I fratelli non si abbandonano mai” dopo che uno dei poliziotti protagonisti malmena la sua ex-moglie), un genuino affetto e, in Gomorra, la rivalità per l’ascesa al potere all’interno del clan.
Molte delle rappresentazioni di Sollima si svolgono in prigione. Il legame omosociale è una caratteristica dei film ad ambientazione carceraria perché, nello spazio chiuso del penitenziario, gli uomini sviluppano rapporti interpersonali intimi. Due degli episodi di Gomorra girati da Sollima (1.3 e 1.4) si concentrano sul lungo periodo di detenzione del boss della Camorra Don Pietro Savastano (Fortunato Cerlino) nella prigione di Poggioreale a Napoli. Le puntate precedenti, 1.1 e 1.2, sono dedicate al “secondo” e successivo rivale di Don Pietro, Ciro Di Marzio (Marco D’Amore), e mirano a renderne il personaggio umano, raffigurandolo, ad esempio, insieme ad amici, “collaboratori” e familiari in occasioni in cui appare sagace, fascinoso e acuto. Nei due episodi successivi, però, queste simpatie si allineano a quelle per Don Pietro, ritratto come un capo mafia potente e calcolatore ma con un cuore. Inoltre, Don Pietro è rappresentato come una figura bonaria rispetto all’insensibile direttore del carcere, a cui poco sembra importare dei prigionieri. La scena d’apertura dell’episodio 1.3 ispira una sorta di fedeltà dello spettatore verso Don Pietro. Una serie di quattro inquadrature mostra prima la prigione dall’alto; poi la telecamera si sposta al livello della strada per riprendere la macchina della polizia in attesa di entrare a Poggioreale. Successivamente ci troviamo all’interno della prigione, quando il cancello si apre; e infine dentro l’auto, per cui vediamo Don Pietro in primo piano mentre la macchina entra nel cortile del carcere. In questo modo gli spettatori sono come a fianco di Don Pietro e sperimentano l’ambiente carcerario attraverso la sua prospettiva. Allo stesso modo, in Romanzo criminale, durante il periodo di detenzione, Freddo (Vinicio Marchioni) ricorda la sua prima rapina motivata dall’adulterio del padre. Questo evento l’ha condotto alla sua prima incarcerazione, segnandolo in modo irrevocabile e avviandone la “carriera” criminale – di cui la colpa ricade sul padre infedele.
L’uso attento della musica è una delle caratteristiche fondamentali dell’opera di Sollima. Brani di artisti affermati – composti appositamente per le produzioni del regista o già editi – stimolano gli spettatori a rispondere in modo positivo ad azioni condannevoli perché suggeriscono al contempo il senso di un’esperienza storica. La band di post-rock psichedelico italiana Mokadelic ha composto diverse tracce per ACAB e Gomorra. La loro traccia “Doomed to Live”, ipnotica e malinconica, torna regolarmente nella prima stagione di Gomorra quando Ciro o Gennaro Savastano (Salvatore Esposito) sono afflitti dalla tristezza o lottano contro i propri demoni. In Suburra la canzone del gruppo di musica elettronica francese M83 “Midnight City” fa da sottofondo a una festa decadente, che evoca il titolo del film – Subura era infatti un antico sobborgo romano popolare, noto anche come un quartiere a luci rosse. Catherine O’Rawe scrive che l’uso della musica in Romanzo criminale crea uno “spazio di contraddizione”, perché enuncia i termini di una crisi della mascolinità e introduce l’idea di diversità e di razza e di genere sessuale.[i] In modo analogo, la musica in ACAB genera una lettura complessa della storia. La colonna sonora include brani di gruppi celebri come Joy Division, Clash, Pixies, White Stripes e 4-Skins. Questi musicisti sono tutti, in diversa misura, legati a manifestazioni e sentimenti di protesta, controcultura e contestazione delle istituzioni. Nel 1982, la band punk rock inglese 4-Skins pubblicò la canzone “A.C.A.B.”, incentrata sul dibattito di allora sulla brutalità delle azioni della polizia. Nel film, il brano compare quando il capo squadra Mazinga (Marco Giallini) entra in un raduno di estrema destra con lo scopo di recuperare il figlio, il quale però si rifiuta di seguirlo. Tutti i presenti si accaniscono contro Mazinga, che è quindi costretto a ritirarsi sconfitto. Ironia della sorte, “non tutti i poliziotti sono bastardi” – anche se i protagonisti di questo film nello specifico, ricorrono spesso e volentieri alla violenza estrema, e sono apertamente razzisti, omofobi e sessisti.
