“Stop Painting”. Veduta della mostra presso Fondazione Prada, Venezia, 2021. Josh Smith, Untitled, 2021. Fotografia di Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada, Venezia.
“Stop Painting”. Veduta della mostra presso Fondazione Prada, Venezia, 2021. Peter Fischili, Modellone, 2021. Fotografia di Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada, Venezia.
“Stop Painting”. Veduta della mostra presso Fondazione Prada, Venezia, 2021. John Baldessari, What Is Painting, 1966-68. Jean-Frédéric Schnyder, Bild, 2005-06. Jana Euler, Where the Energy Comes From 1, 2014. Karen Kilimnik, Jane Creep (Druids), 1990;
Jane Creep (Blow Dryer), 1991; Jane Creep (Crème de menthe), 1991; Jane Creep (Plane to Paris), 1991. Gene Beery, This is My Last Serious Painting, 1960.
Fotografia di Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada, Venezia.
“Stop Painting”. Veduta della mostra presso Fondazione Prada, Venezia, 2021. Lucio Fontana, Io sono un santo, 1968. Boris Lurie
Untitled (NO Sprayed), 1963. Ed Ruscha, Museum on Fire, 1968. David Hammons Pissed Off, 1981.
Fotografia di Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada, Venezia.
“Stop Painting”. Veduta della mostra presso Fondazione Prada, Venezia, 2021. Lynda Benglis, Untitled, 1969. Poster della mostra “Robert Rauschenberg: White Paintings, 1951” presso Leo Castelli Gallery, New York, 1968. John Armleder, Untitled, 1979 – 80. Martin Barré, 67-Z-3, 1967; 67-Z-18-43X40, 1967; 65-A-50X50, 1965.
Fotografia di Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada, Venezia.
“Stop Painting”. Veduta della mostra presso Fondazione Prada, Venezia, 2021. Jana Euler, Where the Energy Comes From 1, 2014. Karen Kilimnik, Jane Creep (Druids), 1990; Jane Creep (Blow Dryer), 1991; Jane Creep (Crème de menthe), 1991; Jane Creep (Plane to Paris), 1991; Jane Creep (St Bernard), 1991.
Fotografia di Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada, Venezia.
“Stop Painting”. Veduta della mostra presso Fondazione Prada, Venezia, 2021. Alberto Burri, Plastica, 1962.
David Hammons, Pissed Off, 1981. Boris Lurie, NO-ON, 1962.
Fotografia di Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada, Venezia.
“Stop Painting”. Veduta della mostra presso Fondazione Prada, Venezia, 2021. Jean-Frédéric Schnyder, Hudel, 1983 – 2004.
Jörg Immendorff, Wo stehst du mit deiner unst, Kollege?, 1973.
Fotografia di Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada, Venezia.
“io sono un santo” / “io sono una carogna”. Queste sono le due dichiarazioni annotate da Lucio Fontana sul fronte e sul retro di un’opera del 1958, una tela lasciata senza pittura e attraversata da una serie di tagli che ne lacerano la superficie. Il lavoro, allestito in modo che vi si possa girare intorno come se fosse una scultura, si trova all’interno di una delle dieci sezioni della mostra “Stop Painting”, curata da Peter Fischli presso la Fondazione Prada a Venezia.
Nello stesso plinto, insieme a Fontana, viene presentato a poca distanza Untitled (General Strike) (1969) di Lee Lozano, il programma per una rivoluzione interna a quello che l’artista americana definisce “art world”. Uno sciopero dalla pratica artistica e dalle occasioni di mondanità con lo scopo di perseguire una “total personal & public revolution”1. “No More Art!” proclama uno dei cartelli documentati da Henry Flynt e Jack Smith in occasione della protesta davanti al MoMA nel 1963 (Down with Art!, 1968); un’immagine che insieme ai lavori di Lozano e di Fontana, completa il basso piedistallo al centro della sezione Let’s Go and Say No.
Lucio Fontana, Io sono un santo, 1958.
Inchiostro su carta su tela con tagli. 50 x 65 cm. © Fondazione Lucio Fontana, SIAE 2021.
Marcel Broodthaers, Dix-neuf petits tableaux en pile, 1973.
Piramide di 19 tele su telai con bordi dipinti. 35 x 46 x 38.5 cm; base: 85 x 55 x 50 cm. Collezione privata. Fotografia di Todd-White Art Photography. Courtesy Simon Lee Gallery, Londra/Hong Kong.
© Marcel Broodthaers, SIAE 2021.
Niki de Saint Phalle spara durante l’inaugurazione della mostra “Feu a Volonté” presso Galerie J, Parigi, 1961. Fotografia di Shunk-Kender. Courtesy J. Paul Getty Trust. Getty Research Institute, Los Angeles (2014.R.20).
Alain Jacquet, Le déjeuner sur l’herbe, 1964. Serigrafia su carta montata su tela. 175 x 100 cm. Fotografia di Muriel Anssens. Courtesy Collezione Mamac, Nizza.
© Adagp, Parigi, 2021;
© Alain Jacquet, SIAE 2021.
Morag Keil, Eye 1 – 4, 2018. Olio su tela. Quattro elementi, ognuno 40.5 x 51 cm. Fotografia di Ed Mumford. Courtesy l’artista e Jenny’s, Los Angeles.
Boris Lurie, NO-ON, 1962. Olio su tela. 65 x 72.5 x 4 cm. Courtesy Boris Lurie Art Foundation.
Leidy Churchman, iPhone 11, 2019–20.
Olio su lino. 24 x 38 cm.
Collezione Terry Winters.
Courtesy Matthew Marks Gallery, New York. © Leidy Churchman.
