Sono passati quindici anni da quando, per la prima volta, sentii il nome di Sterling Ruby e la sua voce.
Il telefono squillava allo studio di Mike Kelley in Highland Park, East Los Angeles, era dopo l’orario di ufficio, così risposi personalmente; Sterling aveva una voce gentile e un nome sonante… al quel tempo era l’assistente di Mike Kelley ad Art Center.
Nel 2005 visitai la mostra finale degli studenti all’Art Center. Aggirandomi per gli studi su Del Mar a Pasadena, la mia attenzione fu attratta da una video installazione: sullo schermo tutto era nelle tonalità mute e indescritte del beige, suggerendo decor istituzionale e anonimità aziendale; nel video l’artista vestito con gli stessi colori neutri dell’ambiente circostante, si butta a peso morto su una superficie cuscinata, pure beige, emettendo suoni primari e regressivi che poco si addicono a un giovanotto, mentre tira calci e pugni ai cuscini, il pianto e le grida che emette esprimono un senso di frustrazione e privazione infantile: progressivamente inizia a estrarre dall’interno della superfice soffice una serie di oggetti, e li dispone sulla pedana attigua: una casetta, una ceramica astratta di colore rosa, un oggetto di kitsch devozionale, una lastra di finto marmo… e un libro, La negazione della morte di Ernest Becker. Scritto nel 1973, questo saggio esplora le sofisticate strategie che gli essere umani mettono in atto per difendersi dall’idea di morte, si imbarcano cioè, in quello che Becker definisce il “progetto immortale”. Ironicamente pochi mesi dopo la pubblicazione del libro, Ernest Becker muore e il saggio è insignito del Premio Pulitzer dopo la morte del suo autore. Il video che sto guardando negli studi di Del Mar s’intitola Tamper tantrum inanimate death magician, l’autore è Sterling Ruby.
A quel punto ho dimenticato la telefonata, appunto il nome su un taccuino. Più tardi nella serata sto chiacchierando con Mike Kelley di ciò che ho visto, leggo nuovamente “Sterling Ruby”. Mike annuisce affermativamente: “Sterling — dice — è stato il mio assistente ad Art Center, uno degli studenti più brillanti che abbia mai avuto”.
Qualche anno dopo il mondo non potrebbe essere più diverso sotto il sole radioso della California.
Dopo il diploma ad Art Center (diploma tecnicamente mai ottenuto) Sterling inizia la sua scalata al sistema dell’arte, raggiungendone il cuore e forzandone i limiti…
Il lavoro si associa e dissocia, in una cangiante moltitudine di forme, materiali, tecniche e colori, incarnando la pur sempre attuale battaglia tra Minimalismo e Massimalismo, una partita che vede la partecipazione di collezionisti e operatori del settore come tifosi scatenati da curva sud a un derby Roma-Lazio.
Nel 2007 Sterling ha la sua prima mostra da Metro Pictures a New York in simultanea con un’altra personale sempre a New York, da Foxy Production. Per molti artisti arrivare negli spazi di una galleria d’importanza storica come Metro Pictures e avere allo stesso tempo un’altra mostra in una giovane galleria di punta sempre a Manhattan, sarebbe un traguardo, la realizzazione di un sogno, ma non per Sterling. La mostra da Metro aveva qualcosa di drammatico, quasi funereo. Poco prima dell’inaugurazione la mamma di Sterling era morta improvvisamente. Per una perturbante coincidenza, Sterling si era ispirato per una delle sculture in mostra a una piccola fontana da meditazione zen che apparteneva a sua madre.
Poco dopo iniziano a circolare voci sul coinvolgimento nella carriera di Sterling di Michael Ovitz, collezionista, rinomato agente hollywoodiano, come tale versato in deliri di onnipotenza e sogni infranti. Ovitz è molto vicino a Pace Gallery, così dopo meno di un anno dalla prima mostra, Sterling trasloca da Metro Pictures a Pace, ma anche lì non si fermerà per molto. Infatti, poco tempo dopo una mattina gli impiegati di Pace arrivando al lavoro, ricevono la comunicazione di interrompere qualsiasi tipo di contatto con lo studio di Sterling Ruby e con James Lyndon, un ex direttore di Pace incaricato di gestire il rapporto con Ruby. Le circostanze della rottura sono mantenute confidenziali. Nel frattempo il lavoro e la carriera di Sterling continuano a crescere. Il grande studio nella zona Est di Los Angeles diventa una meta ambitissima per collezionisti internazionali. Mi sembra di sentire la voce tremante di eccitazione di un’art advisor sussurrare all’orecchio di un cliente, la promessa “Abbiamo una visita allo studio di Sterling Ruby, domani” .
La parabola ascendente della carriera di Sterling fornisce ottimo materiale per un case-study su come il mondo dell’arte in generale e di Los Angeles in particolare, sia cambiato negli ultimi dieci anni. Los Angeles è sempre stata conosciuta per una comunità artistica molto forte, libera e creativa, in grado di sperimentare al riparo dei canoni di successo, e competizione imposti dal mondo newyorkese post anni Ottanta; ora Los Angeles sta diventando la vetrina privilegiata dei cambiamenti di un sistema che mima, sempre più da vicino quella che qui viene chiamata the “industry” riferendosi al business del cinema, musica e spettacolo.
Il 31 gennaio 2012 Mike Kelley, maestro di Sterling e molti altri, porta a compimento il suo “progetto immortale” sbattendo una volta per sempre la porta del suo bagno in faccia a un attonito mondo dell’arte. Nel dicembre dello stesso anno Hauser&Wirth mette sotto contratto Sterling Ruby. Paul Shimmel, il curatore di fama leggendaria che nel 1992 con la mostra “Helter Skelter” contribuisce a diffondere nel mondo l’immagine di Los Angeles come mecca di una nuova creatività, diventa partner di Hauser&Wirth con un contratto miliardario e come tale deve dimettersi dall’incarico alla Mike Kelley Foundation, per aprire la filiale losangelina di Hauser&Wirth and Schimmel, la cui sede in downtown L.A., ha le dimensioni di una città piuttosto che di una galleria. L’anno prossimo anche Sterling Ruby traslocherà nuovamente in uno studio che ricorda più gli spazi di un museo che quelli dell’atelier di un artista. Il progetto immortale sta ancora girando a tutta velocità.