Il rimando al tema dell’oppressione attraverso un brano musicale in ACAB avviene dopo che Cobra (Pierfrancesco Favino) viene scagionato da tutte le accuse in un procedimento giudiziario sul suo brutale pestaggio di un tifoso di calcio. Durante il processo, Cobra fa un discorso appassionato sulla complessa situazione dei membri della polizia antisommossa che, in situazioni estreme possono solo contare sui compagni che li circondano. Ciò nonostante, parla apertamente dei pestaggi con i suoi amici, e non esprime alcun rimorso per queste azioni (la sua unica preoccupazione pare essere la potenziale condanna e la conseguente perdita del posto di lavoro). Mentre il verdetto che scagiona Corba viene letto in aula, viene riprodotta extradiegeticamente “Police on My Back” [Polizia alle calcagna] dei Clash. Man mano che la musica aumenta di volume, un cambio scena ci trasporta nella stazione di polizia dove Cobra sta ballando al ritmo ska-punk della canzone, mentre ne canta allegramente il testo:
Corro
La polizia alle calcagna
Mi nascondo
La polizia alle calcagna
C’è uno sparo
La polizia alle calcagna
E la vittima
Beh, non tornerà
Ho corso lunedì, martedì, mercoledì
giovedì, venerdì, sabato, domenica […]
Cosa ho fatto? Cosa ho fatto?[ii]
I colleghi si uniscono a festeggiare la “vittoria” di Cobra e insieme ballano come se si trovassero a un vero e proprio concerto dei Clash. Un cambio d’inquadratura mostra la nuova recluta Adriano Costantini (Domenico Diele) che guarda Cobra con disapprovazione (Adriano non è d’accordo con le pratiche violente e corrotte del compagno e alla fine lascerà l’unità). Cobra rappresenta quindi il “ribelle oppresso dalla legge”[iii] che contesta le accuse, resiste al potere, genera dissenso e soffre per le sue azioni (“Cosa ho fatto?”). L’uso della canzone è ancor più destabilizzante considerando che questa è stata originariamente scritta da Eddy Grant per la pop band inglese The Equals in un periodo in cui Grant era politicamente attivo nella lotta all’apartheid. Il trionfo di Cobra è quindi significativo anche rispetto al tema dell’oppressione razziale, visto il coinvolgimento della sua squadra nelle operazioni di sfratto di immigrati clandestini.
ACAB, Suburra, Romanzo criminale, e Gomorra sono tutti “melodrammi” che gettano l’enfasi della narrazione su antieroi maschili meritevoli di redenzione, mentre emarginano e sminuiscono le donne. Danielle Hipkins sostiene che una prolungata adolescenza maschile sia rappresentata positivamente e giocosamente nella tradizione italiana, mentre “l’attenzione verso le giovani donne nel cinema italiano si concretizza solo in qualcosa come il cadavere usa e getta di Suburra”[iv]. Gli uomini in questi film e serie televisive sono spesso feriti e tumefatti – un braccio spezzato in Romanzo criminale, una gamba in ACAB, una gola tagliata in Suburra – e suggeriscono che la mascolinità è sensibile agli attacchi, è in crisi e ha bisogno di supporto. Diversamente da ciò che accade alle loro controparti femminili, le figure maschili sono prevalentemente assolte per i loro errori, sia che i crimini siano le percosse contro un tifoso di calcio o ben più estremi. Nell’episodio 2.1, Ciro strangola a morte la sua amata moglie Deborah quando quest’ultima minaccia di parlare con la polizia. Un tale atto di violenza è insolito per la televisione italiana, anche perché gli spettatori si sono affezionati a Deborah, sempre rappresentata come una vittima. Al tempo stesso, è sorprendente che lo sviluppo narrativo sia strutturato in modo da stimolare un’immediata empatia con Ciro, spingendo così gli spettatori a condividerne il dolore per la perdita della donna che egli stesso ha ucciso qualche istante prima. Questo tipo di criminali, in grado di ispirare sentimenti di solidarietà e comunione, sono sempre più diffusi sugli schermi di tutto il mondo e Sollima si è dimostrato unico nella regia di film e serie televisive che hanno come protagonisti degli antieroi tormentati e sofferenti. La musica, il montaggio, la mascolinità, la mafia, il melodramma maschile – tutti fattori che hanno contribuito a delineare l’inconfondibile il timbro stilistico di Stefano Sollima.