Marcel Duchamp,
Apolinère Enameled, 1916-1917 (edizione del 1964). Latta su cartone. 24 x 34 cm. Courtesy Collezione Attilio Codognato, Venezia.
© 2021. White Images/Scala, Firenze; © Foto Scala Firenze; © Association Marcel Duchamp;
© Marcel Duchamp, SIAE 2021.
Dire no, negarsi, fermarsi, cancellare le immagini in spirito iconoclasta, bruciare, tagliare, protestare, manifestare, compiere azioni che mettono in discussione la realtà o semplicemente urinare sopra la scritta “FUTURE”, come nel caso di David Hammons in Pissed Off (1981). Sono questi alcuni dei gesti – o non-gesti – raccolti da Fischli nella sezione più apertamente politica di questa “panoptic exhibiton”2.
Una concatenazione di capitoli si svolge al primo piano nobile del palazzo Ca’ Corner della Regina per raccontare una storia fatta di “repudiated gestures”3. Insieme a Let’s Go and Say No la narrazione, negando la possibilità di uno sviluppo cronologico, procede attraverso una serie di approfondimenti evocativi che mettono in relazione una pluralità di storie, di geografie e di media raccolte sotto le seguenti definizioni: Delirium of Negation, Mensch Maschine, Niente da vedere niente da nascondere, Word Versus Image, When Paintings Become Things, Spelling Backwards, Die Hard, Stirb Langsam, Duri a morire, Next to Nothing e Readymades Belong to Everyone.
Lynda Benglis al lavoro.
Fotografia di Henry Groskinsky. Courtesy
The LIFE Picture Collection. © Getty Images.
Merlin Carpenter, The Opening: Intrinsic Value: 5, 2009.
Olio su lino. 213.5 x 152.5 cm. Courtesy l’artista e Simon Lee Gallery, Londra/Hong Kong. © Merlin Carpenter.
Francis Picabia, Point, 1951. Olio su tela. 10 x 8.5 cm. Collezione privata, Parigi. Courtesy Galerie 1900-2000, Parigi. © Francis Picabia, SIAE 2021.
Adrian Piper, Catalysis III, 1970.
Documentazione della performance. Tre foto in bianco e nero, gelatina d’argento su carta baritata. Stampe del 1998 circa. Ognuna 41 x 41 cm.
Collection Generali Foundation – Dauerleihgabe am Museum der Moderne Salzburg, Salisburgo. Prestito permanente al Museum der Moderne Salzburg, Salisburgo. Fotografia di Rosemary Mayer. © Generali Foundation.
Andrea Fraser, Untitled (de Kooning|Raphael) #1, 1984/2005. Stampa digitale. 101.6 x 76.2 cm, senza cornice. Fotografia di Elodie Grethen / TBA21, 2018. Courtesy Thyssen-Bornemisza Art Contemporary Collection .
Asger Jorn, Ainsi on ’s’Ensor (Out of this World—after Ensor), 1962. Olio su tela (sfigurazione, pittura antica). 60.5 x 43 cm. Courtesy Museum Jorn, Silkeborg. © Donation Jorn, Silkeborg.
Michelangelo Pistoletto, Vetrina (Oggetti in meno 1965 – 1966), 1965-66. Legno, ferro, abiti. 235 x 100 x 80 cm. Fotografia di P. Pellion. Courtesy Collezione Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, Biella.
Theaster Gates, Tar Mop and Bucket, Heirloom, 2016.
Catrame, legno, argilla, metallo. 170 x 80 x 130 cm. Collezione Prada. Fotografia di Delfino Sisto Legnani Studio. Courtesy Fondazione Prada.
In Next to Nothing, il discorso va verso il grado zero dell’espressione pittorica: gli agglomerati informi di lattice pigmentato di Lynda Benglis (Untitled, 1969) sembrano trasudare dal pavimento di marmo, mentre alla parete troviamo il poster della mostra “Robert Rauschenberg: White Paintings” del 1951, una serie di lavori “che riflettono i cambiamenti di luce e gli effetti delle ombre nello spazio circostante”4. Il colore nomade di Benglis, senza più una tela sulla quale imprimersi, si riflette dunque nella documentazione delle tele di Rauschenberg, tanto azzerate da essere pronte ad accogliere gli avvenimenti esterni.
Dichiara Fischli: “La storia dell’arte moderna si può leggere come un susseguirsi di crisi della pittura, ma io preferisco chiamarle rotture, perché in quei momenti la pittura veniva non solo rifiutata ma anche reinventata”5. In questo caso le reinvenzioni di cui parla l’artista-curatore non si limitano alle opere esposte, ma vengono messe in pratica nel progetto-mostra stesso. Un imponente modello del percorso espositivo realizzato da Fischli è presentato al piano terra come un prologo (Modellone, 2021), le pareti bianche negano i cicli pittorici originali del palazzo neoclassico e l’orchestrazione porosa e imprevedibile delle opere sfida il fantasma di un racconto ordinato e accademico.
Quali sono dunque questi “gesti ripudiati” di cui ci parla la rivoluzione del mezzo pittorico? Sono gesti intessuti nella quotidianità di chi li compie, che uno sguardo convenzionale – istituzionale – in un primo momento tende a ripudiare, perché non conformi o inesatti, provocatori o addirittura sbagliati. Dichiarare che la vendita della propria opera è utile al pagamento dell’assicurazione sanitaria rientra in questi gesti – Puppies Puppies (Jade Kuriki Olivo) esibiva in galleria il proprio corpo ibrido tra due sessi, alternando la scrittura delle parole “Anxiety” e “Depression” – e in una società poco incline alla metamorfosi assume il valore di una rivoluzione.